La cavalla storna, commento alla poesia di Pascoli
La vita del poeta Giovanni Pascoli è funestata da perdite premature e disgrazie. Uno degli episodi che ha segnato profondamente la sua esistenza è stata la morte prematura del padre.
Nella raccolta pascoliana dei “Canti di Castelvecchio” (1903) è compresa una celebre lirica intitolata “Cavalla storna“. Essa è dedicata appunto dal poeta a suo padre, che fu ucciso il 10 Agosto 1867. Il delitto rimase impunito.
L’uomo fu raggiunto da un colpo di fucile mentre guidava un calesse e l’autore dell’omicidio non fu mai trovato.
Il Pascoli aveva solo undici anni quando il padre morì in circostanze così misteriose.
Approfondimento
La cavalla storna: storia della poesia
In apertura della lirica si fa riferimento ad una tenuta, “La Torre”, nei pressi di San Mauro in Romagna, il cui amministratore era appunto il padre di Giovanni, Ruggero Pascoli. Nelle scuderie di questa villa si trovava la “cavalla storna“, nera con le macchie bianche, la stessa che guidava il calesse il giorno in cui l’uomo fu colpito a morte.
Nel testo della poesia, il poeta si rivolge più volte all’animale con un ritornello:
O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna.
E’ stata Maria, la sorella di Giovanni Pascoli, a riprendere questa lirica nel 1912, dopo che il poeta era già morto, e a spiegare che la protagonista, la cavallina storna, era un animale un po’ ribelle che però diventava mansueta solo con il padre. Nella lirica infatti si legge:
tu capivi il suo cenno e il suo detto
Dopo la morte del padrone, la cavalla cominciò a farsi guidare dal fratello maggiore, Giacomo, come se avesse capito la disgrazia che lo aveva colpito.
Testo completo della poesia
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla„
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perchè facesse in pace l’agonia…„
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dovè pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perchè udissimo noi le sue parole„
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera.
“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come„
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote;
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.
Temi
Anche in questa poesia del Pascoli il tema principale è quello della morte. La scena descritta evoca un’atmosfera angosciosa e permeata dalla sensazione che la vita è caduca, e che anche il nido familiare è provvisorio. Il paesaggio che il poeta descrive (quello della tenuta “La Torre” immersa nella campagna romagnola a tarda sera) fa da sfondo alla tragedia che è avvenuta e che ha gettato nello sconforto la sua famiglia.
Il calesse trainato dalla cavallina storna torna riportando il corpo del padre ucciso, e la madre del poeta si rivolge all’animale chiedendogli chi è il responsabile della sua morte.
La lirica si apre con una scena straziante: la cavalla è l’unica testimone della morte di Ruggero Pascoli. E’ a lei che la moglie, disperata, chiede il nome dell’assassino.
E’ in atto un processo di umanizzazione dell’animale. Ad un certo punto, incalzata dalle domande della donna, la cavalla nitrisce dopo che questa proferisce il nome del probabile assassino. Il poeta, con questo dialogo tra la cavalla e la madre ricco di pathos, introduce il tema della fedeltà degli animali rispetto agli uomini.
Mentre questi ultimi, pur sapendo, preferiscono tacere per vigliaccheria, la cavalla che vorrebbe parlare non ha la parola per raccontare ciò che ha visto. Non è la prima volta che il Pascoli utilizza la Natura e il suo simbolismo per trasmettere un messaggio.
Breve analisi e commento
Per diverso tempo questa lirica è stata considerata una delle più famose del Pascoli. Solo in tempi recenti la critica ne sta apprezzando il valore simbolico.
La scelta metrica del poeta fa sì che questo componimento si avvicini molto ad una filastrocca ritmica.
Il Pascoli è stato molto abile a rinnovare il pathos ad ogni ritornello, l’emozione sembra acquietarsi solo nell’epilogo finale. Soltanto nella chiusa il poeta scorge la soluzione del drammatico dialogo tra la madre e la cavallina. Attraverso un nitrito l’animale sembra confermare il nome del colpevole proferito dalla donna.