La tentazione di Sant’Antonio, quadro di Salvador Dalì
La tentazione di Sant’Antonio è stato dipinto da Salvador Dalì nel 1946 a New York. Si tratta di un olio su tela delle dimensioni di 90 x 120 cm, attualmente conservato al Musée des Beaux-Arts di Bruxelles. Nel quadro appare Sant’Antonio con in mano un crocefisso, formato da due legni uniti da una corda, che sta alzando verso un cavallo bianco imbizzarrito.
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Dietro all’animale ci sono quattro elefanti che hanno le zampe allungate, di consistenza sottile come se fossero delle prolunghe fragili ed esili quasi quanto i famosi baffi del pittore catalano; il loro colore tende al blu.
Il cavallo simboleggia la pazzia che domina i lussuriosi ma anche la violenza che si scatena dal potere. Mentre i quattro elefanti trasportano sui loro dorsi oggetti e immagini simboliche.
Il primo porta una piramide alla sommità della quale appare una donna nuda che si massaggia con volgare sensualità; il secondo trasporta un obelisco posto sopra un tappeto d’orato.
Il terzo trasporta una costruzione di memoria palladiana al cui interno si vedono parti di un corpo femminile, i seni e il ventre, sulla sommità del tempio vi è una figura malefica che annuncia con la tromba l’arrivo dell’elefante.
Il quarto, in fondo, in parte nascosto dalle nuvole, tiene sul dorso una torre.
Il primo elefante e il cavallo avanzano verso il santo mentre gli altri tre si spostano verso ovest. Quest’ultimi hanno le zanne bianche mentre il primo ne è privo.
Il luogo è lunare, appare come se fosse un mondo diverso dalla realtà; può essere un luogo di sogno, una sorta di trapasso a cui il santo deve sottoporsi per andare oltre nel suo cammino.
Proprio la desolazione del paesaggio accentua ancora di più l’angoscia delle tentazioni e la nudità del santo richiama la fragilità dell’essere umano, che si aggrappa ad un atto di fede per difendersi dalla furia che lo sta per travolgere. Uno degli aspetti più interessanti, a parer mio, sono le zampe dei pachidermi, esili come quelle dei ragni, che rendono ancora più onirica l’immagine, come se creassero una sorta di legame ottico fra cielo e terra.