Resurrezione di Lazzaro: dipinto di Caravaggio

La Resurrezione di Lazzaro è un’opera molto controversa di Caravaggio, il maggior rappresentante della pittura e della storia dell’arte in generale, a cavallo tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600. Facente parte del suo ultimo periodo (solo un anno prima della sua morte), gli fu commissionata da un mercante genovese, Giovanni Battista de’ Lazzari. Caravaggio si era appena trasferito a Messina, anzi bisogna precisare che fuggì a Messina dopo essere fuggito dalle carceri di Malta, dove era stato imprigionato in seguito ad una rissa di cui l’artista fu protagonista, come era suo solito.

La resurrezione di Lazzaro, dipinta da Caravaggio (anno 1609)
Caravaggio: Resurrezione di Lazzaro (1609). Olio su tela (380 x 275 cm). Opera conservata presso il Museo Regionale di Messina.

Come si diceva precedentemente, la Resurrezione di Lazzaro è un’opera dalla storia molto controversa e ricca di aneddoti. Pare che il facoltoso mercante genovese commissionò al Caravaggio un dipinto raffigurante la Madonna con San Giovanni Battista insieme ad altri Santi. Ma sei mesi più tardi, il quadro firmato e consegnato da Caravaggio, risultò con un soggetto diverso. Difatti su uno sfondo che andava a rappresentare una chiesa, erano raffigurati Lazzaro, appena riportato alla vita, il Cristo, il quale aveva appena eseguito il miracolo e diversi spettatori che avevano assistito all’episodio miracoloso.

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Secondo alcuni biografi del tempo pare che tale dipinto avesse avuto una versione precedente, ma che fu completamente distrutta dal Caravaggio in un momento d’ira, offeso dalle critiche che aveva ricevuto sul quadro stesso. Altro aneddoto che meglio fa comprendere il difficile carattere dell’artista, è l’aver preteso ed ottenuto (peraltro con la forza) un cadavere, in uno stato già abbastanza avanzato di decomposizione, da cui prendere spunto per poter ritrarre al meglio Lazzaro. Tale cadavere, si racconta, fu tenuto in posa da alcuni facchini, minacciati da pugnali.

La Resurrezione di Lazzaro fu pagata dal de’ Lazzari ben 1000 scudi, una grossa cifra per l’epoca. Difatti tale somma è considerata dagli storici dell’arte come poco attendibile, soprattutto considerando la quotazione, ben inferiore, dei maggiori pittori del tempo. E’ anche vero che il Caravaggio aveva un urgente bisogno di soldi, ed è probabile che questa possa essere definita la “causa” del pagamento di una cifra tanto alta. Inoltre recenti ricerche hanno dimostrato come tale opera fosse stata eseguita con una fretta non usuale per l’artista. Difatti è proprio questa fretta che giustifica la scelta del Caravaggio di riempire la tela con un unico fondo scuro, le poche figure rappresentate, i veloci fasci di luce ed l’uso di materiali poveri e tipici della zona.

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Analisi dell’opera

L’episodio raffigurato è quello del Vangelo di Giovanni, 11, 1-44. Caravaggio decise di rappresentare il momento in cui Lazzaro, morto, viene trasportato al cimitero. Qui avviene il miracolo. In primo piano vediamo raffigurata tutta la scena. Il fondo è scuro, si notano solo alcuni accenni di elementi architettonici, a voler rappresentare l’interno di una chiesa. Sul terreno vi sono ossa di cadavere sparse. Ecco il miracolo, l’indice di Cristo che va ad indicare Lazzaro.

Caravaggio: la Resurrezione di Lazzaro. Un dettaglio del dipinto
Resurrezione di Lazzaro: dettaglio della mano di Cristo che indica Lazzaro

Il suo corpo nella penombra, è ancora gonfio e rigido, ma già un barlume di vita lo pervade. La mano si spalanca, le braccia si allargano a voler imitare la croce.

Lo stupore del miracolo avvenuto è concentrato tutto nel volto della figura centrale, il quale, rivolto verso il Cristo, ha la fronte aggrottata e la bocca semiaperta. Come era usuale in Caravaggio, anche qui abbiamo un suo autoritratto, rappresentato dall’uomo con le mani giunte posto dietro a Gesù Cristo. Anche qui, come nelle altre sue opere, la luce ha un ruolo da protagonista. Ma, in questi suoi ultimi lavori si denota una maggiore sperimentazione della luce, più soffusa e drammatica, tanto da portare le figure quasi a scomparire.

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Stefano Moraschini

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