La quiete dopo la tempesta (Leopardi): analisi, parafrasi e commento
La lirica “La quiete dopo la tempesta” è stata composta da Giacomo Leopardi tra il 17 e il 20 settembre del 1829, qualche giorno prima dell’altrettanto celebre Sabato del villaggio. La poesia appartiene alla raccolta dei Canti leopardiani. Venne pubblicata per la prima volta nell’edizione del 1831, nella sezione dei Grandi Idilli o Canti pisano-recanatesi.
Questa sezione raccoglie liriche composte tra il 1828 e il 1831, a seguito di un momento di silenzio poetico durante il quale l’autore compose le Operette morali e si dedicò maggiormente alla prosa. Dei Grandi Idilli fanno parte: Il risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio.
Approfondimento
Il pessimismo cosmico
Questi componimenti segnano una svolta nel pensiero leopardiano perché l’autore, durante il silenzio poetico, elaborò una nuova fase del suo pessimismo, quello cosmico. L’infelicità investe tutte le creature e gli uomini devono rendersi conto che la natura non si cura minimamente di loro.
Queste liriche presentano dei momenti lieti della vita umana ma con la consapevolezza che ogni illusione dura solo per poco tempo. La visione del mondo dell’autore diventa qui pienamente disillusa.
Analisi della poesia
La lirica in esame, “La quiete dopo la tempesta“, è una canzone libera (detta anche leopardiana) composta da tre strofe di endecasillabi e settenari liberamente rimati. Essa narra dell’arrivo della pace dopo un violento temporale e quindi della ripresa delle attività quotidiane da parte della gente del borgo natio (Recanati). Ma il poeta percepisce che questi momenti di calma sono soltanto brevi interruzioni del dolore, che è inevitabile.
La quiete dopo la tempesta: il testo completo della poesia
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.
Analisi delle tre strofe
La prima strofa è maggiormente descrittiva. Leopardi infatti racconta come gli abitanti e gli animali riprendano tutte le loro occupazioni dopo la tempesta. Gli uccelli fanno festa, la gallina riprende a chiocciare, l’artigiano si affaccia all’uscio della sua porta, il sole torna a risplendere tra i casolari e il viandante riprende il suo cammino.
La seconda strofa inizia con alcune domande di riflessione. Quand’è che la vita risulta gradita come in questo momento? Il centro della poesia è infatti il verso 32 (Piacer figlio d’affanno). La felicità può nascere soltanto dopo uno scampato pericolo – in questo caso la tempesta che ha scosso le nuvole contro gli uomini – quando finalmente l’animo umano si sente sollevato.
La terza strofa della poesia prosegue con questa riflessione, sviluppandola maggiormente. Il poeta si rivolge direttamente alla natura con grande ironia (vv. 42-44: O natura cortese | son questi i doni tuoi, | questi i diletti sono). Viene ribadito il concetto espresso anche nella seconda strofa, ossia che per gli uomini l’unico motivo di gioia è quando termina un momento di dolore.
Qui l’autore mostra tutto il suo pessimismo cosmico. Il piacere dovuto alla cessazione del dolore (vv. 47-50: Pene tu spargi a larga mano; il duolo | spontaneo sorge e di piacer, quel tanto | che per mostro e miracolo talvolta | nasce d’affanno, è gran guadagno) dura poco. E la morte è l’unica cosa che può far guarire finalmente dal dolore (vv.53-54: beata | se te d’ogni dolor morte risana).
Commento
Dal punto di vista stilistico, la poesia “La quiete dopo la tempesta” può dirsi divisa in due parti: la prima strofa inizia con l’anastrofe “passata è la tempesta“, viene il verbo e rendere più immediato lo stupore della fine del temporale. Tutta la prima strofa è ricca di sensazioni uditive, termini concreti e quotidiani che vengono utilizzati per descrivere il borgo più realisticamente.
La sintassi è piana e il ritmo è veloce grazie all’utilizzo di molti enjambements. Nelle altre due strofe invece domina l’ironia. Leopardi si rivolge agli uomini chiamandoli “cara prole” (v. 51) e alla natura chiamandola “cortese” (v. 42) in antifrasi quindi con ciò che vuole esprimere.
Dal punto di vista lessicale si trovano maggiori termini astratti. La sintassi è spezzata da frasi brevi e periodi più complessi.
In questa fase della vita del poeta, l’unica felicità che l’uomo può ottenere è molto breve perché è dovuta all’interruzione solo temporanea del dolore. Quella felicità eterna, da sempre aspirazione di tutti gli uomini, è quindi raggiungibile solo con la morte.
Gli eventi della vita però, porteranno il poeta ad una maturazione meno pessimistica e più cosciente del suo pensiero nelle fasi successive della sua poetica.