Storia del Giornalismo italiano: la stampa durante il fascismo
La stampa nel periodo fascista vede sfruttare il prestigio e la diffusione delle maggiori testate per accattivarsi il consenso della popolazione. Punta soprattutto al “Corriere della Sera” e a “La Stampa”. Vediamo nel contesto della storia del giornalismo italiano come si evolve la stampa.
Approfondimento
La stampa e Mussolini
In un primo momento, pretende la fascizzazione della parte politica e poi arriva a manipolarli totalmente. È il momento di nuovi mutamenti e di cambi di direzione: egli vuole eliminare i direttori che gli sono avversi e ci riesce. È così che il “Corriere della Sera”, in soli tre anni, cambia tre volte direttore; succede anche in altri quotidiani, come “La Stampa”, il “Giornale d’Italia”, il “Messaggero” e la “Tribuna”. Mentre muore “Il Secolo”, riprendono invece le pubblicazioni del “Gazzettino” (Venezia). Inoltre, Mussolini impone il blocco del numero dei quotidiani e gli editori rispondono passando all’impaginazione a sette colonne. Ciò comporta un distacco dal punto di vista editoriale e tecnico tra la stampa italiana e quella degli altri paesi: i quotidiani francesi, inglesi e americani hanno già intrapreso una diversificazione dei contenuti come metodo per combattere la diffusione della radio, che in Italia nasce nel 1930.
Mussolini si serve dell’ufficio stampa come mezzo principale di sorveglianza, dal quale partono le “veline”, che contengono le disposizioni ai giornali sugli argomenti da trattare: prima di ogni cosa la costruzione del “mito” del duce, le questioni politiche e la cronaca nera. L’iscrizione al sindacato è riservata ai giornalisti aderenti al partito fascista. Viene istituito l’albo e, per poter esercitare la professione, bisogna esserne iscritti: l’iscrizione si ottiene se si ha un regolare contratto con un quotidiano.
Storia del giornalismo italiano: il giornalismo radiofonico
Torniamo alla nascita della radio. Nel 1930, al giornalismo della carta stampata si affianca quello radiofonico. I giornali radio raggiungono indici di ascolto elevatissimi. Nello stesso anno, il guardasigilli Alfredo Rocco prepara il codice “Rocco”. Le nuove norme penali servono ad integrare alcuni punti lasciati in sospeso dalla legge 31 dicembre 1925. Eccoli: viene accentuata la responsabilità del direttore e il sequestro avviene per opera dei prefetti. La modernizzazione della stampa si sviluppa su tre piani: tecnico (vengono introdotte rotative più veloci), editoriale (la creazione del numero del lunedì, aumento delle pagine – alcune giornate sino a dodici – distribuzione più rapida), giornalistico (una maggiore diversificazione dei contenuti, maggiore uso delle fotografie, impaginazione di tipo orizzontale, stagione trionfale per la terza pagina).
Con l’installazione delle prime macchine per stampare in rotocalco (1930), nascono nuovi settimanali (femminili, sportivi, di cinema, per ragazzi), editori importanti sono Rizzoli e Mondadori. Nel 1933, il duce nomina capo dell’ufficio stampa Ciano, suo genero, mentre lui sta pensando all’Abissinia (Africa orientale). I giornali e la radio contribuiscono a far rinascere il mal d’Africa: Ciano estende il suo controllo sulla radio e decide di mandare in onda, dopo il notiziario delle venti, un commento ai fatti del giorno. La rubrica si intitola “Cronache del regime” e se ne occupa Roberto Forges Davanzati.
Gli inviati
Durante la conquista dell’Etiopia, gli inviati speciali sono trentasei. La censura militare e la sorveglianza del Ministero della Stampa nascondono le incertezze che si registrano nella prima fase; man mano che la vittoria si avvicina l’enfasi cresce: il duce torna ad occupare il titolone della prima pagina. Le tirature dei quotidiani registrano vette mai viste. Nel 1937, il Ministero della Cultura popolare viene chiamato “Minculpop”.
Nascono i settimanali di attualità Omnibus (Rizzoli), Tempo (Mondadori). Comincia anche la guerra delle onde con l’attivazione di emittenti antifasciste. La stampa è chiamata ad abbandonare ogni pietismo e a diffondere la campagna antisemita: ogni quotidiano partecipa, ad eccezione di quelli cattolici. Nel 1939, ottengono particolare successo le corrispondenze di Indro Montanelli, inviato del “Corriere”.
L’entrata in guerra dell’Italia e la censura fascista
La sera del 10 giugno 1940 viene dato l’annuncio dell’entrata in guerra. Due ore dopo l’annuncio, Pavolini, ministro della Cultura popolare, tiene rapporto ai direttori dei maggiori quotidiani e raccomanda di intensificare la campagna sulle ragioni dell’intervento.
Sono scarse le veline sull’andamento del combattimento, perché sulle notizie militari e sulle corrispondenze di guerra esiste un doppio vaglio censorio. Così i corrispondenti di guerra sono costretti a descrivere più le impressioni che i fatti. All’inizio, i quotidiani devono uscire a 4 pagine. Calano le vendite, perché la gente non si accontenta più dei bollettini e dei comunicati. Allora Pavolini concede due numeri a sei pagine alla settimana e invita i direttori a ridare alla terza pagina il suo tradizionale carattere. Avviene così che le vendite cominciano a salire e la crescita non si arresta più.
Dalla metà del 1942 i quotidiani devono uscire a quattro pagine e nel 1943 si arriva a scendere alle due pagine. Il “Corriere” è in testa, seguito da “La Stampa”, “Stampa sera” e dal “Popolo d’Italia”. Anche la guerra delle onde si sviluppa enormemente. Così Mussolini invita i giornali a dire di tutto ed a occuparsi di tutto. Caduta Pantelleria, l’ordine che viene dato è di evitare polemiche dirette a distinguere tra fascisti e antifascisti. Gli angloamericani sbarcano in Sicilia.
L’arresto di Mussolini
Mussolini viene sconfessato dal Gran Consiglio del fascismo in una riunione avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 e viene fatto arrestare da Re Vittorio Emanuele III. L’annuncio delle “dimissioni” del duce e dell’incarico dato dal re a Badoglio di formare il governo venne diramato dalla radio dopo le 22 del 25 luglio.
E’ un momento importante nel contesto della storia del giornalismo italiano. Per i giornali comincia una notte frenetica, Morgagni, presidente dell’agenzia Stefani, si toglie la vita. Cessa le pubblicazioni “Il popolo d’Italia”. Escono brevi commenti nei quotidiani che, a partire dal “corriere”, sono quasi tutti intitolati “Viva l’Italia”.
La stampa e Badoglio
Le prime misure adottate da Pietro Badoglio per la stampa e la radio sono molto severe. A causa della penuria della carta, i quotidiani sono autorizzati ad uscire a quattro pagine soltanto due volte la settimana. Due testate vengono soppresse: “IL popolo d’Italia” e “Il regime fascista”. Con la nomina di Galli al ministero della Cultura viene concessa alla stampa qualche possibilità di parlare del fascismo, ma solo su aspetti scandalistici: l’amante del duce e i suoi familiari, ad esempio.
Dopo la fuga del re e di Badoglio da Roma i giornali e la radio sono allo sbando. Per alcuni giorni dei quotidiani non escono e il giornale radio non trasmette il notiziario. I quotidiani escono a due pagine e sono firmati da “redattori responsabili”. Si apprende la notizia della liberazione di Mussolini, avvenuta per opera di paracadutisti tedeschi, che lo trasferiscono in Germania.
La stampa in mano ai tedeschi e la stampa clandestina
Da Monaco, arriva l’annuncio di Mussolini della creazione della Repubblica sociale italiana (La Repubblica di Salò – Lombardia). Da questo momento, fu solo uno strumento in mano tedesca. I tedeschi obbligano i giornali romani a pubblicare il testo integrale del discorso di Hitler sul tradimento dell’Italia.
Nelle prime settimane, i canali d’informazione sono soltanto rappresentate dalle agenzie tedesche e i notiziari del nuovo regime fascista trasmessi da Monaco. È attraverso l’istituzione dell’ufficio propaganda Staffel, nato a Milano, che i tedeschi esercitano il controllo della radio e dei giornali. Mussolini pubblica sul “Corriere” una lunga serie di articoli nei quali ripercorre le vicende svoltesi tra il 1942 e il 1943. Nel 1945 si avvicina la fine. Ha inizio la stampa clandestina. Si distinguono due filoni: da una parte la stampa clandestina dei partiti e dall’altra i fogli partigiani.