Non chiederci la parola, poesia di Montale

La lirica “Non chiederci la parola” è una della più famose ed importanti presente nella produzione di Eugenio Montale perché rappresenta una vera e propria dichiarazione della sua poetica. Fu composta nel 1923 e collocata all’interno della sezione Ossi di seppia, che poi darà il titolo alla sua prima raccolta.

Non chiederci la parola

La raccolta Ossi di Seppia

Quest’ultima fu pubblicata nel 1925, anni in cui in Italia si stava affermando il regime fascista. Il titolo è esemplificativo del contenuto della raccolta stessa: gli ossi di seppia sono infatti lo scheletro dei molluschi che resta, dopo la loro morte, sulla spiaggia.

Montale scelse di intitolare la raccolta proprio agli ossi di seppia perché essi rappresentano a pieno l’aridità dell’esistenza e che diventa il simbolo del “male di vivere” che domina la realtà.

La raccolta è strutturata in cinque parti: In limine (che svolge la funzione di prologo), Movimenti (11 liriche), Ossi di seppia (22 liriche, alla quale appartiene anche Non chiederci la parola), Mediterraneo (poemetto unico composto da 9 liriche), Meriggi (11 liriche) e Riviere (poesia epilogo della raccolta). Della raccolta fanno parte anche le poesie: I limoni, Meriggiare pallido e assorto, Spesso il male di vivere ho incontrato.

Non chiederci la parola: testo della poesia

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Analisi della lirica

Non chiederci la parola rappresenta il messaggio che Montale vuole lanciare con Ossi di seppia. La poesia non può più trasmettere delle certezze, può soltanto raccontare tutto ciò che non siamo e non vogliamo.

Questa lirica si colloca in un periodo del Novecento durante il quale crollarono tutti gli ideali. L’uomo si trovava circondato dalle ideologie nazionaliste e massificatrici, per questo non aveva più una bussola grazie alla quale potersi orientare.

In questo clima, il lavoro svolto da Montale rappresenta tutto ciò che i poeti stavano vivendo in prima persona. Rappresenta tutto il loro dolore e l’impossibilità di espressione difronte alle cose della vita.

Le strofe

La poesia in esame è formata da tre quartine di versi liberi, con molti endecasillabi e settenari: le prime due strofe hanno rime incrociate (ABBA, CDDC), la terza ha rime alternate (EFEF).

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La prima strofa si rivolge ad un tu generico, che si può identificare con il lettore stesso, al quale il poeta, in prima battuta, lancia una negazione che accompagna la sua dichiarazione. (Lettore) non chiederci (a noi poeti) quella parola che possa definire in modo chiaro la nostra anima che è informe (= piena di incertezze) e lo chiarisca in modo semplice e la faccia risplendere come un croco in un prato.

La similitudine col croco (fiore dello zafferano) cerca di evidenziare la ricerca di questa verità che splenda proprio come un fiore in un campo, ben vivida e sicura.

Nella seconda strofa Montale loda quel tipo di uomo che non si cura di ciò che sta accadendo intorno a lui. Anzi è sicuro sia di stesso che degli altri e non è inquieto come il poeta. Non si interessa neanche della sua ombra che viene proiettata sul muro scrostato in una calda estate. Si tratta dell’uomo qualunque, che non nota il male di vivere che lo circonda ma continua per la sua strada.

Nella terza strofa, che ha una struttura speculare con la prima, il poeta si rivolge di nuovo al lettore. Egli non può chiedere ai poeti la formula magica che possa aprire la conoscenza a mondi nuovi. Può soltanto ricevere delle parole incerte e scarne, tutto ciò che non siamo e che non vogliamo.

Dal punto di vista stilistico, prevale l’utilizzo di parole dalla sonorità aspra e stridente (v. 10 storta sillaba, secca), che si può evidenziare anche con la presenza di rime interne (v. 12 siamo-vogliamo). Sono presenti anche alcuni enjambement (v. 1-2; v.3-4; v. 7-8) e similitudini (v. 3 come un croco; v. 10 come un ramo). Importante anche l’anafora di non all’inizio della prima e della terza strofa.

Commento e riflessione

La lirica si conclude quindi con il suo messaggio di poetica: Montale denuncia quanto il mondo moderno sia completamente privo di certezze. È meglio non vivere una vita illudendosi che le cose vadano bene ma accettare ciò che ci circonda.

La poesia termina, quindi, con due negazioni (ciò che non siamo e ciò che non vogliamo) perché secondo il poeta l’unica strada da seguire è quella di guardare in faccia la realtà, rifiutando qualsiasi tipo di modello precostituito o falso ideale.

Eugenio Montale propone quindi una lucida visione della vita, raccontata attraverso le sue poesie ricche di messaggi destinati agli uomini e in piena sintonia col clima di inquietudine del primo Novecento.

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Anna D'Agostino

Anna D'Agostino, napoletana di nascita portodanzese d'adozione, laureata in Filologia Moderna e appassionata di scrittura. Ha collaborato con varie testate come giornalista pubblicista, attualmente insegna Lettere in una scuola secondaria di primo grado.

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