Intervista a Cesare Moreno

Cesare Moreno. “Maestro di strada”, prima di tutto. Insegnante sui generis, fondatore insieme con sua moglie Carla Melazzini, anche lei insegnante e scomparsa nel 2009, del “Progetto Chance”:  iniziativa di capitale importanza sociale e volta alla neutralizzazione della dispersione scolastica nei quartieri più difficili della città di Napoli. Un’opera attiva ormai da anni e realizzata grazie alla preziosa collaborazione di operatori, educatori, insegnanti, dirigenti, “genitori sociali”, psicologi e volontari, in grado di riportate nuovamente a scuola, tra i banchi, centinaia di ragazzi, considerati aprioristicamente da insegnanti tradizionali come definitivamente “dispersi” e invece giunti fino al diploma. “Dalla crepa di un muro in rovina può sbocciare un fiore meraviglioso”: è una delle frasi scritte da Carla Melazzini nel libro dal titolo “Insegnare al principe di Danimarca”, edito da Sellerio nel 2011, vincitore del Premio Siani 2011 e curato appunto da Cesare Moreno, ormai cuore pulsante del Progetto Chance.

Cesare Moreno
Cesare Moreno

È racchiuso tra le pagine di questo libro, il resoconto poetico e appassionante di questa esperienza educativa. Di seguito, vengono riportate alcune considerazioni del curatore dell’opera, Cesare Moreno, colte nel corso di una presentazione, rispondendo ad alcune domande e raccontando la sua esperienza e quella dei “Maestri di strada”.

A proposito del libro e del suo messaggio:

Quest’opera non parla di Napoli, non parla di scuola e non parla di disgraziati.  Ma parla di Danimarca, di principi, e di persone che non hanno problemi. Penso che questa sia la migliore introduzione al libro scritto da Carla Melazzini e da me curato, insieme con il gruppo di insegnanti del progetto di cui faccio parte. Questo perché, dopo oltre un anno di lavoro su questo libro, posso dire che l’obiettivo è sempre stato quello di evitargli, a tutti i costi, lo scaffale della pedagogia. E se nel suo piccolo è diventato un successo, con oltre 8000 copie vendute, se non erro, conferma che abbiamo lavorato bene, parlando direttamente alla gente, agli educatori, ai genitori: ci sono molte più persone che sono capaci, dunque, di apprezzare questo modo di parlare dei giovani, ossia parlando dall’interno della loro vita, mai dall’esterno.

Perché non parla di Napoli e di scuola, il libro? Che cosa significa?

Perché parla della vita e di come si entra nella vita, nient’altro. Perché forse c’è ancora qualcuno che non se n’è accorto, ma la scuola è la nostra frontiera interna, è la nostra spiaggia di Lampedusa sulla quale sbarcano i giovani che vengono da un luogo che non c’è, entrando in un luogo invece che c’è, con le sue regole, le sue configurazioni: un luogo che non vuole negoziare con loro, ma imporre un modello. La scuola è un luogo di frontiera: se non si capisce questo, non si capirà mai perché la scuola è così emarginata, attualmente. Il modello scolastico degli anni ‘50 escludeva sulla base del censo: “non ho i soldi, dunque non vado a scuola”. Questa scuola invece, attualmente, esclude su basi ideologiche, antropologiche. Che tradotto significa: “i miei modi di vivere non sono i tuoi, quindi sei fuori”. Noi abbiamo coniato questa espressione, invece, e cioè cha “la scuola è un luogo di incontro antropologico, non il luogo in cui si insegna e basta”. La Costituzione dice che i capaci e meritevoli vanno aiutati, ok, va bene. E gli incapaci e gli immeritevoli? Cosa ne facciamo? In Italia ci sono all’incirca 500.000 ragazzi che dovrebbero frequentare la scuola dell’obbligo e che non lo fanno.  È questo, il problema.

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Quale lo scacco rispetto alla vecchia scuola e ai suoi metodi?

Eravamo i sessantottini, fino a qualche anno fa e non venivamo presi molto sul serio, almeno prima del lancio del Progetto Chance. Adesso finalmente siamo i sessantottenni, ed è molto meglio, così magari non ci rompono più con questa storia. Ad ogni modo, posso dire che siamo stati tra i pochi, e siamo ancora oggi tra i pochi, in grado di esercitare l’autorità e non l’autoritarismo, che non è affatto operativo, tutt’altro. Noi ci siamo ribellati a certi metodi scolastici, all’epoca, ma non è vero che abbiamo “abolito i padri”, come si diceva. Noi li abbiamo interiorizzati.

Qual è il metodo dei “maestri di strada”?

Lo dice bene Carla nel libro, una frase che sintetizza tutto il nostro lavoro, il nostro credo: la scuola non può partire lasciando fuori il dolore, semplicemente. Ma anzi deve partire dal dolore. Una scuola che dice lasciamo fuori le emozioni è una scuola che sta castrando le proprie possibilità di interagire con i giovani. Quali dolori? Quali emozioni? Un esempio su tutti, ancora una volta, nel libro: la storia di Lello, ossia il vero principe di Danimarca, il nostro principe, di cui si racconta la vicenda e il processo di liberazione compiuto, attraverso la scuola. Lello è stato abbandonato dalla madre quando aveva 11 anni, insieme alla sorella, di 10. E insieme ad altri 4 fratelli,perché la madre si è innamorata del principe azzurro. È l’Amleto del libro, la sua sofferenza, al centro di tutto. Ed è da lì, dalla sua storia interiore, che siamo partiti: da quello che aveva dentro, il quale lo portava a comportarsi nel modo sbagliato. Questo, il metodo.

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Cesare Moreno riesce a dire sempre qualcosa in più, in ogni intervista.. Bravo! E poi 'da sessantottino a sessantottenne' (anche se non non ancora) continua a crescere coi ragazzi di cui si occupa 😉