Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, recensione del film

Genio della pittura mondiale, pittore di ineguagliabile talento: è l’artista Vincent Van Gogh, a cui è stata dedicata una nuova pellicola nel 2019. Julian Schnabel con il suo film Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità affida all’attore Willem Dafoe il compito di interpretare l’artista olandese.

L'attore Willem Dafoe nei panni di Van Gogh
L’attore Willem Dafoe nei panni di Van Gogh

Il titolo originale del film è: “At Eternity’s Gate”. Sono stati molti sino ad ora i registi che ne hanno raccontato la biografia di Van Gogh, dedicandogli dei film: da Minelli ad Altman, giusto per citarne due.

Con questo lavoro il regista americano (che è anche pittore) riesce nel complicato ruolo di raccontare le due anime di Vincent: da una parte la ricerca artistica, dall’altra quella esistenziale.

Il film è arrivato al cinema il 3 gennaio 2019, dopo il grande successo dell’anteprima internazionale a Venezia 75 e la coppa Volpi per il Miglior attore a Willem Dafoe. Il film “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità” resta un’opera che si distingue da tutte le altre. Non si tratta di una biografia, ma è una poesia, filosofia dell’arte, un elogio alla pazzia.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: trama del film

Il film racconta gli ultimi anni di vita del pittore Vincent Van Gogh, ovvero gli anni tra il 1888 sino al 1890 – anno quest’ultimo della sua prematura morte avvenuta all’età di 37 anni.

Si apre con una voce fuoricampo dell’artista, che si sentirà anche in molti momenti del film, con un continuo fluire nella mente del pittore di pensieri che riescono a tacere solo dinanzi alla bellezza della natura. Artista che è incapace infatti di integrarsi a Parigi e quindi cerca un rifugio nella campagna francese, in una piccola comunità: Arles, in Provenza, alla ricerca del sole e dei colori vividi.

Ma qui la sua permanenza è turbata da nevrosi incalzanti e anche dall’ostilità della gente. Viene così ricoverato in un ospedale psichiatrico, dove l’unico conforto per l’artista sono le lettere dell’amico Paul Gauguin e le visite dell’amato fratello Theo Van Gogh.

Infine arriva la morte, che avviene in circostanze misteriose il 29 luglio del 1890 ad Auvers.

La sceneggiatura e i falsi miti

La sceneggiatura è in collaborazione con l’architetto Louise Kugelberg e il noto sceneggiatore Jean-Claude Carrière. Essa tende a distruggere miti e leggende costruite intorno al pittore. Già come sottolinea il titolo, “Sulla soglia dell’eternità”, si mette in evidenza lo stato complicato di Van Gogh: cioè una vita trascorsa per la pittura, contrastata da varie difficoltà.

L’artista interpretato da Dafoe vive lontano e isolato, bersagliato dai bambini e scacciato dai compaesani. E’ un uomo che trae pace solo immergendosi nella natura e nella pittura.

Tutto rivela un’esperienza totalizzante. Il racconto conduce lo spettatore in un dramma che non dà tregua. Come ha dichiarato lo stesso regista durante la settantacinquesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia,

“questo film non è una biografia, ma la mia versione della storia. È un film sulla pittura e un pittore, e la loro relazione”.

Una ricostruzione che tiene conto delle biografie e delle leggende ma che vi si accosta solamente, dando risalto anche alle stesse lettere scritte durante la sua esistenza al fratello Theo. I riflettori sono posti sulla pittura.

Le scene sono costruite su una ovvia base della realtà, ma con un approccio nuovo: lo spettatore assisterà a parole che l’artista avrebbe potuto pronunciare, ma di cui non si ha una testimonianza storica e situazioni nelle quali Van Gogh avrebbe potuto trovarsi. Insomma il film “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità” tratteggia questo infinito dialogo tra l’artista e l’arte.

Trailer italiano del film

L’interpretazione di Willem Dafoe nei panni di Van Gogh

Per il suo Van Gogh, Willem Dafoe è stato premiato alla 75° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi. Oltre alla somiglianza con l’artista, che lo rende ancora più vero nella parte, la sua è una straordinaria recitazione.

Guardando il film, si ha proprio l’impressione di trovarsi davanti a Van Gogh in persona, tanto è adatto questo ruolo per Dafoe. E non solo: per interpretare il ruolo, l’attore ha preso lezioni di pittura dal regista: è lui direttamente nel film a dipingere le tele. Questo al fine di rendere sullo schermo qualche cosa di concreto ma soprattutto emotivo.

Se l’attore si fosse limitato infatti solo a imitare i movimenti del pennello nei quadri, non ci sarebbe stato lo stesso effetto.

Il cast del film

Nel cast del film Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità ci sono anche l’attore Rupert Friend nei panni di Theo Van Gogh, fratello dell’artista. Oscar Isaac che interpreta Paul Gauguin, e ancora Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Stella Schnabel, Mads Mikkelsen, Anne Consigny, Amira Casar, Vincent Perez, Lolita Chammah, Vladimir Consigny e Didier Jarre.

La natura per Van Gogh

La natura è un aspetto fondamentale nella vita dell’artista. La sua terra d’origine Zundert era all’epoca fatta di paludi e brughiera: era insomma un borgo rurale dove si svolgeva l’agricoltura. Elementi naturalistici che l’artista ricerca anche nei suoi trasferimenti in altre città, proprio perché gli ricordano la sua infanzia, le sue origini.

A Parigi si trasferisce con il fratello a Montmartre. Poi la decisione di spostarsi ad Arles, in Provenza dove con l’arrivo della primavera aveva trovato un paesaggio meraviglioso: frutteti in fiore, campi di grano che stabilisce per l’artista un intenso legame con la natura stessa.

Così, presa l’attrezzatura per dipingere (oltre al cavalletto, si portava dietro una cornice prospettica) e vestito con abiti trasandati e il suo cappello di paglia in testa, passa del tempo a fare lunghe passeggiate per poi fermarsi a dipingere le sue tele.

È molto significativa nel film questa rappresentazione delle lunghe passeggiate nei campi. In particolare si vede una scena in cui il pittore si sdraia per terra, con le mani prende la terra e vi si sporca la faccia. Un modo per avere proprio un contatto fisico con la terra.

Il ricovero di Van Gogh nella struttura psichiatrica

Deriso e beffeggiato dagli abitanti di quella parte della Francia, c’è una scena dove l’artista viene addirittura deriso da un’intera classe di alunni e dalla loro insegnante. Ciò provoca reazioni nell’artista al limite della pazzia.

Per questo motivo viene rinchiuso in un istituto psichiatrico a Saint-Rémy-en-Provence. A consolare l’artista in questo suo nuovo stato di reclusione, ci pensa – come sempre – il fratello Theo, più giovane di lui di quattro anni, che rappresenta per Vincent un vero punto di riferimento. E non solo: Theo è tra le poche persone ad incoraggiare l’artista nella sua arte.

C’è una scena del film che rappresenta la visita fatta dal fratello che corre in ospedale psichiatrico e si sdraia con lui sul letto, abbracciandolo in modo dolce e protettivo.

Il rapporto tra Van Gogh e Paul Gauguin

Paul Gauguin rappresenta un’altra figura importante nella vita di Vincent. Gauguin si era lasciato convincere – grazie anche all’appoggio del fratello – a raggiungere Vincent ad Arles, dietro un compenso di 25 franchi al mese pagati da Theo perché stesse accanto a Vincent.

La camera di Vincent Van Gogh ad Arles
La stanza di Vincent Van Gogh ad Arles

Così nell’ottobre del 1888 i due artisti si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto della famosa Casa Gialla di Place Lamartine. Sono due artisti che hanno un modo differente di dipingere: da una parte c’è Paul che attinge dai ricordi e dall’immaginazione, dall’altra Vincent che dipinge modelli reali. Qui è dove viene realizzata la celebre serie di Girasoli.

Nel film si assiste ai dialoghi tra i due mentre passeggiano tra gli alberi.

“Perché devi sempre dipingere la natura?” – chiede Gauguin. E Vincent risponde:

“Mi sento perduto se non ho niente da osservare. Ho bisogno di qualcosa da vedere, c’è così tanto da vedere”.

“Ma ciò che dipingi, quello che fai appartiene a te. Non devi copiare niente” – replica Gauguin.

“Non copio. L’essenza della natura è la bellezza. Quando guardo la natura, vedo chiaramente quel legame che unisce tutti noi. Un’energia pulsante che parla con la voce di Dio”, ribatte Van Gogh, che aggiunge:

“Non invento il quadro, non ho bisogno d’inventarlo, lo trovo dentro la natura, devo solo liberarlo. Ho bisogno di uscire all’aperto e lavorare per dimenticare me stesso. Voglio perdere il controllo, ho bisogno di sentirmi in uno stato febbrile. Più dipingo velocemente, più sto bene […] I quadri vanno fatti con un solo gesto netto. I pittori che ammiro, Frans Hals, Goya, Velázquez, Veronese, Delacroix, dipingevano tutti velocemente, con un gesto netto a ogni colpo di pennello”.

Il film privilegia la pittura piuttosto che la componente biografica e scommette sulla meravigliosa serie di immagini e paesaggi: si vedono i luoghi, i colori, i dipinti che parlano ancora prima del protagonista e del suo viaggio “sulla soglia dell’eternità”.

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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