La poetica di Alessandro Manzoni
La poetica di Alessandro Manzoni è incentrata sul principio romantico dell’arte come rappresentazione del vero ed è alla base della corrente realistico-oggettiva del romanticismo italiano. Essa, anche se trattata in scritti sparsi e occasionali, è organica e coerente con la concezione cristiana della vita che egli ebbe.
Nella prefazione all’opera Il Conte di Carmagnola il Manzoni rifiuta le unità pseudoaristoteliche di luogo e di tempo della tragedia, ammette solo l’unità di azione, ma la intende non nel senso di “unicità”, ossia come rappresentazione di un fatto unico e isolato, ma nel senso di un complesso organico di avvenimenti, di un pezzo di storia, come dice il Sansone, in sé concluso.
Manzoni accenna poi al carattere particolare dei cori da lui introdotti nella tragedia. A differenza dei cori del teatro greco, che erano parte integrante dell’azione, Manzoni considera i cori come squarci lirici, un cantuccio, come egli dice, in cui egli esprime il suo sentimento in un momento culminante dell’azione. Essi si possono quindi eliminare senza che l’azione ne risenta.
Infine, la poetica di Alessandro Manzoni affronta il problema della moralità dell’arte drammatica, respingendo le accuse dei padri della Chiesa e di tanti scrittori cattolici, i quali condannavano il teatro e il romanzo come causa di corruzione dei costumi. Egli invece ritiene che l’arte in genere, e quindi anche la poesia drammatica e il romanzo, se hanno un contenuto umano, religioso e morale, lungi dal corrompere, possono essere strumenti di educazione e di elevazione morale per il popolo.
Nella lettera a Monsieur Chauvet (un critico classicista francese che aveva criticato il Manzoni perché non aveva rispettato nella tragedia le tre unità pseudoaristoteliche di tempo, di luogo e di azione), l’autore italiano risponde che le tre unità, oltre ad essere un impaccio dannoso all’ispirazione del poeta, sono contrarie alla verità dei fatti, che il poeta deve rispettare.
Il Manzoni prende lo spunto da questo dovere del poeta di rispettare la verità dei fatti, per parlare del rapporto tra storia e poesia. Egli dice che storia e poesia hanno un comune oggetto di osservazione e di rappresentazione: il vero, cioè il reale accadimento dei fatti, ma lo trattano in modo diverso. La storia indaga criticamente i fatti, studiandone le cause, lo svolgimento e gli effetti, e non si cura dei sentimenti con cui i protagonisti e i popoli hanno vissuto quei fatti. La poesia allora integra la storia, cercando di interpretare, sullo sfondo del vero storico, il verosimile psicologico e sociale, ossia i sentimenti con cui gli individui e i popoli hanno vissuto i fatti storici. Ma la poesia integra la storia anche dal punto di vista religioso e morale, perché mette in evidenza il divino, la Provvidenza che opera nella coscienza individuale e nella storia.
In questa fase della poetica manzoniana il vero della storia e il verosimile (o l’invenzione) della poesia, hanno pari dignità e sono tra loro in rapporto di reciproca integrazione. Alla luce di questa poetica Manzoni compose i suoi capolavori: gli Inni sacri, le tragedie, i Promessi Sposi, che segnano una vera e propria svolta nella tradizione culturale italiana.
La poesia del Manzoni, infatti, non è di tipo petrarchesco, egocentrica, aristocratica, idillica, elegiaca, come quasi è tutta la poesia italiana dal Petrarca al Leopardi, ma è una poesia oggettiva, positiva, democratica, nel senso che al centro di essa non c’è l’io lirico solitario e individualistico del poeta, ma gli uomini colti nella realtà concreta degli avvenimenti storici, nella loro condizione di miseria e di grandezza, di dolore e di consolazione, di peccato e di redenzione.
La poetica del Manzoni si precisa ancora di più nella lettera “Sul Romanticismo” scritta al Marchese Cesare D’Azeglio (padre di Massimo D’Azeglio), che, pur dichiarandosi ammiratore della poesia del Manzoni, aveva dichiarato di non condividere le teorie romantiche seguite dal poeta. Il Manzoni risponde prendendo le difese del Romanticismo italiano.
Nella prima parte elenca ciò che il Romanticismo rifiuta della vecchia poetica classicistica, e cioè l’uso della mitologia, le regole della retorica e dei generi letterari, l’imitazione servile dei classici, tutti elementi nocivi alla sincerità dei sentimenti. Al rifiuto della mitologia il Manzoni perviene anche attraverso una motivazione morale. La mitologia classica, egli dice, è tutta imbevuta della morale edonistica pagana, la quale esaltava i beni terreni, le passioni e i piaceri, che la morale cristiana invece svaluta e rifiuta. Continuare ad usare la mitologia nelle opere letterarie significa mantenere vive le idee della morale pagana.
Nella seconda parte il Manzoni formula il principio fondamentale della sua poetica, che è questo: “la poesia e la letteratura in genere deve proporsi l’utile per scopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo“.
L’utile per scopo significa che la poesia deve mirare ad educare e ad elevare spiritualmente l’uomo singolo e il popolo. Essa raggiunge questo scopo specialmente quando evidenzia la presenza vigile e operosa della Provvidenza nella storia.
Il vero per soggetto significa che la poesia deve trattare il vero storico, ma non nella crudezza cronachistica e critica degli avvenimenti, il che è compito della storia, bensì il vero storico integrato e arricchito dal vero psicologico, sociale e religioso. Essa insomma deve essere una meditazione, fatta alla luce della visione cristiana della vita, sugli avvenimenti e sui riflessi che essi hanno sugli individui e sulle moltitudini.
L’interessante per mezzo significa che l’argomento della poesia deve essere attuale, moderno, popolare, dì largo interesse generale, non individuale o personale, come nelle liriche di tipo petrarchesco. Nell’edizione del 1870 il Manzoni ridusse il principio formulato in precedenza al solo “vero per soggetto”, perché tutto ciò che è vero, è anche utile e interessante.
Nel Discorso sul romanzo storico (1830), pubblicato dopo i Promessi Sposi, Manzoni torna a meditare sul rapporto tra storia e poesia e conclude che il vero autentico è quello storico, al quale nulla può aggiungere la fantasia del poeta, che anzi rischia col suo intervento di deformare la verità dei fatti.
Quindi quello che prima era un rapporto di reciproca integrazione tra storia e poesia, ora gli appare un rapporto di opposizione e incompatibilità. Perciò il romanzo storico è un’opera fallita, un ibrido, che si risolve in un tentativo, goffo e presuntuoso, di darci, mediante un’assurda mescolanza di storia e di invenzione, una rappresentazione della realtà più completa di quella offerta dalla storia. Giunto a questa fase involutiva della sua poetica, il Manzoni rinunciò alla poesia e si dedicò alla composizione di opere storiche e dottrinali.
Separando il vero storico dall’invenzione fantastica o dal verosimile, la storia quindi dalla poesia, egli intuì la diversità della poesia, ma non la portò alle estreme conseguenze fino a intuire l’autonomia della poesia, il cui vero fantastico, se è radicato profondamente nell’umanità del poeta e nella sua cultura, non è meno vero del vero positivo della storia.