Tito Zaniboni e l’attentato al Duce

Il 4 novembre 1925 Benito Mussolini subì il primo attentato della sua carriera politica. Ne subì quattro prima di essere ucciso il 28 aprile 1945 vicino ai cancelli di villa Belmonte nei pressi di Dongo. L’attentato fu organizzato da Tito Zaniboni, un socialista riformista appartenente al partito Socialista Unitario di Giacomo Matteotti.

Tito Zaniboni
Tito Zaniboni

Zaniboni organizzò l’attentato con l’aiuto di un gruppo di persone che in realtà conoscevano le sue intenzioni ma che non gli avevano dato un aiuto fondamentale, probabilmente solo un piccolo sostegno economico; fra questi pare che ci fosse anche il generale Luigi Capello che venne arrestato alcuni giorni dopo l’attentato e  che respinse sempre le accuse a suo carico dichiarandosi innocente.

Il luogo dell’attentato doveva essere la terrazza di palazzo Chigi da cui Mussolini si sarebbe affacciato per festeggiare il VII anniversario della vittoria italiana nella Prima guerra mondiale. Zaniboni avrebbe dovuto sparare da una camera dell’albergo Dragoni che si affacciava sul palazzo; all’interno della stanza, nascosto in un armadio, c’era un fucile austriaco di precisione che sarebbe servito per colpire il Duce mentre pronunciava il suo discorso.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

Zaniboni, però, non era a conoscenza del fatto che all’interno del suo gruppo c’era un infiltrato dell’OVRA (una struttura di polizia segreta di epoca fascista  la cui denominazione non è stata mai realmente chiarita ma che dovrebbe essere “Opera di Vigilanza e di Repressione dell’Antifascismo), Carlo Quaglia, che aveva già allertato le forze dell’ordine le quali seguivano ogni movimento dell’attentatore già da alcuni giorni.

Quando Zaniboni entrò in albergo venne subito arrestato e condotto in carcere. Pochi giorni dopo il Partito Socialista Unitario e il suo giornale “La giustizia” vennero chiusi.

L’attentatore rimase in carcere quasi due anni prima di subire il processo che si svolse l’11 aprile del 1927. Tito Zaniboni fu contradditorio nelle sue dichiarazioni e anche in seguito il suo comportamento non fu limpidissimo. Durante il processo, infatti, fece due dichiarazioni differenti e contraddittorie: prima ammise di voler svolgere un’azione dimostrativa e di non voler colpire Mussolini ma, forse, solo Roberto Farinacci; in seguito invece ammise che il suo obiettivo era il Duce.

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L’unico complice identificato ma che Zaniboni non riconobbe come tale fu il Generale Capello il quale venne condannato a 30 anni, una pena più severa di quella di Zaniboni, che invece fu condannato a 25 anni.

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Malgrado la sua palese posizione antifascista, l’attentatore scrisse, nel 1939, una serie di dichiarazioni a favore di Mussolini, del suo governo e dell’operato fascista. Alla fine della guerra ebbe degli incarichi importanti nell’ambito della ricostruzione  e dell’epurazione del fascismo.

Tito Zaniboni

Ma chi era Tito Zaniboni?

Era un socialista riformista che iniziò la sua carriera politica come consigliere provinciale di Volta Mantovana, provincia di Mantova, non troppo lontano dal suo comune di nascita Monzambano dove era nato nel 1883 e di cui divenne sindaco nel 1920.

Le contraddizioni che dimostrò durante il processo contraddistinsero anche la sua vita politica. Era stato, infatti, un alpino durante la Prima guerra mondiale anche se inizialmente era stato contro l’interventismo in guerra e in seguito, invece, era passato dalla parte di coloro che volevano l’Italia fra le potenze belligeranti.

Successivamente appoggiò le posizioni di Gabriele D’Annunzio e in particolare la sua avventura di Fiume. Fu anche un massone e deputato, sempre per il Partito Socialista, prima di essere espulso con altri riformisti e di aderire al Partito Socialista Unitario di Matteotti.

Fino all’omicidio di Matteotti non aveva espresso posizioni critiche contro il fascismo ma da lì in poi ne divenne un oppositore feroce, accusando i fascisti dell’omicidio del suo amico e collega di partito. Dopo l’attentato passò 18 anni in carcere e l’8 settembre del 1943, per volontà di Pietro Badoglio, venne scarcerato e gli fu offerto un posto nel governo. Rifiutò l’offerta ma quando lo stesso Badoglio gli offrì la carica di Alto commissario per l’epurazione nazionale del fascismo accettò.

Fu una delle mosse politiche di Badoglio per cercare di ripulire la facciata del governo nazionale e della Corona e per questo fu criticata anche dal Partito Socialista.

Successivamente cambiò incarico, forse perché inadeguato, e anche perché l’Alto commissariato non epurava proprio nulla non avendo un’identità precisa e qualificata. Il nuovo incarico fu meno compromettente perché si trattava di organizzare una serie di interventi a favore dei profughi e dei reduci di guerra.

Era il 1945 e la figura di Zaniboni scompariva dalla scena politica, acquetando i malumori del Partito Socialista che non riconosceva i governi Badoglio e nel quale era rientrato, e per il quale fu eletto deputato. Tito Zaniboni morì nel 1960, cinque anni dopo il suo ritiro dalla scena politica.

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Fulvio Caporale

Fulvio Caporale è nato a Padova e vive a Milano. Laureato in Scienze Politiche svolge la professione di consulente editoriale e pubblicitario. Collabora con case editrici e giornali cartacei e online occupandosi di libri, arte ed eventi culturali. Ha tradotto testi letterari e tecnici dallo spagnolo, dal portoghese, dall'inglese e dal catalano.

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