Astronomo, dipinto di Jan Vermeer
Il dipinto intitolato “Astronomo” (1668) di Vermeer brilla, nell’oscura e ombrosa luce filtrata prima dagli alberi e poi dalle finestre, nelle sale del Louvre dedicate alla pittura fiamminga, olandese e tedesca, inondando l’anima dello spettatore con la limpida luce di un soleggiato giorno del 1668 e di quello spasmodico interesse che rendeva eccitante gli aspetti di una scienza ancora immatura.
Jan Vermeer (1632 – 1675) accompagnò le rilucenti sorti della pittura fiamminga verso la somma grandezza di una pittura incredibilmente naturalistica e votata alla resa compulsiva dei dettagli. Raccogliere il momento della meditazione, della ricerca nel cielo di un mistero a noi sconosciuto, rende l’incantevole tela ritraente l’astronomo una delle più interessanti e brillanti realizzate da Vermeer.
Il quadro più celebre di Vermeer è: La ragazza con l’orecchino di perla
La figura dell’astronomo si formula nella mente dell’osservatore nel profano affiancamento dialettico di questa immagine a quelle delle celebri tele ritraenti la figura dell’alchimista; è lo strumento scientifico del globo celeste posato sul tavolo a farsi vessillo di un mondo nuovo; esso è declinato al sapere scientifico e lontano dai misteri oscuri della pietra filosofale.
Approfondimento
L’astronomo: note tecniche e descrittive
Nel XVII secolo l’indottrinamento infecondo che aveva ostacolato il progresso fino a quel momento, trovò la strada di una rivendicazione scientifica e filosofica nelle menti eccelse di filosofi e scienziati come Johannes Kepler, Francesco Bacone, Isaac Newton, Galileo Galilei e René Descartes.
Il desiderio di riconoscere e comprendere la natura, d’imparare a domarla, resero il Seicento il secolo delle grandi scoperte scientifiche, infondendo nella tetra realtà di un mondo incomprensibile, dalle leggi sacre e indiscutibili, il seme di una spiritualità nuova, non solo sommessamente religiosa ma umana, naturalmente destinata alla scoperta di sé, del proprio pensiero e della natura.
L’identificazione e la comprensione della realtà e delle sue leggi rese la pittura fiamminga tra le più risplendenti nel panorama di un realismo indiscusso, attento allo studio scientifico della luce, delle ombre e di ogni carattere che rende la materia reale, palpabile ed esistente ai nostri occhi.
L’attenzione dello scienziato è rivolta profondamente al globo celeste, dove sono visibili le costellazioni del cielo boreale ( l’Orsa Maggiore a sinistra, il Dragone e l’Ercole al centro e la Lira a destra).
Lo strumento rappresentato risulta essere quello dell’incisore, cartografo e editore fiammingo Joost de Hondt (1563 – 1612), il quale basò la costruzione delle sfere terrestri sulle ricerche dell’astronomo e astrologo danese Tyge Brahe (1546 – 1601).
Lo studio del cielo
Lo studio del cielo avviene grazie alla consultazione dell'”Opera omnia astronomica” di Adriaan Adriaanszoon (1571 – 1635), quale trattato d’inestimabile valore cognitivo, nell’ampio raggio di un’iconografia che chiama apertamente i cardini scientifici e imprescindibili dalla vita dell’uomo.
Il silenzio emerge come se fosse suono, avvolgendo l’osservatore nella quiete di una meditazione imponente, dove l’astronomo è colto nel supremo momento nella contemplazione di una grandezza celeste che appare sempre meno divina, e che scientificamente si apre e si rende conoscibile nelle mani degli uomini.
Jan Vermeer si espone alla committenza come un uomo incapace di rinnegare le leggi fisiche che incardinando l’universo, rendendo comprensibile il valore che lega la grandezza dell’ingegno umano alla conoscenza, nella chiara correlazione tra la mente che contempla e la mano che scruta la superficie ricurva della sfera celeste.
Riconoscere la ricerca di una resa della realtà incredibilmente dettaglia, appare essere una costante nella produzione fiamminga e in modo assoluto in quella di Vermeer, che fece del dettaglio un’ossessione che non di rado metteva in crisi le finanze del pittore e della sua famiglia.
L’astronomo è colto di profilo e i suoi tratti sonno sfocati come se, nel ritrarlo, il pittore avesse stretto gli occhi: un effetto che, smorzando la presa sulla realtà, allontana l’immagine del soggetto dalla sua natura d’individuo mostrandolo come una figura idealizzata, trasformata quasi nel simbolo universale di ciò che rappresenta: la scienza. (DAVERIO).
La scelta dell’astronomo
La scelta dell’astronomo quale soggetto del proprio dipinto, apre istintivamente gli occhi verso una coscienza nuova, verso un interesse che si rende comprensibile nella ricerca, e più poeticamente nell’esplorazione dell’universo, a quel tempo così ignoto, quale fonte per comprendere la realtà terrestre e il futuro.
Nel secolo dell’empirismo fulgente, il desiderio, il “de sideris” del classicismo greco degli antichi aruspici indicante la mancanza delle stelle, ritrova la sua vera natura lontano dagli astri, maturando, nella terrestre osservazione delle notti stellate, l’eterna e intima mancanza dell’infinito, assenza colmata da una continua osservazione dell’universo in ogni suo sconfinamento celeste. L’umano desiderio, naturalmente crescente nello spirito, smise di attendere i messaggi della scintilla di una cometa nel cielo, per nascere maturo dalla mente dell’uomo.
Ogni strumento scientifico si fa arma nel duello contro la misteriosa realtà: appunti, libri, carte illustranti il cielo e i movimenti stellari circondano l’astronomo, pronto a servirsi di ogni congegno per comprendere e infine raggiungere l’indiscussa verità induttiva.
L’astronomo, dunque, non è altro che l’esempio di una scienza avanzante, curiosa e imperterrita.
Riconoscere l’ideale nell’opera d’arte significa comprendere l’artista e il proprio pensiero, intelletto che riecheggia di scientificità, di passione e di profondo asservimento nella messa in essere di un sentimento che spesso richiedeva molti mesi per essere esternato.
La chiave di lettura dell’opera di Vermeer risiede nella scelta di un sapere tecnico, quale mezzo attraverso cui definire con estrema precisione la realtà rappresentata: tangibilità e visione onirica s’incontrano nella luce e nel colore cui Jan Vermeer dà una densità del tutto nuova attraverso una delicata e macchinosa ripartizione delle tinte sottili in velature sovrapposte o attraverso “tocchi delicati in punta di pennello“, in quella tecnica pittorica che rende possibile far vibrare la luce sui capelli o sulla stoffa verde dai disegni dorati posta in primo piano.
Il ruolo della finestra, quale tramite per la luce, si presenta come costante della produzione artistica del pittore fiammingo, esponendo lo spettatore alla prodigiosità suggestiva del pulviscolo dorato che sembra posarsi sulla tela.