San Matteo e l’angelo (opera di Caravaggio)
“San Matteo e l’angelo” è una delle tre opere che compongono il ciclo pittorico destinato alla cappella Contarelli, ubicata all’interno della chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, e commissionata al Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli).
Approfondimento
San Matteo e l’angelo: analisi
La tela è di notevoli dimensioni (292 cm x 186 cm), anche se più piccola, sia in larghezza sia in altezza, rispetto alle altre due opere (La vocazione di San Matteo ed il Martirio di San Matteo) che l’artista realizzò per portare a compimento il suo primo incarico pubblico ricevuto a Roma.
In un primo momento, l’allestimento dell’altare maggiore della cappella era stato affidato al fiammingo Jacob Cornelisz Cobaert. Questi, per l’occasione, aveva realizzato un gruppo scultoreo avente come tema appunto San Matteo e l’angelo. Accadde però che Francesco Contarelli, nipote del defunto cardinale, rifiutò l’opera dello scultore, ritenendola inadeguata. Così anche questo incarico venne conferito al Caravaggio, che aveva già terminato i due dipinti laterali.
Due versioni
Il pittore realizzò due versioni di San Matteo e l’angelo; nella prima, San Matteo ha le sembianze di un uomo rozzo e inconsapevole che, stupito, si lascia guidare la mano da un angelo paziente il quale, rimanendogli accanto, in piedi, lo aiuta a scrivere il suo vangelo.
Secondo alcuni studiosi, la tela fu contestata e quindi rimossa dall’altare maggiore subito dopo la sua collocazione. Essa fu ritenuta volgare a causa dell’aspetto grossolano che l’artista aveva imposto al santo. Altri invece, sostengono che lo stesso Caravaggio, resosi conto del sottodimensionamento del dipinto rispetto al vano a cui era destinato, e del contrasto della composizione rispetto alle regole di centralità dettate dalla Controriforma in merito alla rappresentazione dei martiri-eroi, avesse deciso di proporre un’alternativa.
Il dipinto trovò subito un acquirente nella persona del marchese Vincenzo Giustiniani e successivamente, nel 1815, venne liquidato, assieme ad altre opere e per ragioni economiche, dagli eredi di quest’ultimo a favore del re di Prussia.
Purtroppo però, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra il 5 e il 10 maggio 1945, l’opera (così come altre tele del Caravaggio) andò distrutta durante l’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino. Quella ancora oggi esposta sull’altare centrale della cappella, è la seconda versione del dipinto proposta dal Caravaggio, lì collocata dal 1603.
Descrizione del quadro
Sullo sfondo scuro si stagliano le due figure protagoniste. Il colore acceso delle vesti di Matteo e il bianco lenzuolo caratterizzato da sinuosi vortici che avvolgono l’angelo calato dall’alto, conferiscono movimento alla scena.
In questa versione, San Matteo ha un aspetto diverso, più distinto. Anche se, secondo la tradizione, è un ignorante ed un non così fervido credente; risulta sorpreso ma non inconsapevole, perché è ispirato ma non guidato.
San Matteo ha un’aureola accennata, è a piedi nudi. Ha la gamba sinistra sopra uno sgabello traballante, poiché è intento a scrivere.
L’angelo lo sorprende con il suo arrivo, tanto da fargli perdere l’equilibrio mentre si gira per guardarlo.
Il messaggero lo aiuta dettandogli le parole divine. Con la posa delle dita è chiaro che tiene la conta, nell’elencargli la genealogia di Cristo. Lo sguardo di Matteo è vivido, attento, devoto, rispettoso. E’ in attesa di cogliere il sacro verbo con la sua mano pronta che impugna una penna.
Commento
La prima versione era certamente permeata da maggiore realismo, palesemente ostentato; qui, invece, si percepiscono nettamente quei limiti imposti dalla Chiesa per quanto riguarda i canoni di rappresentazione del periodo. Ma, con maestria e per l’ennesima volta, il ribelle Caravaggio riesce a mostrarci l’essenza umana per quella che è. Ovvero tramite i tratti somatici di un Matteo, uomo del popolo, malcelato sotto una tunica.