Il giornalismo durante l’unità d’Italia
Il 17 marzo 1861 fu solennemente proclamato a Torino il Regno d’Italia. Alla proclamazione dell’Italia unita seguì la morte di Cavour (6 giugno 1861). Nel periodo in cui si compie l’unificazione nazionale, fra il 1859 e il 1870, l’Italia è un paese essenzialmente agricolo, con una significativa disparità tra l’agricoltura della Padania e quella delle altre regioni. L’industria infatti è ancora debole e circoscritta alla Lombardia e al Piemonte. Le differenze sociali sono enormi e nelle classi povere è diffuso il malcontento. Progressivamente diminuisce l’analfabetismo anche grazie alla diffusione del giornalismo.
Approfondimento
L’editto sulla stampa
In tutta la penisola vengono diffusi i principi liberali sanciti dallo Statuto Albertino e dall’Editto sulla stampa; ciò alimenta la lotta politica e serve a produrre la creazione di nuovi giornali. Dominano la scena a Milano quattro quotidiani: “La Gazzetta di Milano”, “La Lombardia”, “Il Pungolo” e “La Perseveranza”. “Il Pungolo” di Leone Fortis è quello che ottiene maggior successo: ne amplia il formato e ne arricchisce i contenuti, riuscendo a rendere il foglio molto popolare, tanto che per dieci anni a Milano il venditore di giornali è chiamato il “pungolista”. “La Gazzetta di Milano” è diretta da Sonzogno e riscuote successo grazie ad alcune vicende documentate sugli intrallazzi legati alla costruzione di piazza Duomo e della galleria, vicenda che provoca la caduta del sindaco e della giunta municipale.
La scena del giornalismo a Torino si fa scialba ed è destinata a peggiorare con il trasferimento della capitale a Firenze. Una scelta, quella di Firenze come sede del governo e del parlamento, che favorisce l’ascesa del quotidiano “La Nazione” di Bettino Ricasoli. In tutto sono undici i quotidiani politici che vengono pubblicati a Firenze in questo periodo. A Napoli nasce “Il Roma” e a Palermo, nel 1860, nasce – subito dopo l’arrivo delle camicie rosse – “Il Giornale di Sicilia”. Quotidiano che segna l’inizio dell’attività editoriale della famiglia Ardizzone, che ancora oggi ne è proprietaria. Mentre a Roma continua la sua diffusione “L’Osservatore Romano”, ancora oggi voce ufficiale della Santa sede. È un periodo questo che vede il primato assoluto del “Petit Journal” di Parigi.
Le tipografie italiane dotate di macchine moderne per la stampa sono rare, al contrario di altri paesi dove sono già in funzione. Anche i trasporti e i sistemi di vendita sono arretrati. A Milano nascono le prime due edicole nel 1861. L’agenzia Stefani è ancora un’impresa di modeste proporzioni, invece le altre agenzie, quali l’Havas, la Reuters e la Wolff hanno stabilito dei collegamenti per scambiarsi le notizie grazie al telegrafo.
Il giornalismo e l’evoluzione della stampa
Il giornalismo politico-artigianale vede mutare la scena nella seconda metà degli anni Sessanta a Milano, grazie ad una cerchia di stampatori ed editori di spicco. Si tratta dei Sonzogno e dei Treves, che lanciano vari periodici illustrati. Dei Sonzogno escono “L’Illustrazione Universale”, “Lo spirito folletto”, dei Treves il “Giro del mondo”, il “Museo di famiglia” e altri periodici. Nasce, grazie a Edoardo Sonzogno, il primo quotidiano moderno dell’Italia. Si tratta del quotidiano il “Secolo”, che esce a Milano nel 1866, costa 5 centesimi e ha quattro pagine suddivise in cinque colonne, ed è ricco e tempestivo nell’informazione. Nel corso della terza guerra di Indipendenza, “Il Secolo”, sostenitore della sinistra, segue puntuale tutti gli avvenimenti della guerra. È il 1870 quando nasce la prima concessionaria della pubblicità: l’idea di Attilio Manzoni è quella di creare un tramite tra i giornali e gli inserzionisti, ma il vero colpo di genio è l’invenzione delle necrologie. L’ultima colonna della terza pagine viene infatti dedicata agli avvisi funebri.
Con la Breccia di Porta Pia, a Roma, nel 1870, le truppe italiane del generale Raffaele Cadorna entrano in città, che diventa capitale del Regno d’Italia: è un episodio importante della storia che viene raccontato all’indomani della Breccia dal primo numero de “La Capitale” di Raffaele Sonzogno. Insomma, nonostante le numerose novità nel mondo del giornalismo portate dall’unificazione nazionale, la diffusione dei giornali è ancora limitata. Una scena destinata a cambiare con l’avvento della sinistra al potere, che si verifica nel 1876.
Proprio a Milano, in questo periodo, nasce “Il Corriere della Sera”, quotidiano del pomeriggio diretto da Torelli. E’ un quotidiano moderato, attraverso il quale Torelli vuole creare la versione di destra del “Secolo”. Succede che tredici giorni dopo la sua nascita, la rivoluzione parlamentare rovescia la destra e al governo sale la sinistra guidata dal Depretis, quindi il “Corriere” si trova automaticamente all’opposizione e nei primi cinque anni di vita rischia più volte di chiudere. Intanto, “Il Secolo” continua la sua diffusione e il venditore di giornali, ormai, in città prende il nome di “secolista”. Nel 1882 “Il Corriere” comincia a uscire dalla condizione di precarietà e comincia la pubblicazione di numeri a sei pagine.
Il decennio 1880
Nel decennio Ottanta nascono, accanto al “Secolo” e al “Corriere”, vari quotidiani dalla forte impronta politica. Nel 1885 arriva una svolta per il “Corriere”: Crespi entra in società con Torelli e le 100.000 sborsate dal neo socio servono a costruire una nuova sede dotata di due rotative e a fare uscire il giornale in tre edizioni, mattino, pomeriggio e sera. Ciò nonostante, “Il Secolo” è ancora in testa. Anche le gazzette evolvono: a Torino, “La Gazzetta del Popolo” viene sorpassata dalla “Gazzetta Piemontese”, che nel 1895 si trasformerà ne “La Stampa”.
Intanto, nel 1878, a Roma nasce “Il Messaggero”, lanciato da Luigi Casana. Egli mira alla cronaca cittadina, ai resoconti dei processi che emozionano il pubblico, oltre che sui romanzi d’appendice. Nel 1883, nasce “La Tribuna” diretta da Attilio Luzzatto. Mentre a Bologna, nel 1885, nasce “Il Resto del Carlino”, a Genova nel 1886 nasce invece “Il Secolo XIX”, a Venezia, nel 1887, “Il Gazzettino”.
È destinato a fallire invece l’esperimento di Dario Papa alla direzione del quotidiano milanese “L’Italia”, che si ispira al New York Herald. Papa è appena tornato dal suo viaggio a New York e vuole attuare una rivoluzione tecnica per quanto concerne l’impaginazione e i contenuti: titoli su due, tre e perfino su tutte e cinque le colonne della prima pagina, dove colloca tutte le notizie di attualità. Nel 1890, è costretto a lasciare la direzione del giornale.
La scelta della politica coloniale – sotto il regno di Umberto I – e i governi dominati da Crispi hanno un’influenza notevole sulla stampa. A Napoli, nel 1892, nasce “Il Mattino” fondato da Edoardo Scarfoglio. Nel dibattito politico sul colonialismo si delineano atteggiamenti contrapposti tra i maggiori quotidiani del Nord e i fogli più aggressivi di Roma e del Mezzogiorno.
“Il Secolo”, “Il Corriere” e “La Stampa” considerano l’espansionismo coloniale una scelta errata sotto il profilo economico. “La Tribuna” e “Il Mattino” sostengono invece la politica coloniale. Nel 1896, il partito socialista matura l’esigenza di dotare il proprio partito di un quotidiano: è così che nasce “L’Avanti!” diretto da Leonida Bissolati. La principale causa della caduta definitiva del governo Crispi fu la disastrosa politica coloniale: ad Adua, il primo marzo 1896, l’esercito italiano fu sterminato. Al governo Di Rudinì sostituisce Crispi e intensifica gli interventi governativi sulla stampa.
Il giornalismo e i tumulti di fine secolo
Nel 1898 esplodono tumulti in varie città d’Italia per il forte rialzo del prezzo del pane. A Milano, il generale Beccaris chiede e ottiene la proclamazione dello stato d’assedio e reprime i tumulti con le cannonate. Con un semplice decreto chiude una decina di giornali e manda davanti al tribunale militare un gruppo di uomini politici e giornalisti (Turati è tra questi, nel 1892, per sua iniziativa nacque il partito socialista italiano). Tra i giornali colpiti ci sono “Il Secolo” e “L’Osservatore cattolico”. Le condanne di tre direttori e la prolungata chiusura del “Secolo” scuotono il mondo del giornalismo. Ciò comporta alcuni cambi di direzione: “La Stampa” passa sotto la direzione di Frassati e nel 1898 Oliva prende il posto di Torelli nella direzione del “Corriere”.
Nel 1898 ricompaiono i giornali interdetti, tra cui appunto “Il Secolo”. Luigi Pelloux diventa il nuovo presidente del Consiglio, il quale predispone un disegno di legge che restringe le pubbliche libertà e costituisce una seria minaccia per la stampa e per il giornalismo. È previsto l’aggravamento della pena per i reati commessi a mezzo stampa. La sinistra si oppone alle leggi eccezionali con l’arma dell’ostruzionismo. Pelloux tenta la strada del decreto legge, ma questa iniziativa gli fa perdere l’appoggio di molti liberali costituzionali, come Zanardelli e Giovanni Giolitti. Ormai ha i giorni contati, gli resta soltanto l’arma delle elezioni anticipate.
Il clima viene avvertito da un giovane giornalista, che da quattro anni svolge l’incarico di segretario di redazione del “Corriere della Sera”. Si chiama Luigi Albertini che, quando arriva la notizia che il re ha sciolto la camera, sostituisce l’articolo di Oliva, in cui sosteneva l’operato di Pelloux, con un suo articolo dal titolo “Uno sguardo al passato”: è una critica a Pelloux per i suoi due anni di governo. Quando legge il suo giornale, Torelli sbigottisce e, dopo un colloquio con Albertini, si dimette. Il 13 giugno 1900 la società Torelli diventa la società Luigi Albertini.