Le nozze di Cana, quadro di Paolo Veronese

Il Rinascimento veneziano si contraddistinse fin dal principio dalla pittura fiorentina grazie all’uso di straordinarie tecniche e soprattutto per preferenza del colore sul disegno, anche se di recente alcune indagini tecniche hanno dimostrato l’erroneità di tale affermazione. La varietà del repertorio veneto trovò la strada della proprio affermazione grazie all’identità di un illustre artista: Paolo Caliari, conosciuto come il “Veronese”. Il capolavoro che prese il nome di “Le nozze di Cana” rientra nell’incredibile serie di cene realizzate dal pittore veronese, cogliendo in pieno lo spirito vigoroso del secolo della grandiosità artistica, dell’innovazione e della sperimentazione quale mezzo di crescita e vincolate la “rinascita”.

Le nozze di Cana - quadro Veronese
Le nozze di Cana, Paolo Veronese, olio su tela, 1563, Museo del Louvre

L’episodio biblico della tramutazione dell’acqua in vino fu trattato nel capolavoro veneto egregiamente, grazie all’eccellente mescolanza di didascaliche intuizioni e spirito prammatico.
La tela Le nozze di Cana fu realizzata per il complesso architettonico dell’isola di San Giorgio Maggiore, per poi raggiungere il Louvre nel 1797.

Le nozze di Cana: la genesi del dipinto

La tela di Paolo Veronese servì da riempimento per la parete di fondo del refettorio del complesso architettonico della Basilica di San Giorgio a Venezia.

Nel 1797 la tela fu prelevata come bottino di guerra da Napoleone, per raggiungere il Louvre l’11 settembre dello stesso anno.

Basilica di San Giorgio, Venezia
Una foto della Basilica di San Giorgio a Venezia

Note tecniche e descrittive

«E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono.
E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono».
(Gv 2, 1-12)

Il miracoloso sentimento rinascimentale trovò in Veronese la rivelazione della parola biblica, del testo religioso evocante convinzioni dottrinali, nel pittorico gioco che muove l’antica narrazione attraverso fisionomie nuove, scenografie teatrali, al cospetto della celebrata Repubblica Veneziana, protagonista sostanziale della cosiddetta Lega Santa a sostegno della Serenissima.

La scuola veneziana si operò d’ingegno, collaudando la gloriosa fama lagunare grazie alle identità elevatissime di Tiziano, Tintoretto e Veronese.

Risulta assai complesso riassumerne in breve le influenze essenziali e il conseguente percorso dialettico che unì e separò l’indole, in ogni modo illustre, dei tre principali protagonisti della pittura lagunare di matrice rinascimentale, poiché come il Ridolfi introduce nel capitolo dedicato alla vita di Paolo Caliari, all’interno del magnifico capolavoro dal titolo “Le meraviglie dell’arte, ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello stato”:

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« Non bastano le facondie degli oratori o le iperboli dei Poeti per ispiegare appieno le bellezze della pittura, la quale non essendo che un compendio meraviglioso degli effetti della natura (come fissandosi l’ occhio riman deluso tra le finzioni), si confonde ogni stile, ed insterilisce ogni vena per ben favellarne » (RIDOLFI).

Veronese realizzò questo eccelso capolavoro per il convento benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia, dilettandosi, per di più, nell’uso di ritratti confacenti le fisionomie dei propri contemporanei illustri, immaginando in tal modo di suscitare nei suoi religiosi spettatori un grande divertimento nello scorgere tra i personaggi biblici qualche volto conosciuto della Venezia contemporanea.

Si trattava di una tecnica collaudata,la quale consentendo all’artista di inserire nel dipinto personaggi dell’epoca, raggiungendo la meta di una rappresentazione attualizzata, vivace e nello spirito di un’ epoca «in cui il romanzo storico ha occupato il trono posseduto per tanti secoli dal poema epico tutto vuolsi storico; tutto vuolsi storico».

Per vivacizzare la scena, Veronese si servì di una rappresentazione di tipo teatrale, distribuendo i personaggi in una scenografia ricca di colonnati, scale e balaustre, riproducendo, infatti, una sala dotata di scene multiple, proscenio e ben due scale di accesso per il raggiungimento del palcoscenico rialzato, il secondo.

In egual misura Veronese focalizzò la propria attenzione sui costumi dei personaggi, rappresentandoli fin nei minimi dettagli, arricchendo di splendide decorazioni anche i vasi presenti sulla scena.

Le nozze di Cana - quadro - dettaglio macellaio
Il dettaglio del quadro “Le nozze di Cana” in cui un macellaio, al centro, sopra la testa di Gesù, prepara un agnello.

Nonostante questa ricchezza nella rappresentazione, qualità di decoratore molto acclamata, Veronese sottolineò la natura religiosa del dipinto, concentrando l’attenzione dello spettatore al centro della scena, dove siede Cristo, finendo in tal modo per diventare il centro della composizione e dunque zona focale in cui converge il modo vorticoso dell’animata rappresentazione, al di sopra della quale di può notare un macellaio nell’atto di lavorare un agnello, simbolo dell’eucarestia.

Nella parte inferiore del dipinto Veronese rappresentò se stesso mentre suona la viola da gamba insieme ad altri famosi pittori della sua epoca.

Le nozze di Cana - quadro - dettaglio musicisti
Il dettaglio dei musicisti

In una sorta di ritratto di famiglia egli si dipinse al fianco di Tiziano che suona il violoncello, a Tintoretto con la seconda viola e a Bassano che suona il violino, quasi a rimarcare il ruolo di traduttori della storia celeste a cui cristo offre la propria benedizione.
All’ottavo posto da destra Veronese aggiunse il ritratto di un prelato quando il dipinto era ormai terminato.
Si trattava dell’abate San Giorgi, Andrea Pampurio che in seguito alla sua elezione volle esservi inserito (1564).

Note bibliografiche
P. Daverio, “Louvre”, Scala, Firenze, 2016

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Simona Corciulo

Simona Corciulo nasce a Gallipoli il 5 maggio del 1992. Appassionata di arte e antiquariato, ha conseguito la laurea in ''Tecnologie per conservazione e il restauro'' nel 2014. Fervida lettrice, ama scovare e collezionare libri di arte, storia, narrativa - italiani e stranieri - desueti o rari.

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