San Martino del Carso, analisi della poesia di Ungaretti

San Martino del Carso è una poesia scritta da Giuseppe Ungaretti il 27 agosto del 1916. Tutte le poesie che l’autore ha vergato durante la sua partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, infatti, giacché vissute come una sorta di cronaca, riportano data e luogo.

San Martino del Carso
San Martino del Carso: oggi è una frazione di Sagrado in provincia di Gorizia

Sulla pagina dedicata a “San Martino del Carso” si legge, quindi, questa data e “Valloncello dell’Albero Isolato” riferito a un percorso fortificato nei pressi del fronte goriziano. Qui l’arruolamento volontario nel 1915 ha condotto Ungaretti.

La breve poesia “San Martino del Carso” rientra nella raccolta “L’allegria” e si riconduce, come tutta l’opera di Ungaretti, all’Ermetismo, filone letterario della corrente filosofica culturale del Decadentismo.

Tipici tratti degli scritti ermetici – rilevabili sia in “San Martino del Carso” che nell’opera in generale di Ungaretti sono il numero ridotto di parole selezionate e scritte (ricordiamo ad esempio: Mattina o Soldati). A fronte di ciò c’è un ampissimo impatto legato a queste poche parole e alcune forme stilistiche come l’enjambement, l’allitterazione e l’iterazione, l’inversione, l’analogia e la metafora.

San Martino del Carso, testo della poesia

Valloncello dell’albero isolato, 27 agosto 1916

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

è il mio cuore
il paese più straziato

Parafrasi: lo stile della lirica

“San Martino del Carso” è un componimento in quattro strofe, in versi liberi.

Il linguaggio è semplice, le parole usate dal poeta sono di uso comune e la lirica, nel complesso, è breve e compatta. Queste caratteristiche generali, in perfetta linea con l’Ermetismo nel quale Ungaretti si rivede, sono determinate anche dal tema della poesia: il lutto impone un rigore che il poeta si sente di mantenere.

L’apertura delle prime due strofe (Di queste case / Di tanti) costituiscono anafora. In parallelo ancora nei primi due versi non è rimasto per due volte e tanto / tanti sono iterazioni.

La metafora

Spicca, poi, la metafora qualche brandello di muro. Ungaretti trasla la caratteristica della distruzione di un corpo, di un essere vivente fatto di carne, il ridursi in brandelli cioè, a una architettura: la casa come il corpo si sfalda in tutto il suo orrore per i colpi del mortaio e per le bombe.

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La terza e quarta strofa conducono, invece, dall’osservazione esterna alla descrizione dello stato emotivo, interiore. Adesso il cuore è il cimitero che raccoglie le croci e il cordoglio dei tanti compagni morti sul campo di battaglia.

La conclusione della poesia: una sentenza

L’ultima strofa, in particolare, è costituita da solo otto parole, ma è densa come pochi versi della letteratura italiana. Ungaretti pone sullo stesso piano il paese, distrutto e pieno di macerie, con il suo cuore, altrettanto colpito dal dolore della morte e dalle perdite.

Lo strazio così è un sentimento che si diffonde nelle due dimensioni: dentro e fuori il sentire è una lacerazione crudele e spietata. Il verso È il mio cuore il paese più straziato, inversione o anastrofe (lo schema verbo soggetto oggetto sostituisce lo schema classico soggetto verbo oggetto), fa da chiusura al componimento.

Come Ungaretti fa in altre liriche, anche in “San Martino del Carso” lascia il lettore con una sentenza.

La morte si sconta vivendo.

Da: Sono una creatura

Nelle ultime righe, in particolare, sintetizza il sentimento al centro del suo scritto, il moto emotivo che lo ha spinto alla scrittura e al racconto della sua visione di quel paese simbolo della resistenza contro le truppe austroungariche.

Temi e commento

I temi di “San Martino del Carso” sono il rifiuto della guerra, la sofferenza e la morte. Il quadro storico è quello della Prima guerra mondiale, una delle pagine più dolorose della storia del nostro Paese riferite ad un conflitto fra i più sanguinosi in cui persero la vita oltre 650mila italiani. “San Martino del Carso” è il manifesto della “morte della vita”, come l’ha definito la critica.

Il vigore dei combattenti, dei giovani italiani che si erano portati in trincea, si spegne giorno dopo giorno fino al termine del conflitto che lascia un paese distrutto e senza speranze. Questo è il sentimento entro il quale affonda la lirica di Ungaretti.

Nei quattro versi c’è immobilismo per il dolore, non succede nulla e nulla si muove. L’occhio del poeta osserva lo sfacelo e constata la sua sofferenza.

Lo sguardo fa un giro a trecentosessanta gradi. Prima volge verso fuori e registra la distruzione intorno. Poi torna all’io, ed è proprio lì che trova il luogo più colpito dalla guerra, quello più difficile da ricostruire: il suo cuore.

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Maria Cristina Costanza

Maria Cristina Costanza è nata a Catania il 28 gennaio 1984. Lascia la Sicilia a 18 anni per trasferirsi a Roma, dove si laurea in Comunicazione a La Sapienza. Sin da studentessa si orienta verso il giornalismo culturale collaborando con settimanali on line, webzine e webtv, prima a Roma poi a Perugia e Orvieto, dove vive attualmente. Dal 2015 è giornalista pubblicista. Col giornalismo, coltiva la sua 'altra' passione: la danza. Forte di quasi 20 anni di studio fra Catania, Roma, Perugia e New York oggi è insegnante di danza contemporanea e classica a Orvieto.

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