Homo faber fortunae suae – ognuno è artefice del suo destino: origine del modo di dire
L’uomo è artefice della propria fortuna. All’uomo spetta il compito di forgiare il suo destino. Homo faber fortunae suae.
Quante volte abbiamo sentito dire questa frase?
Per motivarci, come per risollevarci da un fallimento, magari, un amico si è sentito di ricordarci che siamo noi e solo noi a plasmare il nostro domani.
E’ un modo di dire molto in linea con il self-made man del nostro tempo, ci sarebbe da dire.
E invece no!
Già, perché l’origine di questa locuzione è latina e quindi antica.
Scopriamo assieme le origini.
Approfondimento
Lectio latina: come prendere in mano la propria vita
La locuzione originale risale alla lingua latina: homo faber fortunae suae (qui trovi un elenco di proverbi latini).
La traduzione è “l’uomo è artefice della propria sorte”.
Si può trovare questa frase anche in un’altra forma, ovvero: homo faber ipsius fortunae.
In quest’ultima versione il verbo est è omesso per rendere la frase più scorrevole.
Un ulteriore variante della suddetta frase è la locuzione forse più famosa e grammaticalmente più complessa:
Faber est suae quisque fortunae.
Si traduce sempre come
ciascuno è artefice della propria fortuna.
Homo faber fortunae suae: chi ha pronunciato questa frase?
Il primo a mettere insieme le parole che compongono la frase “homo faber fortunae suae” fu Appio Claudio Cieco, politico e letterato romano.
Scrisse questa frase nella sua opera “Sententiae”.
Si tratta di una raccolta di massime risalente al IV secolo a. C. di cui solo tre frammenti sono giunti a noi.
Più avanti viene ripresa da Pseudo Sallustio, che scrive:
fabrum esse suae quemque fortunae.
La traduzione resta: “Ciascuno è artefice del proprio destino”.
Homo faber anche per l’Umanesimo
Il concetto di homo faber fu ripreso dagli umanisti nel XIV secolo. Questo uomo era l’ideale della nuova umanità nell’Italia rinascimentale così come nelle grandi corti europee.
Nel concetto si indicava un uomo capace di mettere insieme sapere e potere, uomo attore e costruttore del mondo.
L’homo faber era oltre l’homo sapiens perché abile a tenere insieme le parti: macro e micro, cielo e terra, e in questo senso a costruire il proprio vissuto.
Homo faber vs homo religiosus
Tanto è self made questo homo faber che di concetto va in contrapposizione con l’homo religiosus.
Da una parte c’è una forza e una potenza terrena ad autodeterminarsi; dall’altra c’è l’abbandono ad un destino nelle mani del Cielo.
Da una parte c’è la visione della costruzione della vita laica e centrata sull’uomo e le sue azioni; dall’altra parte c’è una visione teocentrica con il Divino generatore dell’oggi e del domani.
Tutto cambia nel ‘900
La separazione fra faber e religiosus mostra la sua debolezza nel tempo. La filosofia del ‘900 supera questo divario.
Essere artefici del proprio destino non significa separarsi dal Trascendente, laddove il sacro è esso stesso nella coscienza stessa dell’uomo e della sua storia.
Nel ‘900 non occorrono più etichette: la liquidità della modernità permette di centrare la propria autodeterminazione tenendo senza problemi lo sguardo verso il Cielo. Fino alla valutazione di una piena identificazione fra le due parti.
Come dire: io mi autodetermino, io creo la mia fortuna perché, in fondo, il divino dimora in me.