Critica manzoniana
Nella storia della critica manzoniana tre sono le posizioni più importanti: la critica di Francesco de Sanctis, la critica di Benedetto Croce e la critica marxista.
Approfondimento
La critica manzoniana di Francesco de Sanctis
Per il De Sanctis l’arte del Manzoni consiste nel nesso tra ideale e reale. Il Manzoni, infatti, è l’iniziatore del realismo del primo Romanticismo in Italia, di quella letteratura cioè che coglie la realtà non nella sua crudezza opaca, ma vivificata e fusa con l’ideale. La storia della poesia manzoniana è in questo calarsi progressivo dell’ideale nel reale, che si compie pienamente nei “Promessi Sposi“.
Prima dei Promessi Sposi, negli Inni Sacri e nelle tragedie, il Manzoni rappresenta il mondo ideale, staccato e contrapposto a quello reale. Nel Conte di Carmagnola, per esempio, il protagonista, buono, leale, di animo nobile, è contrapposto alla politica astuta, insidiosa e violenta, dei Veneziani. Anche Adelchi ed Ermengarda nell’altra tragedia, con la loro lealtà, bontà e sensibilità sembrano spaesati, estranei alla realtà crudele del mondo in cui vivono.
Successivamente Alessandro Manzoni acquista coscienza del mutamento della società, la quale è assetata di libertà e di giustizia e non ammette più una religiosità puramente trascendentale, intesa come fuga o oblio del mondo, ma una religiosità agonistica, calata nella vita reale, perché l’ideale e il divino non sono trascendenti, ma operanti qui sulla terra, come fermento della vita umana e della storia. Da questa coscienza dell’ideale e del divino calati nella realtà della vita deriva la formula con cui il De Sanctis definì i Promessi Sposi “il limite e la misura dell’ideale“.
Con ciò voleva dire che il Manzoni non tende a idealizzare o ad eroicizzare i suoi personaggi, ma a rappresentarli sia nei loro aspetti ideali e positivi, sia nei loro limiti, in quanto anch’essi sono condizionati dal luogo, dal tempo, dai caratteri, dalle passioni, dai costumi e dalle opinioni di una precisa epoca storica. Renzo, per esempio, è un bravo giovane, ma è soggetto anch’egli a scatti di ira e perde perfino il controllo di se stesso nell’osteria della Luna piena; il cardinale Federigo, pur così austero, è intriso anche lui di alcuni pregiudizi del tempo. La stessa Lucia, che è il personaggio più idealizzato, resta anch’essa, sotto tanti aspetti, nei limiti del reale.
La critica di Benedetto Croce
Ai primi decenni del ‘900 risale la tesi di Benedetto Croce sul carattere oratorio, non poetico dei Promessi Sposi. Per il Croce sono opere di poesia quelle in cui il sentimento si esprime con assoluta libertà e disinteresse, senza alcuna finalità pratica e didascalica; sono opere di oratoria quelle in cui il sentimento non si esprime in assoluta libertà e disinteresse, ma è asservito ad uno scopo pratico di persuasione e di esortazione.
Il Croce sostenne per anni il carattere oratorio dei Promessi Sposi come se essa fosse un’opera di apostolato religioso e morale, influenzando a lungo con la sua autorità la critica posteriore; ma egli stesso, pochi mesi prima di morire (1952), dichiarò di essersi sbagliato, ritrattando la tesi dell’oratorietà del romanzo e riconoscendo il suo carattere poetico.
La critica marxista
Anche la critica marxista si è interessata del Manzoni; essa però non ha fatto altro che riecheggiare più o meno la tesi di Antonio Gramsci, che definì paternalistica e aristocratica la simpatia del Manzoni verso gli umili; una simpatia, disse lui, che è analoga alla “benevolenza di una cattolica società di protezione degli animali“. Alberto Asor Rosa ripete lo stesso giudizio quando scrive che i personaggi popolani (come Renzo e Lucia) sono rappresentati come ingenui, “che mai potrebbero arrivare alla verità o marciare sulla giusta strada, senza che una guida illuminata (il padre Cristoforo o il cardinale Federigo) non provvedesse ad indicargliela; mentre il dramma spirituale, l’intima conquista della fede, sono ancora una volta riservati ad un personaggio, l’Innominato, che è un tipico eroe delle classi alte“.
Questa valutazione classista del romanzo fatta dalla critica marxista, è respinta da altri critici, come il Petronio e il Sapegno, che sono pure di orientamento marxista. Il Petronio anzi ha definito il Romanzo “l’epopea del terzo stato“, e cioè del popolo, e Mario Sansone ritiene che la simpatia del Manzoni verso gli umili è intrisa di “fortissimi spiriti democratici e polemici“.