Intervista a Luca Iaccarino

Luca Iaccarino, giornalista e critico enogastronomico torinese, collaboratore del quotidiano Repubblica, conduce una rubrica settimanale molto seguita nella quale seleziona e racconta i migliori locali low cost della provincia torinese. Autore e direttore di “Extratorino”, ha scritto per la Lonely Planet le guide dedicate a Torino e alla Puglia, ed è al lavoro sul territorio palermitano.
A gennaio 2012, ha pubblicato per la casa editrice Add Editore il libro “Dire fare mangiare”, dal sottotitolo inequivocabile: “Un libro di storie gustose”.

Luca Iaccarino
Luca Iaccarino

Trattando la materia cibo alla stregua di un reportage giornalistico, insieme con due compagni d’avventura molto speciali come sua moglie e il loro bambino di due anni, l’autore racconta i differenti modi di intendere la tavola, dall’extralusso al low cost, appunto, sino alle prove di cucina casalinga. Da esperto di cucina, osservatore e degustatore, Luca Iaccarino ha risposto ad alcune domande in materia di cibo e dintorni.

Partiamo dal tuo recente lavoro, di cui si dice, nel sottotitolo: “Libro di storie gustose”. Ebbene, rispetto all’abbondante produzione di guide e volumi di ricette ormai da anni in voga, come e in cosa si differenzia il tuo libro?

Dire Fare MangiarePer dirla col poeta, parto da quello che “Dire Fare Mangiare” non è: non è un ricettario, non è scritto da un volto televisivo, non incensa il masterchef del momento. Quando l’editore mi ha proposto di fare un volume che parlasse di cibo, ho proposto ciò che mi viene meglio: il reportage. Cioè vivere delle esperienze in prima persona e poi raccontarle. Nella fattispecie: un pranzo nel ristorante più lussuoso del mondo, il Luis XV di Ducasse a Montecarlo; tre giorni vissuti pericolosamente nella cucina di un bel locale piemontese; una giornata a mangiar intrugli buonissimi e letali per le strade di Palermo; una cena organizzata a casa mia, con gli inconvenienti che s’abbattono su tutti noi quando vogliamo fare bella figura (e non ci riusciamo quanto vorremmo). Il tutto condiviso – come condivido ogni giorno della mia vita – con mia moglie e mio figlio di due anni, che hanno gran parte in queste peripezie. In queste avventure, ho fatto attenzione a quello che c’era nel piatto – o nel cartoccio – ma pure alle persone che avevo attorno, ai ricconi incartapecoriti monegaschi, ai pusher di frittola siciliani, agli chef che ho coadiuvato e che mi hanno fatto un mazzo così. Quindi, diciamo – con grande umiltà – che c’è quasi più antropologia che gastronomia, più donne e uomini che carne e pesce. Una via di mezzo tra “Una cosa divertente che non farò mai più”, “Kitchen Confidential” e “Gian Burrasca” (con un tocco del “Corrierino” di De Amicis).

Fenomeno Parodi. Fenomeno Clerici. Fenomeno Tessa Gelisio. La lista è lunga, e potrebbe non finire. Non sono cuoche, ne’ critiche gastronomiche. Eppure, i libri si stra-vendono. “Il medium è il messaggio” diceva McLuhan, ebbene: possiamo estendere questo assunto anche all’ambito del mangiare e del mangiar bene? Ossia ad un contesto che chiama in causa la “pancia” (nel vero senso della parola) degli italiani e, soprattutto, un senso come quello del gusto verso cui abbiamo sempre mostrato un certo rispetto, quasi una devozione?

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Mah, anche senza evocare McLuhan mi viene da fare due considerazioni: tutto ciò che passa in tv, vende; la cucina è un’arte alla portata di tutti – almeno nelle sue versioni più pop – perché mette insieme bellezza, piacere, convivio, status. Certo, come scrivo, se mostrassimo verso le scienze, la cultura, la matematica, la fisica la stessa passione che dedichiamo alla pancia, saremmo tutti Bertrand Russell. Ma quello sarebbe un mondo diverso. Migliore? Boh. Forse.

Durante il tuo “viaggio culinario”. La migliore pietanza low cost e la migliore extra-lusso (dove e cosa)?

Low cost direi tutto ciò che ho mangiato da Tanino lo Stigghiolaro alla Vucciria, a Palermo: la stigghiola, naturalmente, ma pure lo scalogno avvoltolato di lardo, le salsicce e poi – a un banchetto non distante – la temibile ma ottima frittola. Quella extra-lusso il “Loup de Méditerranée piqué d’olives, primeurs en marinade croquante au thym citron”, in tre parole: un trancio di branzino. Ma, come dice Ducasse, la perfezione sta nella semplicità, in pochi gusti perfettamente abbinati, prodotti da materie prime di qualità sublime. Per essere extra-lusso, lo è: se non ricordo male, costa 116 euro (alla fine, in due, il nostro conto si avvicinava ai 700).

Nonostante la crisi, sembra in effetti reale la constatazione che l’unico settore a “tenere”, in Italia, per quanto anch’esso in difficoltà, sia davvero quello della ristorazione. È davvero così? E perché?

Se sia proprio così, non so (immagino se la cavino bene anche i petrolieri, per dire). Certo è che il settore pare tenere più di altri. Perché? Forse perché in tempi di crisi c’è bisogno di coccole. E niente coccola di più di qualche migliaio di calorie al momento giusto.

Ultima domanda: cosa pensi del proliferare di siti web incentrati quasi esclusivamente sulla cucina e sul mangiare (da un sito più generico come per esempio Cucinare Meglio, ad altri più specifici, talvolta dedicati alla cucina vegetariana, vegana, macro-biotica ecc.)?

Penso che il web sconti ancora un problema di credibilità e affidabilità delle fonti. Ciononostante, su cose molto codificate – come le ricette tradizionali – è il modo più veloce per accedere alle informazioni: chi non si è salvato la serata cercando al volo delle dosi su internet? E poi ci sono fenomeni interessanti, come tanti food-blogger competenti e appassionati che sono riusciti a mettere su comunità dinamiche e allegre, che si esprimono anche sui social network. Per dire, su Facebook con un paio di amici abbiamo una pagina intitolata “I Cento di Torino” (che fa riferimento a una guida ai ristoranti piemontesi che esce nelle edicole e le librerie della regione) che oggi conta 2300 iscritti molto vivaci (tanto che noi non dobbiamo fare più quasi niente). Il bello del web è questo: lo scambio continuo di pareri. Che per chi si occupa di una materia viva come il cibo è, scusate il bisticcio, vitale.

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