Identità di Shakespeare
William Shakespeare (1564-1616) rientra nella schiera dei personaggi noti al mondo non solo per l’incontestabile bravura, ma anche per quella dose di incertezza che mal definisce la loro esistenza mortale e che inevitabilmente li inscrive nel mito. Quando nel 1592 raggiunse Londra, il successo in ambito teatrale e la fama del noto drammaturgo inglese erano ormai al culmine: opere come l’Enrico V riempivano i teatri di tutta Londra, compreso lo storico Globe Theatre, il teatro elisabettiano costruito nel 1599. In questo articolo faremo una riflessione sull’identità di Shakespeare, sulle illazioni che vedrebbero le sue opere attribuite ad altri.
È possibile consultare tutti i dettagli della vita di William Shakespeare e tracciare il trascorso dei suoi successi grazie a una delle tante pubblicazioni biografiche intitolate al poeta inglese, ma quante di queste tengono conto delle illazioni e delle contraddizioni legate alla sua vita?
I baconiani
William Shakespeare morì a Stratford-upon-Avon il 23 aprile del 1616, un epitaffio sulla sua tomba ne conserva il ricordo e ammonisce il visitatore a non recare disturbo alle spoglie terrene del bardo, arrecando addirittura il principio di una maledizione per chi osasse farlo:
Good friend, for Jesus’ sake forbear,
To dig the dust enclosed here.
Blest be the man that spares these stones,
And cursed be he that moves my bones.Caro amico, per l’amor di Gesù astieniti,
dallo smuovere la polvere qui contenuta.
Benedetto colui che custodisce queste pietre,
E maledetto colui che disturba le mie ossa.
Non sapremo mai se quella maledizione si sarebbe potuta considerare estendibile anche a tutti coloro che avrebbero messo in discussione l’esistenza di William Shakespeare nei secoli successivi, creando di fatti quell’intricata connessione di teorie e congetture conosciute come “bardolatria“.
Nel 1623, sette anni dopo la sua morte, il ricordo di William Shakespeare venne nuovamente rinnovato attraverso un cippo commemorativo nella chiesa parrocchiale di Stratford-upon-Avon, stele nella quale veniva rappresentato nei panni di un comune commerciante.
Un secolo dopo, la memoria di Shakespeare tornò in auge nella contea del Warwickshire con l’arrivo del prelato James Wilmot, grande appassionato di Shakespeare e di Francesco Bacone. Il prelato, dopo aver sollevato dei dubbi sulla paternità delle opere di Shakespeare, giunse alla conclusione che gli valse l’appellativo di “baconiano” in un articolo sul ‘’Times” del 25 Febbraio 1932: l’autore delle opere comunemente attribuite a William Shakespeare era sicuramente un uomo dalle spiccata intelligenza e di vasta cultura, condizioni che naturalmente farebbero pensare alla presenza di una grande biblioteca ricca di documenti, libri e manoscritti autografi, testimonianze di fatto mai ritrovate; l’autore dei capolavori shakespeariani sarebbe stato in realtà, secondo le supposizioni del prelato, Francis Bacon (italianizzato: Francesco Bacone), il filosofo, politico, giurista e saggista inglese.
Questa teoria ebbe un lungo seguito di oppositori: secondo i ricercatori canonici, basare una convinzione così considerevole sull’assenza della biblioteca shakespeariana risultava essere un’ipotesi troppo azzardata, dal momento che il nucleo della suddetta biblioteca si era potuto disgregare nel giro di un cinquantennio, non lasciando traccia e finendo nelle mani di inconsapevoli acquirenti; inoltre la psicologia che emerge dalle opere shakespeariane, ovvero la sensibilità quasi infantile di uomo romantico, contrasta nettamente con quella del freddo e calcolatore Francesco Bacone, capace di incolpare e causare la morte all’amico e rivale conte Essex, accusandolo ingiustamente di tradimento e assicurandosi l’incarico come capo dell’avvocatura dello stato della corte inglese, sotto il regno di Elisabetta I.
Nel 1867 la teoria baconiana acquisì dei risvolti affascinanti con il ritrovamento del manoscritto di Northumberland: “Era evidente che il libro fosse appartenuto a Francesco Bacone, per lo meno conteneva una copia delle sue opere. […] sulla copertina stava scritto “Signor ffrauncis Bacon” e la parola “Nevil”, ripetuta due volte in lato. Subito sotto stavano le parole “Ne vele velis”, il motto di famiglia di sir Henry Nevil, nipote di Bacone“, aspetto interessante se si pensa che il nome dello stesso Bacone è accostato al nome di Shakespeare e addirittura in un ambigua vicinanza con i titoli delle opere teatrali shakespeariane, definendo in modo decisivo il legame tra Bacone e il bardo.
Ritengo fondamentale ricordare che uno degli incarichi affidati a Francesco Bacone, presso la corte della regina Elisabetta, era quello di vagliare, approvare e censurare i testi teatrali e quindi non deve sorprendere la vicinanza dei due nomi su un documento che testimonia che, colui che svolgeva le mansioni di consigliere privato della regina, avesse letto il Riccardo II e il Riccardo III di William Shakespeare.
L’identità di Shakespeare secondo Orville Ward Owen
Il dottor Orville W. Owen di Detroit fu un altro baconiano dalle idee bizzarre, singolarità che lo condusse ad affermare di essere riuscito ad estrapolare dal famoso manoscritto Northumberland un lungo messaggio segreto in versi liberi che lo invitavano a “smembrare in pagine sciolte i libri delle opere di Bacone e Shakespeare per applicarle sulla circonferenza di una ruota”.
Dopo un procedimento spaventosamente complicato Orville giunse a delle conclusioni allarmanti quanto scomode: Bacone sarebbe stato figlio della regina Elisabetta e del suo amante, il conte di Leicester.
Orville spinse la passione ben oltre i limiti del raziocinio, arrivando a supporre l’esistenza di manoscritti segreti seppelliti nel terreno, nei pressi del fiume Severn.
Per circa quindici anni il dottor Orville, sostenuto da una lunga schiera di seguaci, scavò centinaia di fori nel terreno alla ricerca di tracce misteriose e manoscritti, ovviamente senza successo.
L’identità di Shakespeare si scontrò con i volti di molti personaggi celebri: una quantità sempre maggiore di teorie attribuivano la paternità delle opere shakespeariane a William Stanley, Christopher Marlowe, Edoardo de Vere e molti altri ancora.
Mark Twain definì e ridicolizzò l’ondata di opinioni inverosimili che si affastellarono nel suo secolo e in quello precedente, con il suo noto e malcelato umorismo in “Is Shakespeare dead?“:
I biografi ipotizzano che Shakespeare abbia maturato la sua vasta conoscenza della legge e la sua accurata familiarità con i modi, il gergo e i costumi degli avvocati dopo essere stato lui stesso per poco tempo il cancelliere del tribunale di Stratford; proprio come se un giovanotto sveglio come me, cresciuto in un paesino sulle rive del Mississippi, potesse sviluppare una conoscenza perfetta della caccia alla balena nello stretto di Behring e del gergo dei veterani passando qualche domenica a pescare pescegatti.
Nonostante la quantità ingente di teorie, la verità rimane ancora troppo lontana e molto probabilmente, come in una visione a “cannocchiale rovesciato”, lo sarà per sempre.
Note Bibliografiche
Wilson, D. Wilson, Il grande libro dei misteri irrisolti, Newton & Compton Editori, Roma, 2005