Giuditta e Oloferne (Caravaggio)
Giuditta e Oloferne di Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) è un dipinto che il celebre pittore realizzò tra il 1597 ed il 1600 su commissione del banchiere genovese Ottavio Costa. Attualmente la tela si trova all’interno della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma.
L’episodio della Bibbia di Giuditta e del re assiro Oloferne
Nell’opera, considerata uno dei migliori capolavori del Caravaggio, la prima in cui l’artista raggiunge la punta massima di quella drammaticità figurativa che lo contraddistingue, è rappresentato un episodio biblico: Giuditta, simbolo di virtù e devozione divina, decide di salvare il suo popolo dall’assedio del re assiro Oloferne così, una notte, entra con la sua serva nella tenda del tiranno, facendogli credere di voler tradire la sua gente.
Oloferne, incantato dalla bellezza della donna, cede all’inganno e, dopo averla invitata ad un banchetto, si ubriaca. Giuditta, pronta ad approfittare del momento di abbandono dell’uomo, sferra una scimitarra e lo decapita, per poi riporre la sua testa all’interno di una sacca e consegnarla al popolo assediato, in segno di vittoria.
Giuditta e Oloferne: analisi del quadro
Caravaggio, nel suo studio, era solito posizionare alcune lanterne attorno ai suoi modelli, per illuminare punti precisi dei loro corpi; l’intento era quello di donare tridimensionalità e dinamismo alle figure tramite una “luce radente”, che sfiorava le superfici, sottolineando solo alcune parti della scena e lasciando al buio il resto.
I corpi dei soggetti raffigurati nel dipinto, sembrano uscire dallo sfondo nero per prendere vita, divenendo i protagonisti assoluti. Giuditta è immortalata nel momento in cui sta compiendo l’esecuzione, mentre impugna con la mano destra l’arma affondata per metà nel collo di Oloferne e, con la mano sinistra, gli afferra saldamente i capelli, pronta a non far cadere a terra la testa.
La donna indossa una camicia candida, simbolo di purezza, ed ha un’espressione corrucciata, che lascia trasparire lo sforzo interiore che sta sostenendo nel compiere quel gesto cruento. Oloferne, disteso su di un letto a pancia sotto, è colto alla sprovvista; stupito, terrorizzato, ha gli occhi sbarrati e sente che sta per morire. Tenta di risollevarsi, poggiando la mano destra sul giaciglio, torcendo appena il busto, ma non è in grado di reagire. Un fiotto di sangue esce fuori dalla sua gola, sporcando le bianche lenzuola, ha la bocca aperta ed i muscoli contratti, ma ancora per poco.
La schiava Abra attende pazientemente, al fianco di Giuditta, che si concluda il delitto, tenendo tra le mani il sacco dentro cui trasportare la testa di Oloferne. Caravaggio si oppone alla versione biblica di Giuditta, che la vuole casta ma ingannevole, facendo assumere alla serva tutti gli aspetti psicologici negativi della vicenda: Abra è vecchia, è brutta (la sua carnagione scura entra in contrasto con quella chiara della giovane donna), è l’umanità corrotta dal peccato, a cui è destinato quell’omicidio liberatorio, cruento, ma pieno di puro coraggio.