A Zacinto, parafrasi della poesia di Ugo Foscolo
Il sonetto “A Zacinto” è stato composto da Ugo Foscolo tra il 1802 e il 1803. I temi affrontati sono l’esilio e quindi l’amore per la patria lontana, la sepoltura illacrimata e il ricordo dei personaggi classici. La rievocazione della patria lontana abbraccia quasi tutto il sonetto: il poeta ha il presentimento di non rivedere più Zacinto, dove visse la sua fanciullezza.
Ricordando la patria lontana, torna alla mente del poeta la bellezza del mare di Zacinto, il mito di Venere nata dalla spuma del mare, la poesia di Omero che celebrò la bellezza di Zacinto e narrò le imprese di Ulisse, l’eroe perseguitato dal destino, che approdò e baciò la sua Itaca, un lembo di terra rocciosa, arida, povera, ma cara a Ulisse perché era la sua patria.
Il ricordo di Ulisse fa avvertire al poeta l’analogia del proprio destino con quello di Ulisse: anche lui si sente perseguitato dal destino avverso e crudele, ma ha il presentimento della diversità della sua conclusione. Mentre l’Ulisse omerico riesce a rivedere la sua patria, l’Ulisse moderno, ovvero il Foscolo stesso, ha il presentimento della morte in terra straniera, in assoluta solitudine e non confortata dal pianto dei suoi cari.
Situata nel mar Ionio, vicino alle coste del Peloponneso, Zacinto (il cui nome è indicato anche come Zante) è un’isola greca di 400 chilometri quadrati con una popolazione odierna di circa 40.000 abitanti: fa parte dell’arcipelago delle isole Ionie. Questo luogo diede i natali a Foscolo il 6 febbraio 1778.
A Zacinto
Ecco il testo completo del sonetto:
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Parafrasi
Mai più toccherò le sacre sponde dove ho trascorso la mia giovinezza, Zacinto mia, che ti specchi nelle onde del mare greco da cui nacque vergine Venere e fece quelle isole feconde col suo primo sorriso, Omero non poté non parlare delle tue limpide nubi e cantò del diverso esilio perseguitato dal destino avverso e crudele di Ulisse, che baciò la sua Itaca.
Tu, Zacinto, non avrai altro che il canto del tuo figlio, o materna mia terra, il fato a noi prescrisse una sepoltura senza lacrime.