Meriggiare pallido e assorto, parafrasi e commento

Scritta nel 1916 e ricompresa nella raccolta “Ossi di seppia“, la lirica intitolata “Meriggiare pallido e assorto” è una delle più note e apprezzate di Eugenio Montale.  La poesia è ambientata presso il muro di un orto, dove il poeta si ferma ad osservare l’ambiente circostante. E’ mezzogiorno, il sole è rovente e la natura esplode con i suoni e i colori tipici dell’estate. Il poeta percepisce il verso dei merli tra i rami secchi, e i serpenti che strisciano nel terreno in modo appena percettibile.

Meriggiare pallido e assorto
Il testo della poesia “Meriggiare pallido e assorto”

Meriggiare pallido e assorto“: analisi e commento

Tra le crepe del muro scorge lunghe file di formiche rosse che si inerpicano fino alla sommità dei formicai. Anche il mare si vede in lontananza e la sua superficie è tremolante. In mezzo alle foglie e sulla sommità delle rocce si ode il frinire delle cicale.

Procedendo verso il sole abbagliante il poeta sii rende conto di quanto l’esistenza sia tormentata , come quando si voglia camminare su una muraglia cosparsa di cocci di bottiglia.

Il titolo della poesia “Meriggiare pallido e assorto” si riferisce alla contemplazione della natura da parte di Montale, che trascorre le ore del pomeriggio assorto nei suoi pensieri. Gli aggettivi “pallido” e “assorto” si riferiscono allo stato del poeta, che viene accecato dalla luce e dalla calura afosa. Immersa nella calura quasi irreale dell’estate, la vita sembra essersi fermata.

Le strofe montaliane non hanno alcunché di vitale, non c’è alcuna traccia di gioia o entusiasmo. Al contrario, i temi dominanti in questa poesia (ma anche in tutta la produzione di Montale) sono l’isolamento e la solitudine. Il poeta esprime la sua difficoltà di vivere pienamente a causa di ostacoli (immagine simbolo è la muraglia invalicabile che gli impedisce di comunicare con il prossimo). Anche l’orto viene visto come un luogo chiuso da cui è difficile evadere.

Le immagini nella poesia

Le altre immagini (le crepe nel muro, gli sterpi, i pruni, le rocce aride) richiamano il grigiore della vita, a differenza del sole che invece tutto abbaglia. Il poeta non è in grado di andare oltre (il mare rappresenta questo confine), e quindi non è capace di gioire e provare entusiasmo ed ottimismo.

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Come ritroviamo anche in altre liriche di Montale, in “Meriggiare pallido e assorto” vi è un’esaltazione del “Vero” (rifacendosi alla poetica di Giacomo Leopardi). Possiamo infatti trovare una similitudine tra l’orto di Montale e il giardino del male di cui Giacomo Leopardi scrive nello Zibaldone. Mentre in Leopardi si intravede un anelito alla ribellione e alla protesta, Eugenio Montale appare rassegnato, impotente e disorientato.

Una delle immagini più forti della poesia è la muraglia invalicabile perché piena di cocci aguzzi di bottiglia: la triste condizione di ogni uomo è di non sapere ciò che si trova aldilà delle apparenze e delle cose materiali che lo circondano. Anche in questa lirica di Montale si riscontra una disarmonia tra la natura e lo stato d’animo del poeta.

Mentre la natura esplode per la stagione estiva il poeta si mette a riflettere sulla tragica condizione esistenziale dell’uomo. Montale esprime così la profonda crisi che colpisce gli intellettuali del suo tempo, che rinunciano ad una visione di poeta come “profeta” ed utilizzano nelle loro liriche parole piuttosto aspre e dure, che servono a dare idea di un’esistenza “secca”, senza gioia né entusiasmo.

Meriggiare pallido e assorto” contiene allitterazioni, onomatopee, assonanze (si tratta di precise figure retoriche utilizzate per rendere la lirica più diretta). Da questa lirica è facile cogliere il concetto di poesia secondo Montale. Il poeta non è un profeta come accadeva ai tempi di Pascoli e D’Annunzio, ma un ricercatore della verità. Egli deve essere in grado di cogliere “il Vero” oltre le cose apparenti, attraverso momenti che possono durare anche lo spazio di un attimo.

La concezione pessimistica della vita in Montale richiama il “pessimismo cosmico” leopardiano, caratterizzato dalla solitudine e dall’incomunicabilità con i propri simili. Entrambi i poeti però intravedono uno spiraglio: la speranza è un sentimento che nessun uomo dovrebbe mai perdere anche dinanzi alle prove più ardue della vita!

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Cristiana Lenoci

Cristiana Lenoci è laureata in Giurisprudenza e specializzata nel campo della mediazione civile. La sua grande passione è la scrittura. Ha maturato una discreta esperienza sul web e collabora per diversi siti. Ha anche frequentato un Master biennale in Giornalismo presso l'Università di Bari e l'Ordine dei Giornalisti di Puglia.

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