La scultura di Michelangelo e le sue opere giovanili
Riproducendo in marmo un pezzo che tiene fisso davanti ai suoi occhi, Michelangelo si abitua a considerare che ciò che scolpisce esiste già prima; quando poi creerà liberamente, ciò che traduce nel marmo dovrà essere ben preciso nella sua mente, come se già esistesse: nel marmo dovrà ritrovare quell’idea che vive nella sua immaginazione.
La teoria michelangiolesca
Questa appena introdotta è la teoria michelangiolesca: se la visione di ciò che deve essere rappresentato è già nella mente dell’artista prima ancora di porre mano allo scalpello, l’esecuzione consisterà soltanto nel ricavare quella visone dal marmo, spogliando questo di ogni “soverchio” fino a lasciare libera l’immagine.
Tecnicamente questo procedimento è comune a tutta la tradizione scultorea. Ma Michelangelo va oltre la prassi tecnica. La mano è lo strumento che esegue meccanicamente la volontà dell’intelletto, il quale non può avere nessuna idea che già non preesista all’interno del marmo. È, dunque, l’idea che vive eternamente e che l’artista ha il compito di liberare dalla materia, lottando con essa, con il totale impegno di se stesso, con fatica, fino a ritrovarla intatta. È il motivo costante dell’arte di Michelangelo: la lotta dell’uomo, imprigionato, oppresso, sconfitto, per raggiungere una meta, che si sa irraggiungibile, ma verso la quale dobbiamo tendere per dovere morale, per salvaguardare la propria dignità.
In questo senso Michelangelo Buonarroti si pone come legittimo erede di Giotto, di Masaccio, di Donatello e della tradizione neoplatonica fiorentina. I primi saggi sicuri di sua mano sono alcuni disegni. Si tratta di alcune copie da Giotto e da Masaccio. La scelta di questi autori non è casuale: Michelangelo si rivolge a questi maestri fiorentini che più di altri hanno espresso la dignità dell’uomo e ne hanno reso le forme rilevandole volumetricamente con il chiaroscuro e cogliendone non l’apparenza esteriore ma l’essenza.
Le copie di Michelangelo sono personalissime: si noti in particolare il chiaroscuro, ottenuto mediante un tratteggio a reticolo fitto, che segue l’andamento delle sporgenze e delle rientranze e che vitalizia le superfici, come la scalpellatura spesso visibile nei marmi michelangioleschi.
Tra le opere giovanili abbiamo “La Madonna della scala”. Realizzata tra il 1490-1492; rilievo in marmo; centimetri 55,5×40; Firenze, Casa Buonarroti.
Quest’opera rivela rapporti con opere antiche, ma soprattutto con Donatello nello “stiacciato”, che deforma le figure in latitudine dando loro potenza. La Madonna, posta di profilo, occupa l’altezza totale della lastra, il fondo inferiore funge da piano di appoggio per i piedi, mentre quello superiore comprime quasi la testa aureolata. Il Bambino è rappresentato mentre, succhiando il latte dal seno materno, volge la testa e il braccio in posizioni divergenti. La scala dagli alti gradini, più che creare profondità spaziale, incombe sul davanti drammaticamente.
I putti, appena accennati, reggono un telo, forse il lenzuolo funebre, allusione al sacrificio di Gesù, in un intreccio di vita e morte, tema costante, pensiero ricorrente nella lunga vita di Michelangelo.
Altra opera giovanile è la “Battaglia dei Centauri” del 1492; rilievo in marmo; centimetri 84,5×90,5; Firenze, casa Buonarroti.
In quest’opera i centauri non si distinguono chiaramente, ma prevale il senso della lotta accanita tra gli uomini, in un groviglio inestricabile di membra. La scena è dominata dal giovane, in alto, al centro, che si volge da un lato sollevando il braccio destro. Con il gesto sembra imprimere movimento all’intera composizione, in verticale e in orizzontale, costituendone il perno.
Troviamo un’assenza della prospettiva geometrica. Lo spazio è creato liberamente dal diverso emergere dei volumi della lastra marmorea, cosicché possiamo enumerare almeno tre piani, ma in realtà sono molti di più perché le figure sono in gran parte ancora contenute all’interno del marmo, quando addirittura non siano appena accennate, suggerendo un più ampio spazio retrostante.