La strage di Piazza Fontana
Il 12 dicembre del 1969 una bomba scoppia presso la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana a Milano. Sono le 16:37 e lo scoppio provoca la morte di diciassette persone e il ferimento di altre ottantotto. In un lasso di tempo di appena 53 minuti, oltre all’ordigno milanese, scoppiano a Roma altre due bombe: una in Via Veneto vicino alla Banca del Lavoro e una davanti all’Altare della Patria a Piazza Venezia.
Gli attentati rientrano nella cosiddetta stagione del terrore che insanguina l’Italia negli anni compresi tra il 1968 e il 1974. La motivazione con la quale i terroristi agiscono è quella di mantenere il clima di tensione instaurato dai gruppi di estrema destra con l’intento di fare pressione sugli organi di governo, e favorire così un inasprimento delle politiche di repressione. Oltre alla bomba di Piazza Fontana, viene rinvenuto anche un secondo ordigno inesploso in Piazza della Scala nei pressi della Banca Commerciale Italiana.
Approfondimento
Il primo indagato: Giuseppe Pinelli
Le prime indagini portano all’arresto del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, che muore misteriosamente precipitando dai balconi della questura dopo tre giorni di interrogatorio. L’autopsia non viene resa pubblica, ma il sostituto procuratore responsabile del caso, Gerardo D’Ambrosio, definisce l’incidente un “malore attivo”. Secondo tale definizione, il Pinelli si sarebbe sentito male, e, sporgendosi eccessivamente dalla ringhiera, sarebbe precipitato.
In quel momento nella stanza non è presente il commissario che conduce le indagini, Luigi Calabresi, eppure l’uomo viene ritenuto responsabile, e fatto oggetto di una serie di attacchi che lo isolano e lo rendono vulnerabile. Gli attacchi provengono soprattutto dal giornale di Lotta Continua e dagli ambienti di sinistra. E saranno proprio degli esponenti di Lotta Continua a deciderne la morte.
Il commissario Calabresi viene assassinato il 17 maggio del 1972. Sono stati condannati come esecutori materiali dell’omicidio, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino e, come mandanti, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Il commissario Calabresi e gli altri agenti, inizialmente processati per omicidio colposo, sono stati scagionati nel 1975 perché il fatto non sussiste.
Il secondo indagato: Pietro Valpreda
Il 16 dicembre del 1969, grazie alla testimonianza di un tassista, Cornelio Rolandi, viene arrestato anche il secondo sospettato, Pietro Valpreda. Secondo quanto affermato dal testimone, l’uomo si sarebbe diretto verso Piazza Fontana munito di una pesante valigia. Dopo l’interrogatorio, il procuratore Vittorio Occorsio contesta a Valpreda quattordici omicidi, ricevendo immediatamente le congratulazioni per il lavoro svolto dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat.
La ricostruzione dei fatti fornita dal tassista presenta, però, delle incongruenze, prima fra tutte un improbabile percorso a bordo della vettura di soli 20 metri. Dopo ulteriori indagini comincia a prendere corpo l’ipotesi che l’uomo sul taxi non sia Valpreda, ma Antonino Sottostanti, un ex legionario di origine siciliana infiltrato nei circoli anarchici, dove è conosciuto con il soprannome di Nino il fascista.
Il Sottosanti risulta fisicamente molto simile all’imputato. Secondo una delle ricostruzioni, tale somiglianza sarebbe stata usata da servizi deviati e gruppi di destra per pagare l’uomo affinché portasse la valigia con l’ordigno, facendo così ricadere la responsabilità della strage sugli anarchici. La ricostruzione, avvalorata anche da quotidiani come Il Corriere della Sera, risulterà falsa in quanto Sottostanti al momento dello scoppio è in compagnia del Pinelli. Quest’ultimo deve consegnarli un assegno di pagamento per la testimonianza resa in favore di un altro anarchico, il Pulsinelli, a torto accusato di un attentato alla Caserma Garibaldi. A complicare la situazione è la reticenza di Pinelli a svelare i fatti per timore che la testimonianza resa da Nino il fascista possa essere considerata falsa.
Le Brigate Rosse conducono una propria inchiesta sulla strage, di cui consegneranno solo in parte gli incartamenti alla magistratura. Secondo tale ricostruzione l’attentato è opera dei gruppi anarchici che si sono procurati esplosivo e ordigni dagli ambienti di destra. Il Pinelli, dunque, si sarebbe suicidato per il rimorso di essere incappato inavvertitamente nel traffico degli esplosivi usati per la realizzazione dell’ordigno.
L’arresto e il proscioglimento dei responsabili
Le indagini proseguono e, grazie alla scoperta della provenienza del timer da Treviso e delle borse da Padova, vengono individuati due esponenti di Ordine Nuovo: Franco Freda e Giovanni Venturi. Nel 1971 viene scoperto un arsenale di munizioni Nato presso l’abitazione di un militante veneto di Ordine Nuovo. Ci sono anche casse con un esplosivo simile a quello utilizzato per Piazza Fontana. Finiscono in manette Freda e Venturi e insieme a loro Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo.
Giovanni Venturi confessa la responsabilità di ben 21 attentati realizzati nel 1969, ma nega quello di Piazza Fontana. In una cassetta di sicurezza intestata alla zia vengono, però, ritrovati dei documenti dai quali emerge l’esistenza di una stretta comunicazione con Guido Giannettini, agente del SID meglio conosciuto come agente Z.
La magistratura interpella il SID che, per bocca del comandante Vito Miceli, dichiara il segreto di Stato. Sarà lo stesso Giannettini a consegnarsi al consolato italiano di Buenos Aires nel 1974. Il SID interviene anche in favore di Venturi, e, per timore che possa parlare, gli fa avere le chiavi della cella del carcere di Monza in cui è detenuto e un narcotizzante per le guardie. Nel 1972, Valpreda viene scarcerato, e poi nel 1985 prosciolto per insufficienza di prove insieme a Freda e Venturi. Questi ultimi due escono definitivamente dal processo nel 1987, quando La Cassazione rende definitiva la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Bari nel 1985.
Solo Carlo Digilio, neofascita di Ordine Nuovo, confessa il ruolo avuto, e ottiene nel 2000 la prescrizione del reato proprio in virtù della collaborazione resa. Sempre Digilio riferisce di una confessione fattagli da Delfo Zorzi secondo la quale sarebbe stato lui stesso a piazzare la bomba. L’uomo, però, trasferitosi in Giappone nel 1974 è diventato un imprenditore di successo, e gode della protezione del governo giapponese che non ha concesso allo stato italiano l’estradizione.
Nel 2005 la Corte di Cassazione assolve Delfo Zorzi, Carlo Maggi e Giancarlo Rognoni, tutti militanti di Ordine Nuovo. Nella sentenza i magistrati chiariscono che la responsabilità morale e storica della bomba è da attribuirsi a Franco Freda e Giovanni Venturi, capi del gruppo anarchico ideatore dell’attentato.
Nel 2009 le vedove di Pinelli e di Calabresi si incontrano invitate da Giorgio Napolitano, e, per la prima volta, si stringono la mano.