Marcinelle (Belgio): gli italiani morti in miniera
Ricordato come “Disastro di Marcinelle“, esso fu un terribile incidente che avvenne la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio. Persero la vita 262 persone su 275 al lavoro quel giorno.
La causa sarebbe stato un incendio innescato da una scintilla elettrica vicino al condotto dell’aria che provocò la diffusione del fumo in tutta la miniera, soffocando tutti i lavoratori lì presenti. L’incidente ebbe un impatto impressionante sulle coscienze della gente, restando per tanti anni uno dei più gravi nel suo genere mai avvenuti in Europa.
Approfondimento
I lavoratori italiani coinvolti nel disastro
Gli operai provenivano per la maggior parte dall’Italia: persero la vita 136 italiani, 95 belgi e altri lavoratori provenienti da tutta Europa. L’Italia aveva sottoscritto un accordo con il Belgio il 20 giugno 1946, al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel quale si impegnava ad inviare 50.000 lavoratori nelle miniere in cambio di carbone.
Questo accadde perché il Belgio, non essendo molto popolato, perse ancor più forza lavoro a causa delle vittime della guerra e pertanto aveva un forte bisogno di manodopera proveniente dall’estero. La situazione dei lavoratori italiani all’epoca era molto precaria e molti, specie provenienti dalle zone più povere del paese, scelsero di andare a lavorare all’estero in cerca di fortuna.
Si intensificarono così i flussi migratori verso i paesi del nord Europa e, in modo particolare, nelle miniere belga, tedesche e francesi. Nel 1956 su un totale di 142.000 impiegati nelle miniere del Belgio ben 44.000 erano italiani.
Per convincere le persone ad emigrare in Belgio e a lavorare in miniera, erano state avviate in Italia molte campagne pubblicitarie e il bel paese veniva tappezzato di manifesti di colore rosa. Qui venivano presentati i vantaggi di questo mestiere: pensionamento anticipato, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, buono stipendio, assegni familiari etc.
Tuttavia non era incluso nessun cenno ai pericoli ai quali erano esposti questi lavoratori, dovuti in alla mancanza del rispetto delle elementari norme di sicurezza.
Dopo il disastro di Marcinelle, si ridusse notevolmente il numero di italiani immigrati in Belgio; attualmente vi risiedono stabilmente soltanto 190.000 italiani.
Le cause dell’incidente e il corso degli eventi
L’incendio, che causò poi la diffusione del fumo che soffocò i minatori, fu provocato da una scintilla elettrica vicino a dell’olio ad alta pressione. L’errore fu causato probabilmente da un equivoco di segnali che dovevano scambiarsi due lavoratori: Antonio I. addetto alle manovre, e il suo aiutante Vaussort.
Nell’atto di caricare l’ascensore, i due vagoncini, col carico di carbone da trasportare in superficie, sporgevano e per questo andarono ad urtare un’asse di acciaio (putrella) che a sua volta andò ad urtare il condotto di olio, il filo della corrente elettrica e le condotte di aria compressa.
Tutte queste componenti innescarono un terribile incendio. Ciò avvenne proprio vicino al pozzo di entrata dell’aria e il fumo si diffuse velocemente nelle condotte d’aria e in tutte le gallerie della miniera, provocando il soffocamento dei minatori che vi lavoravano.
Il fuoco divampò invece in una zona circoscritta della miniera. L’allarme venne dato da Antonio I. alle ore 8:25 quando risalì in superficie per primo, anche se si era già capito dalle 8:10 che stava succedendo qualcosa di molto grave poiché iniziarono ad interrompersi le comunicazioni.
La prima squadra di soccorritori arrivò soltanto alle 8:58 ma fu impossibile scendere a causa del troppo fumo. Nessuno riuscì a scendere prima delle 15:00, quando vennero ritrovati solo 3 superstiti, mentre gli ultimi 3 furono scoperti più tardi, in un’altra spedizione.
Dopo l’incidente
La mobilitazione generale fu enorme: sul posto si riunirono Croce Rossa, Pompieri, Protezione Civile e Polizia, tentando invano di raggiungere i minatori bloccati sottoterra. Si cercò di aprire anche un cunicolo laterale ma era già troppo tardi. Arrivarono anche semplici cittadini che volevano aiutare i soccorritori nelle ricerche.
Sul posto perfino un esperto francese con l’apparecchiatura radiotelefonica, pronto a captare qualsiasi segnale proveniente da sottosuolo. Da ricordare due personaggi in particolare: G. Ladrière “l’angelo di Cazier”, assistente sociale che tentò di consolare le famiglie delle vittime, e Angelo Galvan “la volpe di Cazier” che cercò fino all’ultimo i suoi compagni superstiti, purtroppo invano.
Il ministro dell’economia Jean Rey creò una commissione di inchiesta composta anche da due ingegneri italiani, Caltagirone e Gallina, tentando di rintracciare i responsabili diretti o indiretti della tragedia. La commissione era composta da 27 membri che si riunirono in 20 sedute, ogni gruppo di membri cercò di difendere i propri interessi anziché ricercare la verità sull’accaduto.
L’inchiesta giudiziaria fu avviata dal magistrato Casteleyn e vide al suo termine un solo condannato: l’ingegnere Calicis; a lui furono dati 6 mesi con la condizionale e una multa di 2000 franchi belga. Le restanti 4 persone vennero assolte e la società Bois du Cazier venne condannata a pagare una parte delle spese per risarcire i parenti delle vittime: la causa si concluse solo nel 1964 con un accordo tra le parti.
Le omissioni
Quel che è certo è che sicuramente la tragedia poteva essere, se non evitata, quando meno ridimensionata. I minatori non morirono serenamente sul loro posto di lavoro ma cercarono di scappare, tant’è vero che molti di loro furono ritrovati cadaveri lontano da dove erano soliti lavorare.
Esisteva un verricello di emergenza, una sorta di ascensore, che doveva funzionare in caso di blocco di quello principale ma non venne mai utilizzato dai soccorritori a causa della scarsa velocità con la quale saliva e scendeva.
Le riserve d’acqua erano piene solo per metà e questo costrinse i pompieri a spegnere l’incendio con l’acqua delle condutture domestiche.
Per quanto riguarda la dinamica dell’incidente principale, non si è arrivati mai alla scoperta della verità in quanto dopo lo spegnimento dell’incendio il vagoncino che doveva sporgere in realtà non si capovolse nemmeno e fu ritrovato al suo posto. Probabilmente la causa era molto più complessa di quella che fu fornita ufficialmente.
Certo è che l’assenza durante quella mattina di alcune figure fondamentali nella direzione del lavoro della miniera giocò un ruolo fondamentale. Mancavano sul posto di lavoro J. Bochkoltz, il direttore della centrale di soccorso, P. Dassargues, ingegnere ancora in periodo di tirocinio, ed E. Jacquemyn, il direttore generale della miniera, tutti prosciolti.
La giustizia non fece il suo corso e i veri motivi della strage probabilmente non saranno mai chiariti. A distanza di tanti anni resta il dolore per quei tanti lavoratori italiani, emigrati alla ricerca di fortuna e che invece di trovare un buon posto di lavoro, trovarono la morte in un terribile incidente.