La “Tosca” di Puccini
Nato a Parigi nel 1831, il giovane insegnante di francese Victorien Sardou si pone in evidenza come apprezzato autore di testi teatrali. La sua copiosa produzione gli conferisce un discreto successo, ma egli è consapevole che si tratta di notorietà effimera che non gli riserverà gloria imperitura nella storia del teatro e, in particolare, della drammaturgia. E così, quando si appresta alla stesura de “La Tosca” – pensata per Sarah Bernhardt – che andrà in scena nel 1887, non immagina che sta invece consegnandosi alla storia non per l’opera teatrale in sé, ma in quanto essa ispirerà il maestro Giacomo Puccini che la convertirà nella celeberrima e omonima opera lirica.
Approfondimento
Tosca incontra Puccini
Il primo incontro fra il musicista lucchese e la rappresentazione teatrale avviene tre anni dopo, nel 1890, in occasione della messa in scena de “La Tosca” a Milano. Puccini viene subito attratto dall’idea di tradurla in melodramma, ma esita nella sua realizzazione per alcuni anni fino a quando torna a rivederla, a Firenze, e questa volta si determina alla realizzazione del progetto caldeggiato, peraltro, anche dal poeta e commediografo Ferdinando Fontana.
Investito il suo editore Ricordi si scopre, però, che l’idea era già venuta al compositore Alberto Franchetti e che il librettista Luigi Illica sta già lavorando alla metrica e, contestualmente, alla riduzione della ponderosa stesura originaria in soli cinque atti. Franchetti, tuttavia, rinuncia al lavoro ben lieto di cederlo all’amico Puccini. Ad Illica viene affiancato Giuseppe Giacosa, che cura i momenti più propriamente melodrammatici dell’opera.
Dopo una intricata serie di disaccordi e scontri fra i vari addetti ai lavori – a cominciare dallo stesso compositore – il cui esito, tra l’altro, è l’ulteriore riduzione del numero degli atti a tre – “Tosca” vede finalmente la luce.
L’opera
L’ambientazione è a Roma, nel giugno dell’Ottocento. La napoleonica Repubblica Romana è appena stata abolita e sono in corso rappresaglie nei confronti degli ex repubblicani. Fra questi Cesare Angelotti, già console della Repubblica che, evaso da Castel Sant’Angelo, trova rifugio nella Chiesa di Sant’Andrea della Valle. Qui incontra il suo amico pittore Mario Cavaradossi che gli assicura aiuto e collaborazione. Il colloquio fra i due è interrotto dal sopraggiungere della cantante Floria Tosca, amante del pittore, che si lascia andare ad una scenata di gelosia perché si accorge che il volto di Maria Maddalena che Mario sta dipingendo è quello della marchesa Attivanti. Dopo essere stata rassicurata dal pittore, Tosca lascia la chiesa e i due amici fuggono via.
Il resto della storia si sviluppa intorno al personaggio del barone Scarpia, capo delle Guardie Pontificie il quale, venuto a conoscenza dell’intesa fra il fuggiasco ed il pittore, ordisce una trappola per conseguire il duplice obiettivo di sedurre Tosca e catturare Angelotti. Fa dunque arrestare Cavaradossi con l’accusa di cospirazione e poi costringe Tosca, con la promessa di un salvacondotto per il suo amato, a promettersi a lui ed a rivelare il nascondiglio di Angelotti.
Tosca cede al ricatto ma, non appena ottenuto il documento, estrae un coltello ed uccide Scarpia. Corre dunque a salvare il suo uomo ma giunge tardi perché, nel frattempo, Mario è stato fucilato. Colta dalla disperazione, Tosca si toglie la vita gettandosi nelle acque del Tevere.
I momenti più intensi del melodramma pucciniano sono probabilmente contenuti nelle arie “Vissi d’arte”, nel II atto, ed “E lucevan le stelle”, nel III. In “Vissi d’arte”, romanza divenuta celebbre, si coglie la poetica disperazione e lo smarrimento di Tosca che, sotto l’atroce ricatto di Scarpia, si scopre incapace di concepire e di comprendere tanta cattiveria e si rivolge a Dio con toni di supplica ma anche di risentimento: “Vissi d’arte, vissi d’amore, non feci mai male ad anima viva!… Nell’ora del dolore, perché, perché Signore, perché me ne rimuneri così?”
In “E lucevan le stelle”, romanza ancor più famosa, il pittore Cavaradossi rinchiuso in carcere e consapevole del destino che lo attende di lì a poco, ripercorre con la mente i bei momenti trascorsi con la sua amata in un insieme di nostalgia, passione e scoramento: “… Oh! dolci baci, o languide carezze, mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli! Svanì per sempre il sogno mio d’amore… L’ora è fuggita… E muoio disperato! E non ho amato mai tanto la vita!… ”.
La prima
Il quadro politico dell’Italia, nei primi del Novecento, è caratterizzato da malcontento e tensioni. Movimenti antiunitari, antimonarchici e anarchici esercitano, ognuno per proprio conto, azioni di disturbo anche attraverso iniziative violente e sanguinarie; a ciò si aggiungano l’ostilità mai sopita del Vaticano che si ostina a non riconoscere il Regno d’Italia, una severa crisi economica e l’isolamento internazionale dell’Italia.
Questo è il clima preoccupante con il quale, nel gennaio 1900, ci si appresta ad accogliere la prima della Tosca di Puccini, e che non mancherà di condizionare l’importante evento. A Roma, la sera del 14 gennaio 1900, infatti, con un Teatro dell’Opera (detto anche Teatro Costanzi) ridondante di pubblico, poco prima dell’apertura del sipario il direttore d’orchestra Leopoldo Mugnone è raggiunto da un funzionario di polizia che lo informa del concreto rischio di un attentato nel corso della serata, cosa già accaduta in altri teatri.
Si paventano iniziative di disturbo da parte dei rivali di Puccini ma, soprattutto, la annunciata presenza in sala della regina Margherita fa temere iniziative terroristiche da parte degli anarchici.
Alla prima saranno inoltre presenti personalità politiche e del mondo culturale di primissimo piano. Con queste premesse e con conseguente pessimo stato d’animo il maestro Mugnone raggiunge dunque il suo posto e la serata ha inizio. Fortunatamente, dopo un iniziale rumoreggiare dei soliti detrattori che determina una breve sospensione dell’esecuzione, la rappresentazione riprende e giunge felicemente a conclusione con un grande successo.
La critica
Tra le opere di Puccini, la “Tosca” rimarrà la più maltrattata nelle recensioni della stampa specializzata. Scriverà Colombani, sul “Corriere della Sera”:
“…Con tutta la deferenza pel grande drammaturgo francese, io vorrei affermare che il suo lavoro fu migliorato prima dall’Illica e dal Giacosa, che ne affinarono i principali elementi, poi dal Puccini che con una tavolozza delicata e aristocratica ne nobilitò la rappresentazione. Ma – per quanto abilmente mascherato – il difetto originale del dramma a tinte troppo forti, e povero di ogni elemento psicologico, rimane visibile ostacolo ad una libera estrinsecazione della fantasia musicale di Giacomo Puccini…”.
Di tenore analogo sono i commenti del “Secolo” e di altri quotidiani, che trovano l’opera musicalmente poco originale e la trama eccessivamente appesantita da torture, assassini e suicidi. Nonostante le perplessità della critica, però, la “Tosca” viene promossa a pieni voti dal pubblico ed inizia a fare il giro del mondo, dall’Europa all’intero continente americano passando per Costantinopoli e Il Cairo, fregiandosi negli anni delle più prestigiose interpreti fino a Maria Callas, nel 1941.
“Tosca”, insieme a “Manon Lescaut” (1893), “La Bohème” (1896), “Madama Butterfly” (1904), “Turandot” (1926), costituiscono solo una parte della copiosa produzione pucciniana che fa del maestro lucchese uno dei massimi rappresentanti della nuova scuola operistica italiana e lo iscrive fra più grandi compositori della storia della musica.