La vocazione di San Matteo
La vocazione di San Matteo è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni (322 cm x 340 cm) che il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) realizzò durante il suo soggiorno romano, intorno al 1599. L’opera fa parte di un ciclo pittorico costituito da tre grandi tele (le altre due sono “Il martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’angelo“) avente come tema la vita di San Matteo.
Si tratta del primo incarico pubblico ricevuto a Roma dal pittore, grazie all’intercessione del cardinale Berlingero Gessi (responsabile a quel tempo della basilica di San Pietro) con la committenza, rappresentata dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli). Il ciclo pittorico era destinato a trovare collocazione presso la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, all’interno della cappella Contarelli, così denominata poiché era stata acquistata nel 1565 dal defunto cardinale francese.
San Matteo e il Vangelo
Il dipinto, che ancora oggi trova posto sul lato sinistro, guardando verso l’altare, della suddetta cappella, è ispirato ad un brano del Vangelo (Matteo 9,9 – 13) in cui l’apostolo Matteo racconta la propria chiamata da parte di Gesù Cristo. Matteo, prima di incontrare il Redentore, era un pubblicano, ovvero un esattore dei tributi incaricato dall’Impero romano. Quella del pubblicano era una figura disprezzata dalla popolazione in quanto, chi ricopriva questa carica, curava gli interessi del dominatore, ed altresì traeva solitamente dei vantaggi personali grazie alla propria posizione. Matteo è dunque un peccatore, attaccato ai beni materiali, destinato alla misericordia del Signore sceso in terra non per chiamare i giusti, ma i peccatori.
La vocazione di San Matteo: analisi dell’opera
In Caravaggio, arte e vita si fondono e si confondono; egli è un rivoluzionario, è il pittore dei peccatori che cercano di passare dall’oscurità alla luce, è l’artista che sceglie di mostrare il sacro nelle vesti umane. Dipinge il vero, rappresenta la realtà, svela ciò che c’è, scegliendo tra i popolani i suoi modelli per rappresentare le figure sacre, rifiutando così la validità del disegno ideale e idealizzato, il manierismo e le facce dell’iconografia ufficiale.
Caravaggio catapulta Gesù Cristo, San Pietro, Matteo ed altri tre personaggi all’interno di un ambiente che somiglia tanto alle locande romane della sua epoca, facendo loro indossare persino gli abiti di foggia francese in voga in quel periodo (Gesù e San Pietro indossano invece una tunica e sono scalzi): è una delle prime volte in cui viene rappresentato un evento sacro totalmente decontestualizzato.
I sei protagonisti del dipinto, nel rappresentare tutte le fasce di età della vita (l’infanzia, l’adolescenza, l’età matura, la vecchiaia), simboleggiano l’intera umanità che, in qualsiasi momento, può ricevere la chiamata divina.
Caravaggio, come spesso accade nei suoi dipinti, ci propone un’istantanea: Gesù fa il suo ingresso improvviso nel locale, accompagnato da San Pietro, mentre Matteo, un giovane ed un vecchio con gli occhiali sono intenti a contare del denaro. Con un gesto della mano destra (che ricorda la mano di Adamo, protesa verso quella di Dio, affrescata da Michelangelo Buonarroti sulla volta della Cappella Sistina), Cristo indica Matteo che, a sua volta, con la mano destra sui soldi riscossi, dirige stupito il proprio indice sinistro verso se stesso, quasi come a far richiesta di un chiarimento, di una conferma, quasi come se dicesse :”Ma chi, io?”.
Pietro, che rappresenta la Chiesa, punta anch’egli l’indice della mano destra verso Matteo. Ogni personaggio presente sulla scena, colto di sorpresa dall’Amore divino, reagisce in maniera differente: c’è il giovane seduto su di una sedia, con la spada sul fianco, che entra in allerta (lo manifestano i polpacci tesi che ci fanno immaginare un suo repentino scatto per alzarsi a difesa del gruppo), c’è il bambino che rimane tranquillo mentre si interroga su quello che sta accadendo, ci sono il vecchio con gli occhiali e l’uomo seduto con il capo chino che continuano con indifferenza a contare i soldi.
La luce, simbolo della Grazia divina, non proviene dalla finestra chiusa posta in alto sulla destra della tela (da notare il riquadro ligneo dell’infisso che forma una croce sulla superficie vetrata) ma da altrove, da una sorgente indefinita al di fuori dell’inquadratura. Il fascio si staglia e taglia la tela in modo direzionale da destra a sinistra e investe tutti, senza nessuna gerarchia, ma solo Matteo risponde alla chiamata; questa non è altro che l’espressione del libero arbitrio, della scelta che ogni individuo può compiere nell’accogliere o meno la salvezza.
Caravaggio, libero rivoluzionario, ha dipinto la libertà.