Fregio di Beethoven (opera di Klimt): analisi dell’opera
Caseina, smalti e intonaco su pannelli lignei incannucciati. Frammenti di specchio, bottoni, chiodi di tappezzeria, pezzi di vetro colorato e dorature. E’ questa la tecnica e i materiali usati da Gustav Klimt nel 1902 per realizzare il “Fregio di Beethoven“, che misura 200 x 24,4 centimetri, ed è custodito a Vienna presso il Palazzo della Secessione.
Approfondimento
Fregio di Beethoven: analisi del dipinto
Il “Fregio di Beethoven” oggi è costituito da sette composizioni su sette pannelli, applicati nella parte superiore delle pareti. E’ stato classificato inamovibile dallo Stato austriaco. Di questa opera, infatti, è stata fatta una copia a grandezza naturale che serve ad esporla nelle mostre estemporanee estere. Klimt, in quest’opera, approda ad una rappresentazione stilizzata e bidimensionale. La linea di contorno è imposta come primario elemento espressivo, superando la fase dell’illusionismo d’atmosfera caratteristica della sua pittura precedente.
Klimt descriveva con queste parole la sua opera:
- Prima parete lunga di fronte all’ingresso: “il desiderio della felicità”. Le sofferenze del debole genere umano: le suppliche costituiscono la forza esterna, la compassione e l’ambizione la forza interna, che muovono l’uomo forte e ben armato alla lotta per la felicità.
- Parete più corta: “le forze ostili”. Il gigante Tifeo, contro il quale perfino gli dei combatterono inutilmente; le sue figlie, le tre Gòrgoni: la malattia, la follia, la morte. La volontà e la lussuria, l’eccesso. L’angoscia che rode. In alto le affezioni e i desideri degli uomini che volano via.
- Seconda parete lunga: “il desiderio di felicità si placa nella poesia”. Le arti ci conducono nel regno ideale dove possiamo trovare la pace assoluta, la felicità assoluta, l’amore assoluto. Coro degli angeli del Paradiso. Gioia, meravigliosa scintilla divina.
Il “Fregio di Beethoven” è articolato in una sequenza ritmica di episodi: il lungo viaggio dell’individuo alla ricerca della felicità, tra forze del bene e del male, ispirandosi alla filosofia di Schopenhauer. Per realizzarlo Klimt si servì dello spazio chiuso della navata al fine di svolgere un rapporto simbolico unitario, seguendo una stilizzazione concisa, pregnante. Dopo la definitiva collocazione nel nuovo spazio espositivo, è mutata la sequenza allegorica del ciclo, almeno in parte.
L’anelito alla felicità
Troviamo, sulla parete sinistra, “L’Anelito alla felicità”, che perde la collocazione frontale. E’ rappresentato dalla catena di figure flessuose e fluttuanti che si muovono nello spazio seguendo un andamento ritmico e che si ispirano ai dipinti di Jan Toorop. Sono protese verso l’infinito, interrotte dalla figura del Cavaliere eroe con addosso l’armatura dorata. E’ emerso da alcuni studi che si tratterebbe di un ritratto di Gustav Mahler che, appoggiato alla sua spada, ascolta le preghiere e le invocazioni che sono rivolte ai ben armati con fine che intraprendano la lotta per la felicità assoluta.
Alle spalle vi è la rappresentazione di due allegorie: la compassione e l’ambizione. La compassione è raffigurata con il capo chino inclinato e le mani unite, mentre l’ambizione con il volto frontale e la corona di alloro in mano, ispirandosi all’Igea dell’allegoria della Medicina.
L’Ostilità delle forze avverse
“L’Ostilità delle forze avverse” si trova invece nella parete centrale. E’ impersonata dal gigante Tifeo dal manto arruffato, ibrida bestia dalle sembianze scimmiesche con ali blu e corpo serpentino. Con lo sguardo rivolto ai visitatori, dagli occhi madreperlacei è attorniato sul lato destro della composizione dalle figure della lussuria, dell’impudicizia e dell’incontinenza. Mentre più isolata è rappresentata la smilza figura, rannicchiata, dell’angoscia che rode e le sue tre figlie, le Gorgoni (le terribili, etimologicamente). Esse sono ornate di gioielli e serpenti. Le Gorgoni raffigurano esseri vampireschi, simbolo della malattia, della pazzia e della morte. Nella parete destra della composizione, sono rappresentati in fuga i desideri e gli aneliti dell’uomo.
L’anelito alla felicità che si placa nella poesia
L’ultima sezione del Fregio è dedicata a “L’anelito alla felicità che si placa nella poesia”. Qui le Arti conducono in un mondo ideale dove si può toccare con mano la gioia, la felicità e l’amore allo stato puro. Sentimenti che sono cantati dal Coro degli Angeli del Paradiso, simbolo dell’Empireo della poesia, nonché della bellezza ideale. La conclusione vede poi il Cavaliere che abbraccia disarmato la donna, personificazione della poesia, sotto l’albero della vita e vegliati dai medaglioni cosmici del Sole e della Luna, il giorno e la notte.
Il senso della vita per Klimt
E’ tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento che il pittore indaga attraverso la sua arte sul senso della vita. Klimt diceva della sua arte e di sé:
“So dipingere e disegnare. Lo penso io e lo dicono anche gli altri, ma non sono sicuro che sia vero. Di sicuro so soltanto due cose:
1. Non ho mai dipinto un autoritratto. La mia persona come soggetto di un quadro non mi interessa. Mi interessano gli altri, soprattutto le donne e più ancora le altre forme. Credo che in me non ci sia niente di particolare da vedere. Sono un pittore che dipinge tutti i giorni, dalla mattina alla sera: figure, paesaggi e, più raramente, ritratti.
2. Non valgo molto con le parole, non sono capace di parlare e di scrivere, soprattutto se devo dire qualcosa di me o del mio lavoro. Anche se devo scrivere una cosa se avessi la nausea. Bisognerà dunque rinunciare a un mio autoritratto, artistico o letterario. Non sarà una grande perdita: chi vuole sapere qualcosa di me come artista (che è l’unica cosa che valga la pena di conoscere) deve guardare direttamente i miei quadri. Solo così potrà capire che sono e cosa voglio”.
Commento all’opera
Il “Fregio di Beethoven” fu realizzato da Klimt in occasione della XIV mostra secessionista viennese Essa fu allestita dall’aprile al giugno 1902 nei locali del celebre Palazzo della Secessione. La mostra fu intitolata “Beethoven” e fu ideata dall’architetto e direttore artistico generale, Josef Franz Maria Hoffmann. Ad essa aderirono 21 artisti della Secessione viennese. Il tema ovviamente era il compositore. Il giorno dell’inaugurazione fu eseguito il quarto movimento della Nona Sinfonia in Re minore con voci e coro finale, nota anche come Sinfonia corale; fu proprio l’ultima composizione di Beethoven del 1824, quando ormai era affetto da sordità.