Intervista a Stefania Divertito

Stefania Divertito, giornalista e scrittrice
Stefania Divertito, giornalista e scrittrice

Stefania Divertito. Nata a Napoli nel 1975, è giornalista d’inchiesta specializzata in tematiche ambientali. Responsabile della cronaca nazionale per il quotidiano Metro, collabora con alcuni periodici nazionali, dando il proprio contributo in materie d’ambiente e non solo. Per la sua inchiesta sull’uranio impoverito, dal titolo Uranio. Il nemico invisibile,  ha vinto nel 2004 il premio Cronista dell’anno indetto dall’Unione cronisti italiani.

Ha pubblicato inoltre il libro-reportage “Il fantasma in Europa” (2004, con Luca Leone) e “Amianto. Storia di un serial killer” (2009), altra inchiesta a sfondo green che non ha mancato di suscitare la giusta attenzione sui casi raccontati dalla giornalista.

Nel 2011, Stefania Divertito ha pubblicato il libro-denuncia “Toghe verdi. Storie di avvocati e battaglie civili”, edito da Edizioni Ambiente, con una prefazione firmata dal noto scrittore Erri De Luca. Intervistata, oltre a rispondere ad alcune domande incentrate sui suoi lavori giornalistici, l’autrice ha fatto il punto su alcune delicate contingenze nazionali in materia ambientale, approfondendo temi quali le grandi opere pubbliche, l’educazione ambientale e altre questioni altrettanto urgenti e interessanti.

Quali differenze ci sono tra quest’ultima inchiesta e i tuoi precedenti lavori, quello sull’uranio e, l’ultimo prima di Toghe Verdi, incentrato sull’amianto? E quali, invece, gli elementi comuni riscontrabili nei vari casi di cui parli?

Innanzitutto parto dagli elementi comuni: la passione per l’ambiente e per la giustizia che accomuna i protagonisti degli ultimi tre libri. Protagonisti che, tra di loro, sono molto diversi: nel primo caso sono soldati, nel secondo sono operai, vedove, marinai; nel terzo sono toghe, quindi magistrati e avvocati di parte civile. Però tutti hanno quest’enfasi di vita, questo anelito ad andare oltre il proprio dolore, il proprio smarrimento, per condividere con altri una battaglia che serva anche al futuro. Trovo questa spinta arricchente e, per certi versi, eroica, anche se questo è un termine purtroppo abusato. Vengono definiti eroi anche i protagonisti dell’isola dei famosi!
Per altri versi, però, questi tre libri sono molto differenti tra di loro. Intanto i primi due sono, per così dire, monografici: trattano e sviscerano un solo argomento, l’uranio impoverito nel primo; l’amianto nel secondo; in Toghe verdi ho voluto invece spaziare, individuare vari argomenti e collegarli tra di loro attraverso l’impegno e le battaglie giuridiche delle toghe, che però non sono mai le assolute protagoniste, ma lo è il nostro martoriato ambiente, la nostra bistrattata Italia. E poi qui, a differenza di altri lavori, compare la politica. Ho sottolineato le nefaste azioni dei politici, tanto che spesso ho sperato che chi governa, a tutti i livelli, se ne tirasse fuori, perché spesso quando interviene, fa più danni che altro. Quindi ho voluto identificare un altro livello del disastro ambientale, più alto, nel senso della responsabilità, non soffermarmi al racconto del fatto di cronaca e analizzare tutte le implicazioni possibili.
Infine un’altra differenza è che con Toghe Verdi ho voluto aprire spiragli di speranza, in chi legge, perché secondo me l’ambientalismo è cambiato negli ultimi dieci-quindici anni. È più preparato, più attento, riesce a scambiare più informazioni grazie a internet e infine secondo me si è passati da un ambientalismo del “no” a uno del “perché”.

Citando un brano della tua inchiesta: in Italia, viene commesso un delitto contro l’ambiente ogni 43 minuti. Come si fa? È evidente che si tratta di un problema culturale: dunque, quali misure, secondo te, bisognerebbe adottare (visto che è ovvio che qualsiasi tipo di sensibilizzazione sin qui fatta, non è bastata)?

Secondo me occorre innanzitutto inasprire le pene. Perché, se chi inquina, rischia al massimo una sanzione amministrativa, oppure ammende ridicole, se commisurate al giro d’affari in nero che ha realizzato, continuerà a farlo. La battaglia culturale, poi, deve essere fatta a partire dai più piccoli, nelle scuole, far capire ai bambini che a ogni azione  corrisponde una conseguenza e se, ad esempio, si interrano fusti di rifiuti tossici nelle campagne, quella frutta e quella verdura sarà inquinata per sempre. E non si sta solo devastando quel fazzoletto di territorio ma l’economia e il futuro della terra. Bisogna far nascere nelle nuove generazioni un senso di responsabilità rispetto al Pianeta, che li renda vigili e attenti. Solo così possiamo pensare, secondo me, di combattere i traffici illegali e gli eco-illeciti.

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Che idea ti sei fatta del caso Tav/Val di Susa? Cosa ne pensi?

Penso che sia stata gestita molto male. Penso che la resistenza di quella Valle vada ascoltata prima che sia troppo tardi. Penso che se centinaia di professori universitari hanno speso il proprio nome e la propria professionalità per firmare un rapporto tecnico che dimostra come quell’opera non sia eco-compatibile oltre che  economicamente sbagliata, occorre prestare loro attenzione. E poi il traffico merci su ferro è in riduzione, ha numeri decrescenti in Italia da anni, è un’opera che nasce vecchia, e andrebbe certamente modificata.

Quale, tra i casi citati in Toghe Verdi, ti ha stupito di più, o reputi più grave e degno di attenzione da parte dell’opinione pubblica?

Difficile fare una selezione. Però forse uno dei meno noti e più scandalosi è il caso del Mugello. Percorrere con scarpe da trekking letti di ex-fiumi è davvero drammatico. Ma ancora di più lo è ascoltare i racconti di uomini e donne rassegnati ma mai domi alle bugie del potere – e questa volta parliamo del potere economico dei grandi consorzi di costruttori, che hanno per sempre distrutto una vallata. Questa storia è tanto più scioccante se si pensa che stanno per trivellare le viscere di Firenze per costruire una nuova galleria dell’alta velocità che, a parere di molti ingegneri e di docenti dell’università di Firenze, è inutile, oltre che dannosa. Il passato, purtroppo, ancora una volta non ci ha insegnato nulla.

Una domanda politica: negli altri Paesi, come Germania e Francia per fare un esempio, i movimenti cosiddetti Verdi, tanto tra la gente che a livello istituzionale, hanno un ruolo molto importante, che pesa sulle decisioni delle coalizioni e, talvolta, dei governi. Perché questo non accade in Italia?

In questi paesi, in Francia più che altrove, i Verdi hanno operato una scelta politica ben precisa: non sono né di destra né di sinistra. L’ambientalismo non può avere appartenenza di coalizione, è un valore trasversale. Questo ha contribuito a rendere vincente quel modello partitico, cosa che da noi non è avvenuta. La connotazione partitica dei nostri Verdi ne ha decretato la difficoltà a resistere alle burrasche. Sono stati travolti come un qualsiasi partitino di minoranza. Non dovrebbe essere così. Io sogno un partito ecologista fatto di professionisti dell’ambiente: fisici, medici, ingegneri, chimici, architetti, economisti. Affinché la si smetta di essere bollati come quelli che dicono no sempre e comunque, ma che siamo capaci di smarcarci da queste posizioni e affrontare le varie questioni con cognizione di causa, esperienza, capacità reali. Più che mai c’è bisogno di un partito dei Verdi in Italia, ma che sia preparato ad affrontare le sfide, non con i soliti slogan triti, che vada oltre le barricate e si faccia azione, costruzione, di un’alternativa di sviluppo e di gestione del territorio. Che sappia stare tra la gente e che sappia informarsi, crescere, anche grazie a relazioni internazionali con gli ecologisti del resto del mondo. Penso che abbiamo bisogno di un partito così. Spero di poter votare, un giorno, un partito del genere.

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