Dal tuo al mio, opera di Giovanni Verga: riassunto e analisi storica
La “roba” dal teatro alla narrativa: “Dal tuo al mio” è l’adattamento narrativo dell’omonimo dramma scritto da Giovanni Verga nel 1903. La storia in tre atti, divenuti tre capitoli, è apparsa a puntate sul periodico “Nuova antologia” nel 1905.
Approfondimento
Trama: ricchi e arricchiti in eterno conflitto
La storia narrata in “Dal tuo al mio” racconta il dramma negativo della famiglia Navarra e della loro zolfatara. Il nucleo famigliare è costituito dal Barone, vedovo, e dalle due figlie: Lisa e Nina. Il racconto si apre nel giorno del matrimonio, poi mancato, di Nina con il figlio di don Nunzio Rametto, lavoratore arricchito della miniera di Navarra.
La storia prosegue, battuta dopo battuta, a suon di conflitti sociali e di famiglia. Lisa, infatti, si innamora di un operaio, Luciano, al servizio di don Nunzio Rametto, assoldato per controllare il lavoro della zolfatara, in cui ha investito. La ragazza viene cacciata di casa e se ne perdono le tracce fino all’epilogo. Trascorso tragicamente un nuovo episodio in cui le parti – il Barone e Rametto – vogliono accordarsi rispetto al possesso della zolfatara, in un misto di debiti e accordi di dubbia giustezza, si alza il vento della rivolta.
I lavoratori, stanchi dei soprusi e soprattutto della paga indecorosa, infatti, entrano in sciopero.
Dal tuo al mio: il finale
Quando giungono alla porta del Barone, in casa c’è anche Lisa, accorsa ad avvertire il padre e la sorella dell’avvento dei riottosi. Solo sul finale, il Barone sembra arrendersi alla perdita della sua amata miniera e all’accordo con Rametto. Intanto è giunto in casa anche Luciano, ambasciatore degli minatori in rivolta, nonché genero rinnegato del padrone. Mentre i minatori avanzano, il bene economico viene messo almeno alla pari del futuro dei famigliari.
La pace venne poi naturalmente come il pericolo incalzava lì fuori, e li buttava fra le braccia l’uno dell’altro, stringendoli a difendere roba e vita. Luciano, primo allo sbaraglio sulla porta, disse risolutamente, mentre si udiva crescere e avvicinarsi il rumore della folla minacciosa:
– Via! Via di qua, vossignoria.
– Tu piuttosto! Pensa a tua moglie! Mettiti almeno al riparo, qui dietro al pilastro.-
In quella vera stretta d’ansia e di confusione, quando Sidoro, come un angelo dal cielo annunziò di lassù: “La forza! Ecco i soldati!”, padre e figli si strinsero nelle braccia gli uni degli altri, don Mondo, tornando da morte a vita, balbettando:
– Figli! Figli miei!
Brevi cenni storici: i Fasci siciliani
La figura di Luciano, al cui amore cede la figlia del padrone, Lisa, è ascrivibile al movimento dei Fasci siciliani.
Il movimento nacque il 1° maggio del 1891, a Catania, per volere di Giuseppe De Felice Giuffrida. Libertari, democratici e socialisti di ispirazione aderirono ai fasci, alla fine dell’Ottocento, sia il proletariato urbano che, poi, gli operai agricoli e i minatori (compresi gli zolfatari).
I Fasci siciliani dei lavoratori, delusi dall’innovazione che avrebbe dovuto far seguito all’Unità di Italia, lottarono per richiedere maggiore equità e finalmente il superamento del sistema di stampo feudale ancora vivo in Sicilia. In particolare, nelle richieste del movimento c’erano la riforma fiscale, la revisione dei patti agrari, per l’abolizione delle gabelle (imposte indirette su merci e scambi) e, infine, la redistribuzione delle terre.
Il movimento fu contrastato militarmente, con decine di morti, dal governo Giolitti e poi da quello di Francesco Crispi, sotto l’egida di Re Umberto I. La vicenda si concluse nel 1894 con lo scioglimento del movimento e l’arresto (più avanti mutato in amnistia) dei capi e dei responsabili del movimento.