Memorie dal sottosuolo: riassunto e analisi del romanzo di Dostoevskij
Memorie del sottosuolo, tradotto anche come Ricordi del sottosuolo, è stato scritto da Fëdor Dostoevskij nel 1864. Ci sono molte traduzioni di questo capolavoro, ma io preferisco quella di Tommaso Landolfi nelle edizioni Adelphi. Mentre l’edizione Bur, con la prefazione di Moravia e l’edizione Einaudi con la nota di Leone Ginzburg, si dovrebbero leggere proprio per il contributo dei due scrittori.
Il libro Memorie del sottosuolo si divide in due parti:
Approfondimento
Il sottosuolo
Nella prima parte, il protagonista, un ex impiegato dello Stato, racconta la sua visione del mondo e descrive se stesso. Afferma di essere un uomo malato ma di non volersi curare per farsi ancora più male. Ammette di essere un uomo che esprime tutta la sua inadeguatezza del vivere. Si descrive come un ex impiegato che amava umiliare gli altri usando il suo piccolo potere per costringerli alla resa. La sua è un’esistenza maligna ma non priva di volontà e di coscienza. Tanto che, mentre si definisce maligno, ammette anche di non esserlo e che il suo agire non è mai stato cattivo, anzi che le sue azioni erano senza conseguenze.
Contraddizioni le sue che innervano il suo stato d’animo. Non è un uomo d’azione ma si definisce un riflessivo, un uomo non particolarmente intelligente ma nemmeno tanto stupido da svolgere come gli altri azioni inconsapevoli. Non vuole accettare una vita in cui l’agire sia senza pensiero e contemporaneamente non vuole nemmeno accettare una società che sia preordinata, senza che la volontà possa decidere il proprio destino. Il suo disagio sociale permette all’autore di scagliarsi contro il positivismo che prevedeva una società preordinata e che secondo Dostoevskij sarebbe stata fonte di maggiore infelicità rispetto ad una società governata dal libero arbitrio.
Il protagonista condanna il XIX secolo, che definisce un secolo infelice in cui la coscienza dell’uomo non può che portarlo alla disperazione. Una coscienza naturalmente evoluta come la sua, perché le coscienze degli altri sono praticamente assenti e il loro comportamento non gli permette di comprendere la direzione vera delle loro azioni. Ma la coscienza non è un dono da difendere, perché più aveva coscienza del bello, più egli svolgeva azioni sbagliate, cattive e malevole che lo facevano sprofondare nella sua tana nel sottosuolo dell’esistenza sociale.
Tuttavia egli non si vuole piegare all’ineluttabilità della natura e ai muri che gli si parano davanti e che servirebbero a limitarne la capacità decisionale. Per lui il 2 + 2 che fa 4 è solo una sfida a cercare un’altra soluzione e ad utilizzare la libertà di pensiero e la volontà per imporre la propria decisione. Finisce il monologo sul ragionamento della scrittura. Perché scrivere? Per liberarsi di ricordi che opprimono il protagonista e che messi sulla carta potranno essere giudicati da lui stesso in modo differente, forse più distaccato. E mentre osserva una neve fradicia e brutta scendere sulla città, inizia a raccontare la seconda parte del libro.
A proposito della neve fradicia
Nella seconda parte dell’opera, il protagonista prosegue nel suo monologo raccontando la sua vita e in particolare alcune azioni disumane che hanno contraddistinto il suo comportamento. I fatti narrati risalgono a sedici anni prima del monologo del sottosuolo raccolto nella prima parte del testo. Il protagonista, infatti, inizia la sua narrazione affermando che all’epoca aveva 24 anni mentre nei ricordi ne ha quaranta. Egli è un impiegato che lavora negli uffici pubblici del suo paese. Già all’epoca conduce una vita di tortura interiore, in cui sente se stesso lontano dal mondo che lo circonda e in particolare dai colleghi che odia e disprezza, ma verso i quali prova un senso di inferiorità. E tuttavia ancora cerca un proprio riscatto, seppur attraverso azioni che lo trascineranno sempre più nel sottosuolo della sua esistenza.
La prima azione è contro un ufficiale che lui ritiene l’abbia umiliato in pubblico. Scrive una lettera per convocarlo in un duello al fine di risolvere l’offesa. La sua speranza è che si possa addivenire ad un compromesso e che il rapporto con l’ufficiale si trasformi in amicizia. Ma non invia la lettera e si accontenta di scontrarsi con l’ufficiale urtandolo con la spalla mentre passeggiano sulla Prospettiva Nevskij. Inizialmente è soddisfatto della sua azione, ma poi cade in preda al dubbio che lo attanaglia per giorni interi, torturandolo e alimentando il suo senso di colpa.
Nel suo inappagato bisogno di riscatto cerca di prendere contatto con i suoi ex compagni di scuola. Loro sono indifferenti ai suoi tentativi di riallacciare i rapporti ma una sera riesce a partecipare ad una cena insieme a loro. La serata si trasforma in una goliardata con un finale volgare che si svolge in un postribolo. Lì il protagonista conosce una prostituta, Liza, con la quale instaura un dialogo promettendole aiuto, ma quando lei lo va a trovare a casa lui la tratta male, le fa violenza, le lascia del denaro che la umilia ancora di più e la fa fuggire da lui.
Egli è all’apice del suo disprezzo per la vita e nella piena contraddizione della sua libera volontà di sprofondare in atti reietti che lo spingono ancora di più nel suo sottosuolo di menzogna e falsità. Il fatto di aver ferito una persona più debole e reietta di lui lo spinge al massimo della sua malignità.
Analisi
Dostoevskij scrisse questo libro all’età di 43 anni, quando oramai era matura la sua decisione di scrivere dell’animo umano e quindi di raccontare il modo in cui le circostanze esterne e i moti interni dei suoi personaggi incidevano e influivano sui loro comportamenti. Dostoevskij si allontana dal romanzo ottocentesco, perché non narra solo gli umori e gli eventi dei personaggi, ma va oltre mettendo a confronto fra loro e con la realtà che gli circonda, le idee che perseguitano i suoi personaggi e che loro stessi vivono e rivivono con dolorosa ossessione.
In sintesi getta uno sguardo profondo e originale nell’animo umano e ne tira fuori la complessità psicologica che tanta attenzione ha riscosso in Freud e in tutti coloro che, influenzati da Dostoevskij, hanno cercato di rappresentare l’interiorità dell’uomo. Il percorso dell’autore non fu lineare né senza traumi. Prima di questo scritto il suo lavoro non aveva raggiunto una tale vetta narrativa. E’ da questo romanzo che si apre la strada ad altri romanzi ancora più importanti che lo consacreranno a gigante della letteratura russa.
Quindici anni prima di scrivere le Memorie del sottosuolo fu condannato a morte per aver fatto parte di un gruppo di intellettuali che difendevano le idee di Fourier. Quest’ultimo, nei suoi libri, aveva immaginato una riorganizzazione razionale della società. La pena gli venne commutata proprio davanti al patibolo. Gli anni successivi passati in carcere gli permisero di approfondire la sua esperienza di osservatore dei cambiamenti psicologici delle persone e di affrontare quel ripiegamento in se stesso, che altri personaggi dei suoi romanzi affronteranno, come anche il protagonista delle Memorie del sottoruolo. Uscito di prigione, Dostoevskij ritorna al suo lavoro e al contatto con i suoi lettori per compiere quella trasformazione che era stata in un bozzolo durante il durissimo periodo carcerario e che adesso poteva nascere con una nuova forza espressiva.
Ciò che importa di questo romanzo è la sua potenza suggestiva, come scrive giustamente Leone Ginzburg, che sottolinea come il protagonista delle Memorie del sottosuolo combatta una propria personale battaglia contro una società avida, abitudinaria e mediocre, che utilizza le nuove mode culturali, quali il positivismo e la scienza sociologica, per imbrigliare tutti in una mediocrità ancora più grigia. Il protagonista non è ricco, né dotato di un’intelligenza creativa che gli permetta di difendersi dai continui attacchi di coloro che lo vorrebbero uguale a tutti. Tuttavia la sua tragica battaglia non lo porta ad uscire da quel mondo ma a rintanarsi nella sua tana come una talpa braccata e ferita. Sprofonda nel fango il protagonista di queste memorie e il suo piacere nell’autodistruggersi e nel fare del male agli altri raggiunge un apice di godimento fine a se stesso. Nulla potrebbe salvarlo se non la fede che nel buio della sua tana, a sprazzi, appare come un’esigenza non palesata, come un desiderio non razionalizzato di trovare una panacea contro tutti i suoi mali.