Lo Statuto Albertino
Lo Statuto Albertino è la prima costituzione dello stato italiano, concessa dal re Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo 1848, prima che quest’ultimo unificasse l’Italia. Quando venne proclamato il Regno d’Italia rimase tale carta a definirne i confini giuridici. Rimase quindi a dettar legge fino all’attuale Costituzione della Repubblica italiana, promulgata nel 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.
Lo Statuto fu una costituzione tipica del periodo di transizione dalle monarchie assolute alle monarchie costituzionali. Fu la conseguenza delle idee liberali che portarono a un nuovo equilibrio di potere fra il monarca e le rappresentanze dei cittadini.
Il documento riportava principi già espressi in altre costituzioni europee, con uno sguardo particolare alla monarchia parlamentare inglese che permetteva al parlamento di esprimere i ministri e il premier. Lo Statuto Albertino comunque era un’innovazione per l’epoca perché, concesso dall’alto, vedeva il re perdere consapevolmente alcune delle sue prerogative.
Lo schema che ne costituiva l’architettura giuridica era abbastanza semplice. In primis veniva sancito che la religione cattolica era “la sola religione dello Stato” mentre gli altri culti venivano tollerati. La fisionomia dello Stato veniva invece concepita così: un governo monarchico rappresentativo retto da un sovrano che sedeva su un trono ereditario e la cui discendenza era decisa in base alla legge salica, (quindi salivano al trono solo eredi maschi). Il potere legislativo veniva esercitato dal re e dalle due Camere, rappresentate dai deputati e dai senatori.
Si disciplinavano poi così i poteri del re: a lui spettavano il comando supremo delle forze armate, la gestione diplomatica dei colloqui con gli altri Stati, la nomina di alte cariche dello Stato, di acconsentire e promulgare le leggi approvate dalle Camere, di sciogliere e convocare le Camere e concedere la grazia e la nomina dei senatori, che erano tutti a vita e scelti su indicazione delle Camere.
Per quanto riguardava invece i diritti e i doveri dei cittadini vi era un condensato elenco di priorità: i cittadini erano uguali davanti alla legge, avevano la libertà di domicilio, la libertà di stampa, l’inviolabilità della proprietà privata, la libertà di riunione in luoghi privati, dovere di pagare le tasse e uguaglianza nella ripartizione delle stesse. Non vi erano diritti sociali né erano previste le libertà collettive. Il Parlamento come si è detto era suddiviso in due rami: Camera dei deputati i cui rappresentanti venivano eletti per 5 anni e il Senato, numericamente indeterminato, composto da rappresentanti di nomina regia che dovevano essersi distinti nei loro campi per alti meriti verso la patria.
Quali erano i compiti delle Camere?
I loro compiti erano identici e riguardavano la discussione e votazione delle leggi. La Camera dei deputati però si esprimeva anche in merito a leggi tributarie e di bilancio. Il Governo interloquiva con le Camere. Il Senato aveva anche un compito giudiziario, cioè giudicava in sede penale sia i ministri che gli stessi senatori. Le leggi emanate dalle Camere potevano essere respinte dal re.
Il potere giudiziario era amministrato da giudici nominati dal sovrano. Le udienze dovevano essere pubblicizzate e si ribadiva, con opportune eccezioni, l’inamovibilità dei giudici.
Lo Statuto Albertino era una legge fondamentale perpetua e irrevocabile che apparteneva alla Monarchia. Non era immodificabile, ma non si prevedeva la sua modificabilità, così come non vi erano leggi che disciplinassero le procedure per la verifica di leggi ordinarie che non fossero conformi allo Statuto. Questo aspetto è particolarmente interessante perché spiega come mai durante il fascismo fu possibile cambiare taluni aspetti dello Statuto con leggi ordinarie senza che nessuna istituzione potesse intervenire a norma di legge per impedire tali modifiche.