Il teatro e i popoli primitivi

Accostarsi al teatro dei popoli primitivi non significa accostarsi alle origini del teatro, ma a forme diverse di esso. Presso molti popoli, in particolare quelli agricoli, le manifestazioni teatrali sono legate al ricorso dei cicli stagionali con chiaro significato propiziatorio e rituale. In questo articolo prenderemo in esame alcune rappresentazioni teatrali dei popoli primitivi.

Il teatro e i popoli primitivi
Il teatro e i popoli primitivi

I Nahuatl

Presso i Nahuatl, un popolo ormai estinto dell’America centrale, il ritorno dell’estate era celebrato con uno spettacolo che rappresentava e propiziava il rinnovarsi della fertilità. Al centro del villaggio veniva piantato un palo alto circa quindici metri, alla cui sommità era posta l’immagine colorata del dio della fertilità; sotto, in una piattaforma, stavano due ragazzini legati per la vita ad una lunga corda avvolta al palo. Nello spazio sottostante si svolgeva una danza frenetica condotta da settanta uomini, una parte dei quali vestiti da donna. La danza veniva interrotta ad un tratto dai due ragazzini che si gettavano nel vuoto con acrobatica lentezza, seguendo lo svolgersi della corda, fino a terra, dove la danza ricominciava: la fertilità era ritornata nei campi.

Gli eschimesi

Non sono solo i popoli agricoli a legare al ricorso stagionale le loro intense manifestazioni teatrali, ma lo fanno anche alcuni popoli cacciatori. Così fanno gli eschimesi che abitano il delta del fiume Copper con un dramma complesso in cui, per mezzo di un narratore, di attori che agiscono mimicamente e di un coro femminile, si rappresenta prima il furto e poi la liberazione delle fonti di luce.

Gli Yamana

La periodicità delle feste teatrali può essere legata ad altri ricorsi, che non siano quelli della natura, o mancare del tutto: gli Yamana allestiscono i loro spettacoli soprattutto in occasione delle feste di iniziazione della gioventù.

I pigmei Bambuti

Per i pigmei Bambuti dell’alta valle dell’Ituri, al contrario, il gioco teatrale è una forma di intrattenimento quasi quotidiano: in essa, i piccoli uomini della foresta esprimono il civilissimo piacere dello stare insieme, di vivere senza capi né autorità.

I pigmei del Gabon

I pigmei del Gabon invece ricordano chi è morto riproducendo mimicamente i fatti salienti della sua vita.

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Il teatro australiano

Una delle funzioni primarie del teatro australiano è quella di trasmettere agli iniziandi non solo il patrimonio culturale di mitologia senza cui il tessuto sociale si dissolverebbe, ma soprattutto le norme di comportamento morale. Un esempio è dato dal popolo Kulin, un popolo del meridione del continente, dove sono frequenti, nel corso delle cerimonie di iniziazione, rappresentazioni di veri e propri drammi didattici, dove gli anziani mostrano agli iniziandi cosa potranno e cosa non potranno fare adesso che sono diventati uomini.

La maschera come strumento di potere

I pigmei non usano maschere: il loro è un teatro completamente compreso nella mimica e nella voce, e i temi sono esclusivamente la rappresentazione della vita animale e umana. Ma quando queste forme rappresentative si riferiscono alla vita religiosa o a riti di iniziazione, la maschera diventa un elemento costante. Al teatro dei pigmei chiunque può partecipare, ma non a tutti è dato di possedere una maschera. Le donne, ad esempio, solo molto di rado sono ammesse al possesso e all’uso delle maschere.

La maschera è considerata uno strumento di potere. Un potere che si eserciterà in modi e livelli diversi. Ad esempio, il numero delle maschere utilizzate dal popolo Kono della Guinea ex francese è rigorosamente stabilito, così come le loro funzioni. Se ne contano quindici. Ad esse sono dovuti sacrifici rituali. Nelle loro uscite sono sempre accompagnate da un gruppo di iniziati, che le servono. Altre sono spiriti che svolgono una specie di servizio pubblico a favore della comunità, per mantenere l’ordine e l’igiene. Altre, infine, sono maschere di carattere puramente comico, che intervengono nelle festività, ma non possono mai incontrarsi con quelle superiori. Le maschere del primo tipo appartengono ai sacerdoti e ai guerrieri e la loro trasmissione è ereditaria.

Ogni maschera ha delle caratteristiche metafisiche, ma è anche individualizzata psicologicamente. Il riferimento figurale delle maschere è il volto umano, più o meno deformato; solo la maschera dei guerrieri ha un riferimento chiaramente animale: il caprone. Chi porta le maschere indossa anche un costume, formato un’ampia e lunga gonna di rafia e da una specie di scialle, che copre completamente il corpo: l’uomo è scomparso nella divinità, i non iniziati non sanno che sotto la forma divina c’è un sacerdote.

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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