“Ciao”, il racconto-dialogo di Walter Veltroni con il padre
Parlare con i propri genitori non è mai semplice, soprattutto se lo si fa da adulti. Perché il ricordo, che è lo stimolo più comune per parlare con chi ti ha cresciuto, viene interpretato in modo diverso o viene ricordato in modo differente. E proprio ricordare è una delle azioni più ricorrenti e più misteriose oltre che scioccanti che può realizzare un essere umano, perché spesso si aggiungono dettagli, sfumature o anche rimozioni che cambiano la natura stessa del dialogo.
Nel suo libro, “Ciao” edito da Rizzoli (2105), Walter Veltroni ha scelto di dialogare con suo padre che è morto all’età di trentasette anni, quando lui ne aveva solo uno e quindi non lo ha conosciuto e non può avere dei ricordi da condividere.
Come si sviluppa quindi la natura del loro dialogo?
Attraverso il lavoro paziente dell’autore che ha ricostruito, attraverso interviste, oggetti, fotografie e parti del lavoro del padre, che è stato per anni un importante giornalista radiofonico della Rai, la sua figura.
Questo ha permesso al figlio di incontrare, immaginandolo, il padre che non ha conosciuto. Il libro, però, non si sviluppa solo nella ricerca di un dialogo con un padre che non ha mai potuto costruire una vita insieme al figlio, ma sviluppa invece una paradossale e misterica concezione del tempo.
Un figlio, Walter, che ha compiuto 60 anni, incontra un genitore che si è fermato a 37 anni, ancora giovane e ancora pieno di energia e in questo slittare del tempo su piani differenti si raccontano, soprattutto il papà racconta, anche attraverso i ricordi raccolti dal figlio, un’età, quella del dopoguerra, che è stata ricca di gioie, entusiasmi e desideri. Un’età che ha cambiato il paese ma che ha anche permesso a moltissimi che l’hanno vissuta di cavalcare un momento felice della nostra società.
Perché?
Lo racconta bene Veltroni in una delle sue presentazioni di “Ciao“, immagino difficili, perché il libro non è una terapia, ma il desiderio di raccontare una parte intima e dolorosa della propria vita per suscitare anche un ricordo collettivo della storia passata e dei propri personali ricordi. E proprio in uno di questi incontri Veltroni descrive gli anni, in cui il padre lavorava alla Rai, come anni di lotta e passione in cui le persone avevano un desiderio lucido e determinato di tornare a vivere dopo una guerra devastante, con più energia e slancio di prima.
Dove il gioco di squadra, Veltroni ricorda spesso quanto fossero forti i rapporti fra suo padre e gli altri giornalisti che lavoravano con lui in Rai, aveva una valenza positiva, non competitiva e solidale.
L’idea del racconto è potente e lacerante, perché i ricordi non sono, come si diceva all’inizio, frutto di un dialogo intessuto per anni, ma sono la conseguenza del difficile e doloroso lavoro di ricerca dell’autore che vuole, come è naturale che sia, ricostruire la storia del padre ma anche intessere un rapporto che sia al contempo intimo e aperto con chi lo legge e che potrebbe pensare che sia questione, quella del racconto–dialogo con suo padre, troppo personale per poter essere condivisa.
Secondo me, invece, proprio il delicato equilibrio fra ricordo personale e collettivo riesce a dare la giusta misura al libro e a permettere al lettore di trovare un proprio percorso.
Ragionando a margine di una presentazione con Walter Veltroni, c’è stato spazio anche per capire e raccontare il ruolo di sua madre, la quale ha saputo proteggerlo, dopo il lutto, da tutte le mancanze e i vuoti che l’assenza di un padre inevitabilmente creano. E proprio la figura femminile, ricorda l’autore, mostra con la sua identità forte e specifica quanta importanza abbiano le donne all’interno di un nucleo famigliare e quanto il loro ruolo pesi quando questo nucleo viene ridotto o spezzato.
In conclusione è inevitabile guardare al passato per riflettere sul presente e domandarsi quanto la società che il padre di Veltroni ha rappresentato e che ha vissuto con forza e allegria i cambiamenti che velocemente l’attraversavano, sia diversa dalla nostra che è meno allegra e meno unita. Quanto, invece, sarebbe importante imparare a vedere come gli italiani sono riusciti a superare momenti difficilissimi e lo abbiano fatto con entusiasmo e coesione e non con lacerazioni e dubbi.