L’araba fenice

Per gli antichi egiziani, devoti a Ra, il dio Sole, esisteva un uccello sacro, la fenice, simile ad un airone ed originario dell’Etiopia, la cui vita durava 500 anni. Alla fine della sua esistenza, l’uccello si poneva alla ricerca di erbe aromatiche con le quali costruire un nido che, ultimato, sarebbe divenuto un rogo dal quale lasciarsi avvolgere e morire. Dalle sue ceneri nasceva una nuova fenice che volava al tempio del Sole, nella città di Eliopoli, in Egitto, per riceverne la consacrazione e tornare in Etiopia per iniziare la sua lunga esistenza. Di seguito una foto simbolica dell’araba fenice.

Immagine dell'araba fenice
Un’illustrazione rapprsentante l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri

La più antica tradizione lo vedrebbe innalzarsi dalle acque, in stretta similitudine con il sorgere (ed il tramontare) del sole. Gli egizi le dedicano ben quattro fra le più importanti piramidi, da quella di Cheope, a Giza, “dove il sole sorge e tramonta”, alle altre ad Abusir: quelle di Sahure, “splendente come lo spirito-Fenice”; di Neferikare, “dello spirito Fenice” e di Reneferef, “divina come lo spirito Fenice“.

La potenza evocativa del concetto morte-resurrezione o, se si vuole, di morte come fonte di vita, come forza rigenerante, comune a molte culture e religioni, ha fatto sì che la fenice affascinasse, contaminandole, tutte le civiltà che si sono succedute a partire da quella egiziana. Si trova una prima traccia della fenice nell’VIII secolo a.C., nell’ermetico frammento 50 del poeta greco Esiodo (dalla traduzione del 1929 di Ettore Romagnoli):

Di nove uomini forti così la ciarliera cornacchia
vive la vita; il cervo di quattro cornacchie, e il corvo
diventa vecchio quanto tre cervi. La fenice, poi, vive
per nove corvi; per dieci fenici viviamo noi Ninfe,
ricciole belle, figlie di Giove dell’egida sire.

Ne torna a parlare, nel V secolo a.C., Erodoto, greco anch’egli e storico, di Alicarnasso, che pare attingere dal logografo Ecateo di Mileto, il quale la fa giungere dall’Arabia ed al quale si deve, pertanto, la denominazione di “Araba Fenice”:

Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l’ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall’Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull’altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale . E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un’aquila…”.

L’araba fenice nella cultura

Nella cultura romana la Fenice esordisce e penetra, come simbolo di immortalità, attraverso Ovidio, (“Le metamorfosi”), seguito da Marziale, Plinio il Vecchio e Tacito, lasciando testimonianza di sé in molti antichi mosaici e sulle monete coniate dall’imperatore Adriano, quale emblema di grandiosa ed immortale potenza. Ultimo rappresentante della cultura latina ad occuparsene è Claudiano, originario di Alessandria d’Egitto, nel IV secolo a.C.

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Anche la cultura ebraica rimane suggestionata dalla fenice al punto da riservarle un ruolo nel racconto della stessa genesi dell’umanità: Eva, dopo essere stata scacciata dall’Eden e trasformata in comune mortale, fa in modo che tutti gli animali colgano a loro volta il frutto proibito e condividano, pertanto, la sua stessa sorte. Soltanto Milcham (questo il nome ebraico della fenice) non cede alla tentazione guadagnandosi così il favore divino con una vita lunghissima (in questo caso di mille anni) e la rigenerazione dalle proprie ceneri.

Il cristianesimo, a sua volta, fa propria la sua figura facendola assurgere ad allegoria di Cristo e della resurrezione, a simbolo protocristiano di immortalità attraverso la morte e la nuova vita che ne segue. I primi scritti di autori cristiani che ne testimoniano l’influenza sono il “De carnis resurrectione” di Tertulliano e il “De ave phoenice”, attribuito a Lattanzio.
Ritroviamo ancora la fenice persino nella “Divina Commedia”, dove Dante – ispirandosi proprio a Ovidio – la colloca in un passo dell’Inferno (Inf. XXIV 106-111):

Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;
erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.

Ma il mitico uccello ha influenzato un po’ tutte le antiche civiltà nel mondo, attraversando i continenti dall’Africa all’Europa, dall’Asia alle Americhe, mutando il nome e qualche sfumatura nella leggenda, ma continuando a perpetuare, sempre e dovunque, il sogno di immortalità dell’uomo con il concetto stesso della vita che non finisce ma che, nella morte, si purifica per ricominciare. La sua apoteosi è nella tradizione alchemica che la identifica con la stessa, mitica, pietra filosofale.

La fenice come musa

Fra le muse ispiratrici di artisti e letterati di tutti i tempi, l’araba fenice è stata certamente fra le più feconde: ne parla Giordano Bruno, che la definisce “Unico augel del sol”; per Torquato Tasso è “immortal, innocente, unico augello, che della morte sua rinasce e vive”; William Shakespeare le dedica il piccolo poema “La Fenice e la tortora”; Baudelaire la evoca nei suoi “Fiori del male”. Straordinaria è la sintesi di Pietro Metastasio il quale, nell’esprimere lo scetticismo moderno nei confronti dell’Araba Fenice (parlando dell’infedeltà in amore), scrive: “E’ la fede degli amanti/ come l’araba Fenice,/ che vi sia ciascun lo dice,/ dove sia nessun lo sa”.

Pietro Metastasio
Pietro Metastasio

Questi versi del sacerdote-poeta romano, vissuto nel 1700, sono divenuti felicemente proverbiali e sono ancora oggi in uso nella nostra lingua: si parla, infatti, di “araba fenice” quando ci si vuol riferire a soggetti che tutti citano ma che nessuno ha mai visto.

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tUTTO MOLTO INTERESSANTE, PERO' CREDO DI AVER COLTO UN PICCOLO ERRORE. dITE CHE L' IMPERATORE aDRIANO CONIO' MONETE CON L' ARABA fENICE E POI AGGIUNGETE:" l' ULTIMO DI CULTURA ROMANA FU CLAUDIANO VISSUTO NEL iv SECOLO A.C. (SE E' L' ULTIMO DEVE VENIRE DOPO L' IMPERATORE ADRIANO CHE VISSE NEL SECONDO SECOLO D.C.
MI PARE INOLTRE CHE I VERSI DEL METASTASIO SI INCONTRINO NELL' OPERA LIRICA DI MOZART COSI' FAN TUTTE, PENSAVO CHE QUESTO MERITASSE UNA CITAZIONE. GRAZIE COMUNQUE PER TUTTE LE INFORMAZIONI CHE CI AVETE DATO.