Il cane Argo: riassunto, testo, parafrasi e analisi

L’episodio del cane Argo, qui in esame, è uno dei più toccanti dell’intera Odissea di Omero. Il protagonista Ulisse giunge finalmente a casa, dopo aver terminato il racconto di tutte le sue avventure al re Alcinoo, che lo aiuta a ritornare ad Itaca.

Per volere della dea Atena, Ulisse viene trasformato in un vecchio mendicante affinché nessuno lo possa riconoscere.

Egli rivela il suo arrivo soltanto a suo figlio Telemaco, insieme al quale organizza un piano per vendicarsi dei Proci che hanno usurpato il suo trono.

Quando arriva nella reggia nessuno lo riconosce ad eccezione del suo fidato cane Argo, ormai anziano: per la forte emozione dovuto all’incontro con il suo padrone, Argo muore.

Il cane Argo e Ulisse (Argos and Ulysses)
Il cane Argo e Ulisse

Il contesto nell’Odissea: riassunto

Il canto fa parte dell’ultima parte dell’Odissea (Canti XIII-XXIV): qui si narra come finalmente Ulisse (Odisseo) riesca a tornare ad Itaca. Per prima cosa l’eroe si reca da Eumeo, il porcaro della reggia, per ottenere informazioni.

Insieme a suo figlio Telemaco, preparano un piano per vendicarsi dei Proci: Ulisse rientra al palazzo sotto le spoglie di un mendicante. Viene deriso dai Proci, mentre viene accolto benevolmente da Penelope, che però non lo riconosce ancora.

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Intanto la donna, sotto consiglio della dea Atena, propone ai Proci una gara: chi riuscirà a tendere l’arco di Ulisse e a far passare la freccia attraverso degli ostacoli, sarà il suo sposo.

Penelope con l'arco di Ulisse e il cane Argo
Penelope con l’arco di Ulisse e il cane Argo: scultura di Richard James Wyatt (1799-1850) • The Royal Collection Trust, Inghilterra

Tutti i pretendenti si mettono alla prova, ma solo Ulisse – nei panni di mendicante – riesce a superarla: è qui che viene finalmente riconosciuto. L’eroe riprende così il suo aspetto.

Inizia a questo punto una sanguinosa ribellione, che viene da lui repressa. Ulisse può finalmente riconciliarsi con la sua famiglia, la sua Itaca e i suoi sudditi.

Ulisse uccide i proci con il suo arco
Ulisse uccide i proci con il suo arco

Testo e parafrasi: versi 290-327 del canto XVII dell’Odissea

Testo tradotto da Rosa Calzecchi Onesti nel 1963

Così essi tali parole fra loro dicevano:
e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,
Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno
lo nutrì di suo mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra partisse; e in passato lo conducevano i giovani

a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;
ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,
sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte ammucchiavano, perché poi lo portassero
i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;

là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
E allora, come sentì vicino Odisseo,
mosse la coda, abbassò le due orecchie, ma non poté correre incontro al padrone.
E il padrone, voltandosi, si terse una lacrima,

facilmente sfuggendo a Eumeo; e subito con parole chiedeva:
“Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame!
Bello di corpo, ma non posso capire
se fu anche rapido a correre con questa bellezza, oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi,

per splendidezza i padroni li allevano”.
E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi:
“Purtroppo è il cane d’un uomo morto lontano. Se per bellezza e vigore fosse rimasto
come partendo per Troia lo lasciava Odisseo,

t’incanteresti a vederne la snellezza e la forza.
Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia,
qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta.
Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano.

Perché i servi, quando i padroni non li governano,
non hanno voglia di far le cose a dovere;
metà del valore d’un uomo distrugge il tonante Zeus, allorché schiavo giorno lo afferra”.
Così detto, entrò nella comoda casa,

diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti.
E Argo la Moira di nera morte afferrò
appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni.

Parafrasi

Mentre parlavano tra di loro, un cane che si trovava lì disteso alzo la testa e tese le orecchie. Era Argo, il cane di Odisseo, che fu allevato proprio da lui ma non portò mai a caccia perché Ulisse partì per la conquista di Troia.

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I giovani lo portavano con loro a caccia di cervi, lepri e cani selvatici, ma ora, lontano dal suo padrone, era solo e abbandonato sul letame di buoi e muli raccolto vicino le porte della reggia affinché venisse portato dai servi per essere sparso sui campi vasti di Odisseo. E Argo si trovava lì pieno di zecche.

E quando Odisseo si avvicinò, agitò la coda e lasciò cadere le orecchie ma non era in grado di avvicinarsi di più al suo padrone perché era vecchio e malato.

Così Odisseo spostò altrove lo sguardo e si asciugò una lacrima senza farsi vedere da Eumeo (fedele guardiano dei porci) e disse:

«Eumeo, è curioso vedere un cane così bello sul letame. Ha un corpo splendido, non so se una volta oltre che ad essere bello era anche veloce nella corsa o era un cane da banchetto, di quelli che i padroni allevano solo per bellezza».

E così gli rispose Eumeo, guardiano dei porci:

«Purtroppo è il cane di un uomo che è morto lontano dalla patria. Se questo cane fosse rimasto, per forme e bellezza, come lo lasciò Odisseo, rimarresti incantato a guardarlo per la sua forza e la sua velocità. Mai una bestia selvatica è riuscita a scappare quando egli la cacciava, seguendone le orme.  Ora è malridotto e soffre. Il suo padrone Odisseo è morto lontano dalla patria e le ancelle pigre non si interessano a lui. I servi che non sono comandati da un padrone non lavorano bene, poiché Zeus toglie ad un uomo metà delle sue virtù quando questi diventa schiavo».

Disse ciò ed entrò nella reggia nella sala tra i Proci.

E Argo, che aveva visto il suo padrone Odisseo dopo venti anni, fu afferrato dal destino della morte (morì).

Il cane Argo: analisi, spiegazione e commento del brano

Per la prima volta da quando ritorna a casa, l’eroe si commuove. Cerca di nascondere la sua lacrima quando rivede il cane Argo dopo vent’anni.

Inoltre il cane diventa un vero simbolo di fedeltà: non corre incontro ad Ulisse scodinzolando e rischiando di farlo riconoscere, ma lo osserva da lontano. E’ contento di ciò (Giuseppe Aurelio Privitera).

Ulisse e Argo si comprendono a vicenda: questa scena diventa l’emblema della fedeltà e del rapporto tra il padrone e il cane, un vero sentimento d’amore e rispetto reciproco. Ulisse infatti nota come il povero animale è stato trattato dai servi, che non si sono più curati di lui dopo la sua partenza.

Questo episodio, classico e storico, è il primo di tanti altri presenti nella Letteratura che riguardano il rapporto tra gli uomini e gli animali: è una testimonianza di quanto questo legame sia sempre stato profondo, sin dall’antichità.

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Anna D'Agostino

Anna D'Agostino, napoletana di nascita portodanzese d'adozione, laureata in Filologia Moderna e appassionata di scrittura. Ha collaborato con varie testate come giornalista pubblicista, attualmente insegna Lettere in una scuola secondaria di primo grado.

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