Non recidere forbice quel volto (poesia di Montale)

La poesia “Non recidere forbice quel volto” è una delle più celebri tra quelle composte da Eugenio Montale. Essa fa parte della seconda raccolta del poeta, Le occasioni, precisamente della sezione Mottetti. La lirica fu composta nel 1937.

Non recidere forbice quel volto

La raccolta: Le occasioni

Le occasioni fu pubblicata per la prima volta a Milano nel 1939 per la casa editrice Einaudi. Una seconda edizione, con l’aggiunta di alcune liriche, vide la luce nel 1940. In totale sono state raccolte 54 poesie scritte tra il 1928 e il 1939, quando in Italia si stava affermando il Fascismo e si avvicinava il disastro della Seconda Guerra Mondiale.

La raccolta di Montale segna un punto di svolta rispetto alla precedente Ossi di Seppia: il poeta vuole sottolineare che esistono delle occasioni di salvezza per gli uomini, da qui deriva infatti il titolo, “occasioni” che sono rappresentate da eventi irrilevanti ma che possono aprire un varco nel dolore.

La memoria diventa uno strumento fondamentale per recuperare momenti del passato che possono illuminare il presente. Un ruolo importante all’interno della raccolta è giocato dalle figure femminili, che spesso hanno un ruolo salvifico, quasi di donne-angelo.

In particolare nella sezione Mottetti, è presente Clizia che ricopre il ruolo di difensore dei valori positivi della giustizia e della cultura. Anche lo stile cambia perché vengono abbandonati gli sperimentalismi della prima raccolta per recuperare le forme tradizionali della metrica e rivisitarle in chiave moderna.

Non recidere forbice quel volto: testo

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

Parafrasi

Forbice, non tagliare via quel volto,
il quale ormai solitario svanisce dalla mia memoria,
non trasformare il suo grande viso in ascolto
nell’usuale nebbia della mia vita.

Cala il freddo della lama… il colpo secco
recide la vetta. E l’acacia ferita si scrolla di dosso
il corpo vuoto della cicala
nella prima fanghiglia del mese di novembre.

Analisi della poesia

La poesia Non recidere forbice quel volto è composta da due quartine di endecasillabi e settenari, con una rima al v. 1 e al v. 3.

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Il poeta è lontano dalla donna amata ma vorrebbe mantenere un vivo ricordo di lei: purtroppo però, il tempo ha offuscato la memoria e questa sensazione viene resa attraverso l’immagine del taglio di cesoie con cui viene potato un albero di acacia.

Le due strofe appaiono staccate tra di loro ad una prima lettura.

Le strofe

Nella prima strofa il poeta si rivolge alla forbice e chiede di non tagliare il volto della donna amata e di non far diventare il suo viso parte della nebbia che avvolge il ricordo delle persone care. La donna è Clizia, ovvero Irma Blandeis, una giovane americana conosciuta a Firenze nel 1933 e costretta dalle leggi razziali a tornare nel suo paese.

La seconda strofa della poesia “Non recidere forbice quel volto” invece evoca un’immagine concreta: la forbice diventa la cesoia del giardiniere che sta potando un’acacia in autunno, mentre il guscio della cicala cade dal ramo e finisce nel fango.

Il gesto del giardiniere diventa così il correlativo oggettivo che permette all’autore di collegare un momento apparentemente normale, il taglio di un ramo, con la perdita della memoria della donna amata. Secondo Montale, infatti, il poeta deve trovare un oggetto (il correlativo oggettivo) che gli possa servire per rappresentare uno stato d’animo, che diventa universale.

L’espressione al verso 5 “il freddo cala” è un punto chiave della poesia: indica proprio che la memoria piano piano viene offuscata e il ricordo svanisce.

Eugenio Montale
Foto di Eugenio Montale

Non sono presenti particolari figure retoriche, ma ci sono molti richiami fonici: oltre alla rima tra v.1 e v.3, i versi pari della prima strofa rimano con quelli della seconda (v.2 sfolla – v. 6 scrolla, v. 4 sempre – v.8 Novembre).

Nella seconda strofa sono presenti delle rime al mezzo : v. 5 svetta – v. 8 belletta, v. 5 cala – v. 7 cicala. I verbi utilizzati hanno quasi tutti un suono molto forte : svetta, sfolla, scrolla.

Eugenio Montale cerca di ricordare la donna ma purtroppo non riesce. Quindi la sua personale vicenda sentimentale finisce per diventare il simbolo della condizione degli uomini, che vivono nella precarietà. Gli uomini non riescono ad accedere ai propri ricordi per combattere la tristezza del presente.

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Anna D'Agostino

Anna D'Agostino, napoletana di nascita portodanzese d'adozione, laureata in Filologia Moderna e appassionata di scrittura. Ha collaborato con varie testate come giornalista pubblicista, attualmente insegna Lettere in una scuola secondaria di primo grado.

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