La ginestra, poesia di Leopardi
La ginestra o Il fiore del deserto è la lirica che chiude i Canti di Giacomo Leopardi, per una precisa scelta in quanto funge da testamento spirituale dell’autore. E’ stata composta a Torre del Greco, in provincia di Napoli, nel 1836. E’ stata poi pubblicata postuma nell’edizione dei Canti del 1845, curata da Antonio Ranieri.
Approfondimento
Un cenno sui Canti
In questa definitiva edizione, i Canti comprendono 41 liriche che sono state ordinate sia secondo criteri cronologici che tematici. L’opera non si pone in continuità con il Canzoniere di Petrarca perché non è unitaria. E’ ugualmente importante perché è la testimonianza dell’evoluzione del pensiero leopardiano. Per brevità, si possono dividere le liriche in tre grandi gruppi che rappresentano le rispettive fasi della produzione dell’autore.
1818-1823 Piccoli idilli
Leopardi vive la fase del pessimismo storico. L’infelicità è infatti dovuta all’evoluzione storica della civiltà perché l’uomo, col passare degli anni, si allontana sempre di più dalla felicità dello stato naturale.
1828-1830 Grandi idilli
Oppure Canti pisano-recanatesi. E’ questa la fase del pessimismo cosmico. L’infelicità investe tutto e la natura diventa matrigna perché spinge gli uomini a desiderare cose che non possono ottenere (illusioni).
1831-1836 Ciclo di Aspasia e ultime liriche
(Tra cui La ginestra) Sono in polemica con il facile ottimismo e sono ricchi di pensiero filosofico.
La ginestra: il testo
La ginestra o fiore del deserto è quindi il testamento poetico dell’autore. L’unico modo per contrastare il destino così maligno verso gli uomini è quello di comportarsi come la ginestra. Attorno al fiore ruota tutto il componimento. Tale pianta si trova alle pendici del Vesuvio. Essa resiste a tutto e diventa il simbolo di una nuova poesia che auspica la fratellanza tra gli uomini (pessimismo sociale).
Leggi il testo completo della poesia La ginestra.
La canzone è composta da strofe libere di endecasillabi e settenari. Essa si apre con un verso del Vangelo di Giovanni (“E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce“).
Leopardi polemizza con quelle persone che scelgono di vivere in uno stato di ignoranza (nelle tenebre), non tenendo conto dei mali del mondo. La luce rappresenta quindi la consapevolezza dell’esistenza di tali mali e non va inquadrata dal punto di vista religioso.
Analisi delle strofe
La prima strofa si apre con la descrizione di un paesaggio desolato, quello del Vesuvio. In questo contesto cresce la ginestra con i suoi fiori profumati. Leopardi ricorda che anche tra le rovine dell’antica Roma è possibile sentire l’odore di questa pianta. Con grande sarcasmo, il poeta invita gli ottimisti (coloro che di solito esaltano la condizione degli uomini) a visitare questo paesaggio desolato per capire come la natura non si cura degli uomini.
La strofa termina con un famosissimo verso: “le magnifiche sorti e progressive“. La citazione è chiaramente sarcastica verso chi pensa che gli uomini vivano sereni sulla terra.
Nella seconda strofa il poeta accusa il XIX secolo di aver abbandonato il razionalismo dell’Illuminismo. Per essere invece tornato a credenze religiose ed irrazionali che portano l’uomo verso un gravissimo regresso culturale. Continua inoltre la polemica verso coloro che si illudono che questa sia la migliore epoca che gli uomini abbiano mai vissuto.
Le strofe centrali
Nella terza strofa, il poeta invita gli uomini a prendere atto della triste condizione di infelicità in cui si trovano e soprattutto esalta la solidarietà tra loro. Bisogna infatti stringersi insieme in una social catena (v. 149). Serve lottare contro la natura perché essa è la principale responsabile dei desideri non soddisfatti dell’uomo e della condizione di infelicità nella quale essi si trovano.
La quarta strofa si apre con la contemplazione della volta celeste. Guardando questi spazi immensi, secondo Leopardi, l’uomo sbaglia a credersi al centro dell’universo e quindi pecca di superbia. Egli polemizza quindi anche con la religione (vv. 190-195) che ha creato delle illusioni perché ha spinto l’uomo a pensare che esso sia al centro dell’universo.
La quinta strofa comincia con una similitudine. Il poeta paragona la distruzione del vulcano con la mela caduta dall’albero che uccide un intero popolo di formiche in un solo istante. In tal modo simboleggia l’assoluto disinteresse della natura nei confronti dello stato umano.
Strofe finali
Questa riflessione sulla natura termina nella sesta strofa. Qui viene descritta l’eruzione del Vesuvio di notte con particolari cupi proprio per dimostrare che la vita dell’uomo è molto breve mentre la natura è eterna e minacciosa.
La poesia termina con una strofa finale dedicata alla ginestra. La struttura quindi è perfettamente circolare. Il fiore viene esaltato perché è capace di sottostare al proprio destino senza alzare il capo. E quindi è capace di diventare superbo, senza supplicare il vulcano di risparmiarla. Gli uomini dovrebbero quindi evitare sia la viltà che l’orgoglio e diventare umili ma tenaci come la ginestra per continuare a vivere la loro esistenza in maniera degna.
Commento
Dal punto di vista formale, il poeta abbandona le suggestioni indefinite per adottare una poesia più filosofica e razionale e soprattutto preferisce utilizzare strofe ampie per sviluppare il suo discorso.
La sintassi diventa complessa e articolata con periodi ricchi di subordinate, lo stile diventa quasi quello di una prosa. Prevale anche l’utilizzo di suoni aspri perché il paesaggio rappresentato desolato ed arido e l’utilizzo di pronomi deittici (or, qui, questo etc.). Sono presenti inoltre molte sentenze morali.
La ginestra diventa quindi un modello morale da seguire perché accetta il suo destino senza essere superba e neppure vigliacca: nella sua semplicità sa essere molto più coraggiosa dell’uomo. Leopardi vuole così lasciare il suo messaggio all’umanità.
Egli infatti non è un poeta pienamente pessimista come si può pensare, ma crede fortemente nella solidarietà tra gli uomini, che diventa così il valore più importante per contrastare i mali della vita.