La Battaglia del solstizio (o Seconda battaglia del Piave)

La Battaglia del Solstizio, definita anche Seconda battaglia del Piave, fu l’ultima importante offensiva dell’Impero Austro-Ungarico, prima della sua resa. Fu anche una delle più importanti vittorie dell’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale. Ebbe luogo dal 15 al 24 giugno 1918. Combattuta nella regione delle Alpi orientali italiane, vide numerose perdite da entrambe le parti: tra morti, feriti e dispersi si contarono 90.000 persone per il Regno d’Italia e 150.000 per l’Austria-Ungheria. I militari italiani protagonisti dell’evento furono Armando Diaz e Pietro Badoglio.

Battaglia del Solstizio (Monte Grappa)
15 giugno 1918: uno schema delle forze schierate in battaglia sul Monte Grappa, all’alba della battaglia

Il termine “Battaglia del Solstizio” venne coniato in seguito da Gabriele D’Annunzio. Il termine si riferisce al Solstizio d’estate che ogni anno cade il 20 o il 21 giugno. Riassumiamo di seguito lo scenario storico-politico e lo svolgimento della Battaglia.

Premesse

Le forze in campo erano il regio esercito italiano contro l’esercito imperiale austro-ungarico. Nel giugno del 1918 l’impero austro-ungarico era allo stremo. La sua situazione militare ed economica lo aveva reso un alleato fragile per i tedeschi che oramai lo consideravano più un problema che una risorsa.

Inoltre gli stessi tedeschi avevano mostrato di disprezzarne la scarsa lealtà degli austriaci, avendo scoperto i tentativi dell’imperatore Carlo I di ottenere una pace separata con le potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Impero russo e Italia).

Contemporaneamente la Germania stava affrontando una guerra dura e difficile sul fronte occidentale e si aspettava dagli austro-ungheresi un’azione di notevole portata che le permettesse di concentrare le risorse e di riunire i rinforzi per sostenere l’offensiva sulla linea francese.

D’altra parte anche negli alti comandi imperiali e nella corte di Carlo, serpeggiava un forte malcontento sia nei confronti degli esiti della guerra, sia per il peso che rappresentava l’alleanza con i tedeschi, che non permettevano nessuna mossa o azione diplomatica affinché si potesse trovare una soluzione pacifica al conflitto.

L’alleanza degli imperi centrali si era rivelata più un peso che un vantaggio e stava creando diverse contraddizioni nell’azione militare. Molti, infatti, erano i conflitti fra austro-ungarici e tedeschi sulle scelte strategiche e molte erano anche le divergenze nell’Alto comando imperiale.

Tuttavia nel marzo del 1918 il Capo di Stato Maggiore dell’impero, l’austriaco Arthur Arz von Straussenburg, aveva annunciato ai tedeschi che i suoi comandi stavano organizzando un’importante offensiva sul fronte italiano.

L’obiettivo di questa operazione era distruggere le difese italiane, sfondare il cordone militare e conquistare la pianura padana facendo incetta di mezzi e approvvigionamenti. Dopo questa ipotetica e decisiva sconfitta, gli italiani si sarebbero arresi, permettendo agli austo-ungarici di concentrare uomini e mezzi sul fronte occidentale.

Il piano di attacco dell’Impero austro-ungarico

Il piano strutturato dall’Alto comando imperiale prevedeva tre momenti. Il primo attacco, lo sfondamento, doveva avvenire presso il Passo del Tonale. Questo attacco avrebbe preceduto di poco altri due movimenti: quello sull’Altopiano di Asiago, comandato dal generale Franz Conrad von Hötzendorf che dirigeva la decima e l’undicesima armata e quello del feldmaresciallo Svetozar Borojević von Bojna, comandante in capo della quinta e sesta armata.

La strategia nella sua semplicità era evidente, anche ai comandi italiani che già la conoscevano. Un primo sfondamento avrebbe dovuto indebolite le difese del regio esercito e i due attacchi avrebbero dovuto rappresentare la classica mossa a tenaglia, che dopo aver stritolato le truppe italiane, si sarebbe dovuta riunire nella zona di Padova.

La controffensiva italiana sul fiume Piave

Il regio esercito italiano, comandato dai generali Armando Diaz e Pietro Badoglio, era stato informato dei piani del nemico diverse settimane prima dell’attacco, tanto che furono predisposte diverse difese e controffensive, come quella dell’artiglieria posizionata nella zona del Monte Grappa, che dopo la mezzanotte del 15 giugno iniziò un bombardamento a tappeto per più di 5 ore contro la fanteria imperiale.

La mattina del 15 giugno gli austriaci avanzarono fino al paese di Nervesa conquistando il Montello. Ma si fermarono lì, perché le truppe italiane risposero all’avanzata distruggendo i ponti sul Piave e costringendo gli austro-ungarici a ripiegare.

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Distrutti i passaggi per attraversare il Piave, gli austriaci si ritirano oltre il fiume per potersi riorganizzare. Molti soldati morirono durante la ritirata. Nervesa fu liberata e così il Montello.

Altri scontri ci furono nella zona di Spresiano, Grave di Papadopoli, Ponte di Piave, Candelù, Zenson e Fossalta. Gli austro-ungarici vennero respinti ovunque e ad ogni tentativo di passare il Piave trovarono sempre truppe italiane pronte a respingerli.

Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!
Celebre foto di una casa colpita dai bombardamenti durante la battaglia; la scritta patriottica recita: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!” – (Sant’Andrea di Barbarana, frazione di San Biagio di Callalta, Treviso)

Uno degli scontri più decisivi avvenne nella frazione di San Pietro Novello, dove il reggimento di cavalleria, comandato dal generale Augusti, ottenne un’inaspettata vittoria contro la fanteria imperiale. Lo stesso giorno i soldati italiani inondarono il territorio di Caposile, impedendo così agli austriaci di avanzare anche in quella zona.

Nel frattempo l’artiglieria, posta sulle chiatte del fiume Sile, bombardavano la zona di San Donà di Piave, impedendo qualsiasi movimento agli austriaci. L’ultimo punto del Piave in cui gli austro-ungarici vennero respinti, dopo essere riusciti ad avanzare oltre il Piave, fu Fagarè, frazione del comune di San Biagio in provincia di Treviso.

Poco dopo gli eventi venne composta la celebre “Canzone del Piave” (o “La leggenda del Piave“, spesso ricordata anche – dalle prime parole del testo – “Il Piave mormorava“).

Le armi utilizzate durante gli scontri

Gli austro-ungarici usarono massicciamente granate e proiettili a gas che però non comportarono particolari conseguenze, perché l’esercito regio italiano era dotato di maschere a gas. L’artiglieria austriaca era dotata di 6.000 cannoni che bombardarono paesi e zone abitate oltre il Piave. Fu utilizzato anche un cannone capace di sparare proiettili da 750 Kg con una gittata fino a 30 Km di distanza.

Anche gli italiani utilizzarono l’artiglieria in modo importante, distruggendo soprattutto le teste di ponte che gli austro-ungarici avevano depositato sul Piave: ciò permise di ostacolare il passaggio delle truppe e dei rifornimenti.

Arditi - militari in assalto a una trincea
Arditi: un’illustrazione mostra i militari muniti di pugnale che assaltano una trincea.

Inoltre il regio esercito utilizzò dei corpi speciali chiamati arditi, i quali erano stati addestrati al combattimento corpo a corpo e all’assalto soprattutto delle trincee. Gli arditi erano dotati di granate e pugnali e il loro compito era conquistare le trincee fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi. Furono utilizzati anche per gli assalti da una sponda all’altra del Piave.

La conseguenze della battaglia

La Battaglia del Solstizio fu il de profundis dell’impero austro-ungarico. L’impero già dilaniato da dubbi e lacerazioni sulla necessità o meno di continuare la guerra, e indebolito dalle difficoltà economiche che la popolazione stava affrontando, incassò male la sconfitta.

Il bilancio dei morti fu altissimo: 150.000. Il morale dell’esercito si abbassò velocemente anche perché gli alti comandi austro-ungarici capirono rapidamente che gli italiani erano un avversario difficile e che la guerra stava volgendo al termine con una pesante sconfitta.

Anche l’Italia aveva subito un duro colpo durante gli scontri con l’esercito imperiale e le sue perdite ammontarono a 90.000 uomini. Ma lo spirito e il morale erano alti, la popolazione benché stanca della guerra non aveva ancora raggiunto il livello di miseria e disperazione che stavano toccando diversi strati della popolazione austro-ungarica.

A distanza di quattro mesi dalla Seconda battaglia del Piave l’esercito italiano vinse la guerra con la Battaglia di Vittorio Veneto.

Hemingway e la battaglia

Nei giorni degli scontri, nella zona di Fossalta, tra i volontari arruolati nelle file della Croce Rossa degli Stati Uniti, c’era Ernest Hemingway, allora diciottenne, il quale prestava servizio come autista di autoambulanze. Il futuro premio Nobel per la Letteratura venne ferito dalle schegge di una bomba e da un proiettile di mitragliatrice: nonostante fosse stato colpito si impegnò nel salvare altri militari feriti (fu poi decorato con la medaglia d’argento).

Sulla base di questa esperienza sul campo di battaglia e dal successivo ricovero in un ospedale milanese, Hemingway scriverà il suo celebre romanzo “Addio alle Armi“.

Nel Sacrario di Fagarè sono sepolti numerosi militari caduti: l’unico statunitense è un tenente amico di Hemingway, caduto in battaglia lungo il Piave. A lui lo scrittore dedicò una poesia che ancora oggi è possibile leggere sulla lapide del tenente.

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Fulvio Caporale

Fulvio Caporale è nato a Padova e vive a Milano. Laureato in Scienze Politiche svolge la professione di consulente editoriale e pubblicitario. Collabora con case editrici e giornali cartacei e online occupandosi di libri, arte ed eventi culturali. Ha tradotto testi letterari e tecnici dallo spagnolo, dal portoghese, dall'inglese e dal catalano.

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