La libraia di Piazzale Loreto (Tinin Mantegazza)
fate l’ammòre non fate la guerra
ho letto un libricino di tininmantegazza, la libraia di piazzale loreto – ed. corriere della sera, 2015. tinin mantegazza è una di quelle persone pazzesche di cui tutti abbiamo visto qualcosa ma che non conosciamo. tipo, avete presente dodò, il pupazzo dell’albero azzurro? ecco, l’ha disegnato lui. ha fatto il disegnatore, il giornalista, ha fondato teatri, lavorato con gente della milano bella, la milano della rinascita del dopoguerra.
questo libretto racconta delle storie di guerra. storie ambientate a milano, dove tinin viveva in quegli anni. storie che raccontano di squadre fasciste, di esecuzioni, di piccoli momenti di luce nel grigio-o meglio nero-di milano negli anni ’44-’45. val la pena leggerlo, davvero.
il mio nonno otello (sì, si chiamava davvero otello, suo padre era appassionato di verdi. ecco la lista dei nomi dei figli – fratelli e sorelle del nonno – otello, iago, cassio, ernani detto nani, radames detto ciccio, faust, liliano, violetta, nerina) lui aveva fatto la guerra. era andato in tunisia e siccome lui faceva il macellaio, l’han messo infermiere. ha totalmente senso no? e lui diceva che un po’ si era salvato la vita perché faceva l’infermiere anche se una volta era scoppiata una bomba sotto il cassone del camionambulanza e una scheggia gli aveva lasciato una cicatrice sul naso. io non l’ho mai vista quella cicatrice, ma c’era. poi altre volte era stato nascosto nelle buche con i compagni morti, ma credo queste siano storie che abbiamo sentito tutti.
raccontava che a casa, nonno era di rolo, vicino a carpi, la paura più grande era quando passavano i mongoli, che i mongoli erano i peggio cattivi di tutti. e poi lui era tornato e lavorava in ospedale e una volta era malato e nonna era andata ad avvisare che non poteva lavorare e le suore le han detto digli di non venire più, ché sono arrivati e chiudono tutto. e poi diceva della strada con tutti gli alberi, e ogni albero un impiccato. però lui ci è riuscito a uscirne e poi si è sposato nonna e poi si sono trasferiti e poi vabbe’ sono andati avanti.
però io non me lo ricordo bene quanto vorrei, tutto quello che diceva. perché nonno c’aveva già una certa e io ero regazzina e poi si è ammalato e non riusciva molto a parlare e poi non c’era più.
papà sa tante cose, le aveva anche scritte, in quelle domeniche pomeriggio in cui si andava dai nonni e per andare a brescia ci si metteva un’ora perché non c’era la tangenziale. e i pasticcini (le pastine) d’inverno e il gelato d’estate e la televisione su domenica in o poi su buona domenica e la noia estrema (ma avercene ora di domeniche così) e i giornali come gente che leggevo solo lì e i pranzi di nonna che erano sempre uguali tipo bucatini cotti 45 minuti (eh, li ho cotti la durata solita) e coniglio coi funghi che non se distingueva il coniglio dai funghi.
non era la stessa nonna di prima, era una che è venuta dopo. proud niece of the unica-nonna-in-italia-che-faceva-da-mangiare-demmerda. però questa nonna qui invece diceva di quando nascondevano i partigiani sulla maddalena.
a volte vorrei chiedere a papà di raccontarmi di più, ma io non voglio che si intristisca pensando al nonno e allora non lo faccio.
l’altro nonno invece la guerra non l’ha fatta perché me par che fosse più giovane e stava facendo l’università o robe così.
allora leggendo tinin mantegazza ho pensato che era come avere un nonno che ti racconta le cose. anche se non posso andare a trovarlo la domenica, è memoria storica. sono quelle cose che non ti raccontano quando studi storia (nel mio caso quando? quando è che studi storia annì?) perché ok magari sai di quell’avvenimento lì, ma sai come stava la gente? quanta fatica faceva, cosa succedeva? tinin mantegazza lo racconta senza vittimismo, racconta le persone quelle vere. come il mio nonno, o come il tuo.