Grande incendio di Londra: settembre 1666

Fino all’estate del 1666 per gli inglesi il “Grande incendio” era un episodio risalente al lontano 1212. Purtroppo, quel ricordo funesto fu rinnovato, nel 1666 con l’evento ricordato come Grande incendio di Londra. L’evento distruttivo colpì Londra fra il 2 e il 5 settembre.

Grande incendio di Londra 1666
Il Grande incendio di Londra del 1666 in un quadro di un artista sconosciuto

Questo appuntamento con la Storia in cui la capitale inglese vide distrutti:

  • 13.200 abitazioni;
  • 87 chiese parrocchiali e 6 cappelle;
  • 44 Company hall;
  • la Royal Exchange;
  • la dogana;
  • la cattedrale di Saint Paul;
  • la Guildhall;
  • il Bridewell palace e altre prigioni cittadine;
  • la Session House;
  • quattro ponti sul Tamigi e sul Fleet;
  • tre porte della città.

La tragedia si abbatté su una città già fortemente in crisi a causa di una forte epidemia di peste.

L’origine del grande incendio di Londra

Quel forno in Pudding Lane e i primi (mancati) interventi

La ricostruzione dell’evento colloca l’origine dell’incendio nella casa di Thomas Farrinor, fornaio di Re Carlo II, a Pudding Lane. Probabilmente, la sera del 1° settembre 1666 il fornaio non spense il forno prima di andare a letto. Si ricostruì che dopo qualche ora alcuni tizzoni ardenti diedero fuoco alla legna posta vicino al forno.

La casa prese fuoco: il fornaio e la famiglia si salvarono fuggendo da una finestra del piano superiore, la domestica, invece, perse la vita divenendo la prima vittima del Grande incendio di Londra del 1666.

A differenza della primaria valutazione del Lord sindaco Sir Thomas Bloodworth, l’incendio divenne subito importante: il forte vento, i materiali altamente infiammabili delle costruzioni del tempo (paglia inclusa) e l’architettura della città – che vedeva le case una attaccata all’altra – fecero la loro parte.

Ulteriore elemento a vantaggio delle fiamme fu la modalità di intervento delle autorità. 

London Great Fire Grande incendio di Londra 1666

La mancata circoscrizione dell’incendio

Va premesso che molte abitazioni erano disabitate, a causa della peste che aveva decimato i londinesi. Per questo motivo in moltissime case non vi fu quell’intervento di spegnimento delle fiamme tempestivo da parte degli abitanti stessi.

Si aggiunga che il Lord sindaco, preoccupato per i costi della ricostruzione, non diede subito via libera alla procedura di circoscrizione delle fiamme attraverso l’abbattimento delle case. Non diede ordine cioè di procedere con quella tecnica standard che, seppur abbia dei limiti di riuscita, crea le cosiddette “fasce tagliafuoco”. Queste sarebbero state in grado di interrompere l’avanzamento delle fiamme attraverso la creazione di un vuoto strutturale.

Infine, dove non agì l’incuria dell’amministrazione si mossero gli interessi dei nobili. Si racconta che molti Sir, Lord e londinesi titolati lasciarono alle fiamme alcune proprietà purché il fuoco avanzasse verso possedimenti di nobili concorrenti.

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Cause e concause, insomma, condussero a tre giorni di fuoco incontrollato. Solo il 4° giorno, il 5 settembre 1666, il sistema di circoscrizione bloccò le fiamme: l’area distrutta dal Grande incendio di Londra andava da Whitehall fino alla Torre di Londra.

Grande incendio di Londra: i numeri del rogo

Tre giorni di fuoco

Sono circa 430 gli ettari stimati che andarono distrutti, pari a oltre l’ottanta per cento della City. Oltre 13mila le case e più di 80 le chiese divorate dal rogo.

Fra 10 e 15, invece, le persone rimaste uccise. La letteratura relativa a questo evento storico, tuttavia, spiega come nella conta furono esclusi moltissimi cittadini poveri di cui mai furono cercati né trovati i resti. La stima in denaro fu di dieci milioni di sterline.

La ricostruzione: la nuova Londra

Ciò che avvenne a seguito del Grande incendio di Londra fu una vera e propria rinascita della città.

Londra, come detto, veniva da una gravissima epidemia di peste che aveva decimato la popolazione e non dava segnali di arresto. I tre giorni di fuoco le diedero l’occasione di essere ricostruita con nuovi moduli e tenendo conto della necessità di benessere e igiene: case di mattoni, soffitti alti, pavimenti ampi e grandi finestre.

La città divenne più pulita e più luminosa, grazie alle lampade globulari che sostituirono le lanterne a candela dai primi del Settecento.

La ricostruzione fu operata a quattro mani dagli architetti Christopher Wren, nominato dal Re, e Robert Hooke, scelto dalle autorità cittadine. I due, e le loro squadre, in un primo momento, progettarono di ricostruire la città a partire dalla pianta che sarebbe stata a griglia. Le fondazioni però avevano superato bene l’incendio per cui, anche per limitare i costi, l’idea della griglia fu accantonata.

Con la tassa sul carbone, introdotta dal 1667, il Parlamento ebbe i fondi per riedificare la città sul piano stradale esistente, rinnovando il sistema viario e fognario. È per questo che oggi Londra ha un disegno di tipo medievale su cui è poi stata insediata la città moderna che conosciamo.

La tesi complottista: incendio doloso?

Le conclamate osservazioni di una città rinata e “salvata” a seguito del Grande incendio di Londra, combaciano con quelli che potrebbero essere stati gli obiettivi di chi, secondo alcuni, ha appiccato l’incendio volontariamente. Ovvero: esiste un filone di scrittori e storici che ritiene che l’incendio fu doloso.

Il colpo inferto dalla peste sulla città pare fosse stato troppo forte e, ad un certo punto, incontrollato. Ingestibile al punto che i governati scelsero di dare la città alle fiamme a partire proprio da quelle vecchie case fatte anche di paglia, assiepate l’una vicinissima all’altra. Queste teorie ad oggi non sono state confutate.

In fatto di letture alternative dell’episodio, infine, va anche citata la tesi di un presunto “complotto cattolico”. A diffonderla fu l’orologiaio francese Robert ‘Lucky’ Hubert, personaggio al quanto sopra le righe, che si smascherò come agente del Papa e attore in prima linea dell’incendio.

Hubert venne condannato e impiccato nonostante le prove contrarie alla sua tesi si fossero poi rivelate schiaccianti.

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Maria Cristina Costanza

Maria Cristina Costanza è nata a Catania il 28 gennaio 1984. Lascia la Sicilia a 18 anni per trasferirsi a Roma, dove si laurea in Comunicazione a La Sapienza. Sin da studentessa si orienta verso il giornalismo culturale collaborando con settimanali on line, webzine e webtv, prima a Roma poi a Perugia e Orvieto, dove vive attualmente. Dal 2015 è giornalista pubblicista. Col giornalismo, coltiva la sua 'altra' passione: la danza. Forte di quasi 20 anni di studio fra Catania, Roma, Perugia e New York oggi è insegnante di danza contemporanea e classica a Orvieto.

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