Nike di Samotracia, descrizione e storia

La Nike di Samotracia vive dell’estasi di una bellezza incompleta e trionfante, celebrando l’esaltazione di una vittoria avvenuta più di duemila anni fa, ricorda al mondo il valore assolutamente intrinseco dell’imperfezione, dove il limite non priva di bellezza, ma l’esalta. Realizzata in marmo pario intorno al 200 a.C., conobbe l’ostinazione della ricerca archeologica di fronte all’enigma di una forma ancora a quel tempo sconosciuta e incompiuta.

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia

La superba fenice, risorta dal cocente suolo dell’isola di Samotracia, deve la sua rinascita all’archeologo Charles Champoiseau che, quasi sedotto dal seno affiorante, la riportò nuovamente al mondo.

La collocazione in un contesto moderno, quale si configura il museo del Louvre, ridona bellezza e gloria al corpo mutilato che, nell’evocazione di una tenace sensibilità, spinge lo spirito in un’atmosfera mitologica ed eroica, in un tempo in cui la vita di uomini e dei s’intrecciava nell’umana lotta per la conquista di prestigio e potere.

Storia e archeologia a Samotracia

A nord-ovest dello stretto dei Dardanelli, un’isola dalla forma ovale e dal passato sacro e glorioso affiora dalle miti acque del mar Egeo, noto alle fonti classiche per l’infausta sorte toccata al figlio di Pandione, re di Atene, dopo aver creduto di aver perduto per sempre l’amato figlio Teseo.

Mappa dell'isola di Samotracia
L’isola di Samotracia

L’isola di Samotracia non associa unicamente la notorietà del proprio nome alle leggendarie cronache della storia classica, poiché essa fu in assai rare occasione teatro di memorabili scontri, tuttavia lega buona parte della propria celebrità alla propizia scoperta della statua ritraente la Nike alata.

Nike alata - scultura
Nike alata

Dalle sterili rocce brune non emerse mai il richiamo di un influente centro politico e commerciale, eccezion fatta per la piccola città di Paleopoli e dell’antico santuario celebrante le divinità conosciute come “Kabeiroi” (Κάβειροι).

L’altare di Samotracia giocò un ruolo fondamentale nelle vicende, spesso drammatiche, legate ai principi macedoni e tolemaici: nel 280 a.C., Arsinoe II (316 a.C. – 268 a.C.), figlia di Soter, minacciando di morte il marito Lisimago, costrinse quest’ultimo a rifugiarsi a Samotracia, fino a quando ella sposò, nel 279 a.C., il suo stesso fratello di sangue, Tolomeo Cerauno.
Perseus, l’ultimo grande re di Macedonia, vinto dall’esercito romano a Pydna, nel 165 a.C., trovò asilo nel santuario di Samotracia, fino alla resa obbligata imposta dal pretore Ottaviano.
L’antico tempio dorico, situato nella valle, iniziò gradualmente a essere circondato da edifici votivi, in particolar modo da un nuovo tempio dorico dotato di un portico, costruito dai principi tolemaici, un propileo e una grande rotonda, eretta da Arsione.

Gli scavi archeologi e la scoperta della Nike di Samotracia

La storia e l’archeologia dell’isola di Samotracia sono da considerarsi il proscenio di una scoperta straordinaria che, avvenuta nella seconda metà del XIX secolo, ridestò l’interesse del pubblico nei confronti dell’arte classica. L’archeologo viennese Alexander Conze (1831 – 1914), nel 1858, esplorò per la prima volta l’isola, conducendo un’indagine archeologica che si rivelò in termini di scoperte del tutto infeconda.

Nel 1863 Charles Champoiseau (1830 – 1909), viceconsole di Francia ad Adrianopoli, ottenne un finanziamento dal governo francese per l’avvio di nuovi studi sulle rovine degli edifici di Samotracia; gli scavi furono avviati nel marzo dello stesso anno, con il conseguimento di risultati che tuttora destano meraviglia.

Mentre gli operai erano impegnati a far emergere dalla polvere la facciata del Santuario dei Grandi Dei di Samotracia, Champoiseau, passeggiando a circa 50 metri dal sito, fu attratto dal candore di un marmo emergente dal terreno, il quale una volta liberato dai detriti si scoprì avere fattezze delicate di un seno; gli scavi proseguirono fino a una profondità di due piedi, portando alla luce una splendida figura femminile alata.

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La scoperta della statua avvenne a pari passo con quella di alcuni blocchi di marmo dalla strana forma, e che per tale motivo sarebbero stati trascurati fino al 1879. La Nike di Samotracia raggiunse immediatamente la Francia e nel 1866 fu esposta al Louvre dove, in un buio angolo nella Sala delle Cariatidi, attraeva gli sguardi più affettuosi e ammiranti.

Nike di Samotracia - dettaglio
Un dettaglio della Nike di Samotracia, celebre scultura esposta al Louvre di Parigi • Il famoso “swoosh” dell’azienda Nike (che deriva il suo nome dalla dea della Vittoria) si ispira proprio al movimento dell’ala della Nike di Samotracia.

L’enorme attenzione che questa scoperta scatenò, spinse il governo a organizzare una nuova missione esplorativa sotto la direzione di M. Gustave Deville e Georges Ernest Coquart (1831 – 1902) che, al contrario di quanto si auspicasse, non portò nuova luce sulla gloriosa scoperta precedente.

Conze, che nel frattempo era divenuto professore a Vienna, persuase il Ministero Austriaco della Pubblica Istruzione a finanziare una nuova esplorazione archeologica a Samotracia. Nel 1873 Conze raggiunse il sito accompagnato dagli architetti Aloïs Hauser (1841-1910) e George Niemann (1841 – 1912): la spedizione consentì di chiarire gli aspetti ancora misteriosi legati all’architettura degli edifici costellanti l’isola, di portare alla luce dei piccoli frammenti di marmo e un certo numero d’iscrizioni.

Con la scoperta di nuovi blocchi marmorei sull’isola di Samotracia, l’archeologo austriaco Otto Benndor (1838 – 1907) generò un’ipotesi illuminante, congetturando gli elementi a disposizione affermò che i marmi dalla strana forma, per lungo tempo trascurati, costituivano in realtà il piedistallo della statua, nella fattispecie la prua sulla quale si elevava trionfante la dea Vittoria.

La Nike di Demetrio I di Poliorcete

L’ipotesi banndoriana trova fondamento nell’analisi del tetradramma, emesso nel 293 a.C., di Demetrio I Poliorcete (337 a.C. – 283 a.C.): monete di questo tipo erano coniate nel caso di vittorie navali di grande portata, in questo particolare frangente il ruolo encomiastico della Nike di Samotracia deve la sua genesi alla vittoria Demetrio I di Poliorcete su Tolomeo d’Egitto presso Salamina di Cipro, nel 306 a.C. .

La disputa sull’autore

L’archeologo britannico Charles Thomas Newton (1816 – 1894) nel saggio “Essey on Art and Archeology” presuppose che:

“Lo spessore, il trattamento originario delle pieghe in movimento e il drappeggio sono rivelazione di un movimento rapido, la cui magnificenza non fu mai valicata nel campo della scultura. […] Si è a conoscenza della fervida attività di Skopas a Samotracia, supposizione che permette di attribuire la Nike alla scuola di questo scultore” (CHILD).

Ulteriori studi condussero l’attenzione su Peonio di Mende, contemporaneo di Fidia, autore della Nike di Olimpia concepita per commemorazione della battaglia di Sfacteria del 425 a. C..
La scultura arcaica non si rivelò mai musa svelatrice dell’energica psiche umana, gli dei rappresentati da Fidia sono impassibili e permeati da una sublime tranquillità, mentre con Skopas l’arte ellenistica raggiunse l’espressione dell’antropica passione.

La Nike germogliò dal soffio vitale di un’idea nuova: la Vittoria alata fu solcata nel bianco marmo riconoscendole la fattezza di una giovane donna rifulgente di una vibrante vigoria, attestando nell’ampio panorama classico il sommo momento di congiunzione tra forza e delicatezza.

Note Bibliografiche
G. Bejor, M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte Greca – Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Education, Milano, 2008
T. Child, Art and criticism; monographs and studies, Harper & Brothers, Franklin Square, New York, 1892

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Simona Corciulo

Simona Corciulo nasce a Gallipoli il 5 maggio del 1992. Appassionata di arte e antiquariato, ha conseguito la laurea in ''Tecnologie per conservazione e il restauro'' nel 2014. Fervida lettrice, ama scovare e collezionare libri di arte, storia, narrativa - italiani e stranieri - desueti o rari.

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