Forche Caudine: la battaglia storica, la lezione e il modo di dire

Cosa sono le Forche Caudine? Da dove deriva il modo di dire passare sotto le Forche Caudine? Capita tutti i giorni di utilizzare delle espressioni che abbiamo sentito dire molte volte. Ne conosciamo il significato, ne facciamo un uso appropriato eppure non siamo consapevoli che il modo di dire che stiamo utilizzando affonda le sue radici nella Storia, addirittura in quella dell’Antica Roma.

forche caudine
Forche caudine: il significato è quello di subire un’umiliazione dopo la sconfitta

Forche Caudine: la battaglia storica: 326 – 304 a.C.

L’episodio in cui per la prima volta avviene quel passaggio per le forche caudine che poi è entrato nel gergo comune si ha durante la Seconda guerra sannitica. Questo episodio bellico è collocato fra il 326 e il 304 avanti Cristo e ha visto opporsi i Romani ai Sanniti, popolazione stanziata fra Campania e Sannio. Un’area geografica che oggi possiamo collocare fra Molise, Abruzzo meridionale e settore nord orientale della Campania.

Prima della battaglia

La seconda guerra sannitica è preceduta da un primo scontro datato 341 a.C., un conflitto che termina con i Sanniti in una posizione neutrale per la quale la popolazione dell’Italia meridionale non sarebbe entrata a sostegno dei nemici di Roma. Al proseguire della battaglia, nel 322 a.C. i Sanniti vengono sconfitti dai Romani con le seguenti disposizioni: consegnare Brutulo Papio, tutte le sue ricchezze e restituire i prigionieri. L’anno dopo il comandante Gaio Ponzio non accetta la pace, ma si apre una trattativa.

L’antefatto: pronti all’imboscata

Gaio Ponzio fa accampare i Sanniti nei pressi di Caudio, luogo fra Napoli, Avellino e Benevento, più o meno vicino a Montesarchio. E’ il nome del luogo a dare il nome al modo di dire.

Manda allora 10 soldati vestiti da pastori per farsi catturare dai Romani. Una volta prigionieri i soldati pastori rivelano che i Sanniti stanno assediando Luceria in Apulia.

Luceria – oggi Lucera, in provincia di Foggia – è alleata con Roma, per cui Roma deve intervenire.

Per giungere a Lucera, i Romani possono percorrere due vie: una più lunga, lungo l’Adriatico, e una più breve caratterizzata da ben due gole, nei pressi di Caudio. I Romani scelgono la via più breve, certi al punto delle loro scelta da non ricorrere nemmeno all’invio di soldati in avanscoperta.

Cul-de-sac

I Romani avanzano alla volta di Lucera, superano anche la seconda gola ma trovano la strada sbarrata da alberi e massi. Fanno dietro front, ma giunti alla prima gola trovano un nuovo sbarramento: cul-de-sac !

Ventimila soldati restano imbottigliati fra una gola e l’altra, ma non si perdono d’animo: si accampano, costruiscono un vallo vicino l’acqua, prossimi alla disperazione, sotto lo sguardo dei nemici che li guardano dall’alto.

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Cosa fare: parola al saggio

I Sanniti, tuttavia, consci di essere in guerra con Roma, devono fare la scelta giusta. Per questo ricorrono al consiglio del saggio Erennio Ponzio, padre di Gaio. Erennio offre 2 soluzioni:

  • da una parte lasciare andare i Romani per ottenere la loro gratitudine;
  • dall’altra lo sterminio di tutti i soldati rendendo impossibile il riarmo e ottenendo la vittoria definitiva.

Nessuna delle due soluzioni viene presa in considerazione né messa in atto.

Roma sconfitta: l’umiliazione delle Forche Caudine

Siamo al dunque. I Romani accettano la sconfitta e vengono costretti a “passare sotto le forche caudine”.

La resa dei Romani non può essere una semplice resa. I Romani vengono costretti a passare sotto tre lance incrociate, abbassando il capo, disarmati, vestiti della sola tunica. Nel frattempo i nemici li colpiscono, fisicamente e verbalmente.

Passare sotto le forche caudine significa, da quel preciso momento storico, essere costretti a subire una grave umiliazione.

L’offesa ai Romani è tale che la notizia, giunta a Roma, genera un vero e proprio lutto con tanto di botteghe chiuse e attività del Foro sospese.

Il racconto in Ab urbe condita di Tito Livio (IX secolo)

Questo passaggio della storia è scritto in “Ab urbe condita” di Tito Livio del nono secolo. Si legge:

«Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando […] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore.»

Il modo di dire, la pratica militare

Tale pratica, traslata poi nel subire un’umiliazione a vario titolo, trae un’impronta figurata dagli usi militari. E probabilmente all’ambito militare ha fatto ritorno, nel tempo. Militarmente, il passaggio per le forche caudine è cioè una routine messa in atto per punire i ladri, i soldati disobbedienti e torturare i prigionieri.

La lezione della Storia

Chi ricostruisce la lunga storia romana vede in questo episodio la sconfitta più pesante, da una parte, ma anche la più grande lezione subita dalla città Caput mundi. La monarchia era caduta nel 509 a.C. A seguire le popolazioni italiche avevano iniziato a combattere a vario titolo per impadronirsi di terre coltivabili e sbocchi sui mari.

L’episodio delle forche caudine giunge come un duro colpo per i Romani che prendono in considerazione la possibilità della loro vulnerabilità. Questo, in qualche modo, conduce alla fase discendente della Repubblica e alla nascita del grande Impero che tutti conosciamo e che ha segnato, in maniera assoluta, la storia dell’umanità.

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Maria Cristina Costanza

Maria Cristina Costanza è nata a Catania il 28 gennaio 1984. Lascia la Sicilia a 18 anni per trasferirsi a Roma, dove si laurea in Comunicazione a La Sapienza. Sin da studentessa si orienta verso il giornalismo culturale collaborando con settimanali on line, webzine e webtv, prima a Roma poi a Perugia e Orvieto, dove vive attualmente. Dal 2015 è giornalista pubblicista. Col giornalismo, coltiva la sua 'altra' passione: la danza. Forte di quasi 20 anni di studio fra Catania, Roma, Perugia e New York oggi è insegnante di danza contemporanea e classica a Orvieto.

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