Pascoli: le opere poetiche
L’attività poetica di Giovanni Pascoli fu intensa. Pascoli raccolse le sue liriche nei seguenti volumi: Myricae, Primi Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali, Odi e Inni, Nuovi Poemetti, Canzoni di Re Enzio, Poemi Italici, a cui si devono aggiungere le raccolte postume: Poemi del Risorgimento e Poesie varie.
“Myricae” o tamerici (“è la parola – dice l’autore – che usa Virgilio per indicare i suoi carmi bucolici, poesia che si eleva poco da terra – humilis – “) furono pubblicate a Livorno nel 1891, accresciute e ristampate negli anni successivi.
Contengono la poesia più sincera e pregevole del Pascoli, ferito dalla sciagura abbattutasi su di lui e in qualche modo consolato dalla contemplazione attonita della natura serena. Apre i brevi componimenti il “Giorno dei morti”, rievocazione dell’adolescenza del poeta e della sua famiglia che il dolore ha annientato, e li chiude il “Colloquio”, che ci dà la visione dolcemente triste della mamma di Giovanni, la quale lascia i suoi cari nel camposanto e va dal figlio per piangere e parlare con lui. Si trovano nella raccolta quadretti, ritratti, schizzi, creature, malinconie, pene, elegie, gioie, sorrisi, paesaggi novembrini, vespertini, notturni, voci della natura, e ancora: frulli di uccelli, stormire di alberi, fiori, il senso del mistero e della morte.
Dei centocinquanta brevi componimenti ricordiamo Il mago (il poeta che crea le cose più belle), Fides (solo il sogno è bello), Festa lontana (quella di un paesello), Romagna (rievocazione del villaggio di San Mauro che sempre, sorridente e triste, torna al cuore del Pascoli, lontano dal suo dolce nido), X Agosto (anniversario della morte del padre del poeta e giorno in cui nella volta azzurra sfavillano in maggior numero le stelle cadenti, lacrime versate dal cielo sulla terra così piccola, e pure così malvagia), L’assiuolo (il verso dell’uccello notturno è, per il poeta, come una voce lamentevole, un singulto, un pianto di morte), e Arano, Lavandare, Novembre, il morticino, Notte di vento, I tuoni, Canzone d’aprile, I due cugini.
“I Poemetti”, in terzine, venuti alla luce nel 1897, furono successivamente accresciuti e pubblicati in due volumi distinti: Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909). Essi riprendono i motivi che ispirano Myricae (la natura, il mistero, il dolore), ma li approfondiscono e li svolgono in composizioni più ampie.
La parte centrale è costituita dalla rappresentazione lirica della vita di una famiglia di contadini (il capoccia, la moglie e quattro figli) e di un idillio della figlia maggiore Rosa con il cacciatore Rigo, una storia d’amore che si svolge sullo sfondo della campagna, fervida di opere e rallegrata dalle voci degli uccelli e dal verde degli alberi e delle erbe, e che è favorita dalle vicende delle stagioni e dai lavori agresti: La sementa (il primo incontro dei due giovani in autunno), L’accestire (l’amore nasce silenzioso, come il grano sotto terra, in inverno), dei Primi Poemetti; La fiorita (sboccia l’amore in primavera), e la mietitura (esplode con le nozze in estate) dei Nuovi Poemetti. Gli stessi personaggi ricompaiono in altri quattro poemetti meno ampi: Il vecchio castagno e Le armi dei Primi; I filugelli e La vendemmia dei Nuovi.
Nella storia dei contadini si inserisce l’affermazione di un ideale sociale e morale con l’esaltazione del lavoro umano, come nei poemetti La siepe e La piada (il pane romagnolo, il pane della povertà, dell’umanità, della libertà) e in quelli che chiudono i due volumi: Italy “sacro all’Italia raminga”, alla nazione che emigra, e Pietole “sacro all’Italia esule”, ispirato ai miti virgiliani. Ai temi georgici si alternano nelle due raccolte poesie miticizzanti e simbolistiche che “tendono ad esprimere le forme assolute della vita: morte, amore, speranza, dolore”.
Tra queste troviamo Il bordone (simbolo della vita e della poesia del Pascoli), Il vischio (il male penetra nell’uomo, lo corrompe e lo rende irriconoscibile a sé e agli altri), Digitale purpurea (l’amore prima inebria, poi uccide), L’aquilone (ricordi del collegio d’Urbino), I due fanciulli (gli uomini si amino, siano fratelli), Il libro (l’universo è un gran libro, aperto sotto gli occhi degli uomini; ma questi da secoli cercano invano di svelarne il mistero), L’eremita (la vita è un bene che piace solo nel momento in cui si perde) Suor Virginia, considerato il migliore poemetto, Nella nebbia, il cieco, Naufrago, La pecorella smarrita.
“I Canti di Castelvecchio” (1903, 1907, 1913), dedicati alla madre del poeta, riprendono il motivo georgico e quello della tragedia familiare. La raccolta si apre con la lirica La poesia, in cui la poesia è rassomigliata ad una lampada: quella che arde in una modesta stanza, dove le contadine filano e gli uomini, dietro le donne, raccontano novelle, discorrono, parlano sommessamente d’amore; o quella che raduna a cena la famiglia intorno a una candida tovaglia, mentre il ragazzo impara a usare la penna e s’insudicia, e la mamma cerca di leggere nel cuore della figlia maggiore, che presto lascerà la propria casa per entrare in quella dello sposo; o quella che splende davanti a una Madonna di povera chiesa e rifrange i raggi sulle lacrime di chi prega senza speranza; o quella che illumina il letto di donna prossima a diventare madre; o quella che rischiara le tombe.
Tra gli altri componimenti, si ricordano: La voce (un soffio della voce materna giunge al poeta nei momenti del più cupo abbandono), L’ora di Barga (il suono dell’orologio del villaggio scuote il Pascoli dalle sue meditazioni), La mia sera (al dolore succede sempre la gioia, da un male nasce sempre il bene), Il viatico (la gente del villaggio porti al poeta il “vivo pan del cielo”, un giorno, sul dolce mezzodì), Il mendico (il povero, cioè il Pascoli, leva un inno alla fortuna che egli ha insegnato a morire senza rimpianti), La cavalla storna (la cavalla che portò a casa il suo padrone ucciso, Ruggero Pascoli, e che una notte, con un nitrito, confermò il nome dell’omicida, pronunciato dalla madre del poeta), e ancora: Valentino, Le rane, La tessitrice, Le ciaramelle, Giovannino, La canzone dell’ulivo, Il gelsomino notturno, Passeri a sera, Il ciocco (poemetto cosmico che è al centro della raccolta), Nebbia.
Dei “Poemi conviviali” (1904) così intitolati per essere stati pubblicati prima, in parte, sulla rivista Il convito di Adolfo De Bosis. Qui la moderna e trepida anima del Pascoli rivive e vagheggia miti e figure della storia, della filosofia e del pensiero del mondo antico, da Omero alla venuta di Cristo, li umanizza e li trasferisce sul piano del simbolo.
In Solon è celebrata, con le due cose più belle che ha il mondo, amore e morte, la poesia consolatrice e datrice di immortalità; in Alexandros è adombrato il concetto che il sogno è infinitamente migliore della realtà e perciò la saggezza consiste nel porre un limite alle nostre brame; in Sileno la bellezza è intesa come rivelazione o illuminazione; nel breve poemetto Il sonno di Odisseo è espressa l’impossibilità di ottenere quanto più desideriamo; ne L’ultimo viaggio (Ulisse, vecchio, ritorna nei luoghi dove trascorse i giorni più belli, per rivivere il suo passato, ma deve rilevare che tutto è cambiato e la sua vita è stata un’illusione) è simboleggiato lo sforzo vano dell’uomo di conoscere il vero e di toccare mete irraggiungibili.
Anche in questi canti sono sviluppati i temi della poesia pascoliana: il dolore, il mistero, la povertà, l’amore familiare, ma soprattutto la morte (L’ultimo viaggio, La cetra di Achille, Anticlo, La civetta).
“Odi e Inni” (prima edizione 1906) dedicati ai giovanetti e alle fanciulle, cantano, alla maniera di Orazio e di Pindaro, eroi della patria e dell’umanità, fatti antichi e moderni.
Il pascoli inizia la raccolta con un’ode alta e alata, La piccozza, simbolo del suo genio e della sua arte, con cui ha aperto dinanzi a sé una via non percorsa mai da nessuno. Accanto a componimenti di carattere sociale piuttosto freddi (Gli eroi del Sempione) si trovano anche canti animati da spirito eroico (Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, naviganti verso il Polo Nord, Andrèe, aeronauta svedese, che nel 1897 tentò di arrivare al Polo Artico in pallone) o ispirati alle gesta africane (A Ciapin, Convito d’ombre) o pervasi di profonda umanità (Nel carcere di Ginevra) o simbolisti (Al corbezzolo, Inno secolare al Mazzini).
“Le canzoni di Re Enzio” (1908-1909) sono un tentativo di poesia epica, comprendono tre poemetti intorno a episodi del nostro Medioevo: la Canzone del Carroccio (ricostruzione storica e erudita del comune di Bologna dopo la battaglia di Fossalta e la cattura di Re Enzo, figlio di Federico II), la Canzone del Paradiso (racconto degli amori di Re Enzo con la fanciulla Flor d’Uliva e esaltazione della liberazione degli schiavi del comune, i cui nomi sono registrati nel libro del Paradisus) e la Canzone dell’Olifante (nel giorno della morte di Manfredi, avvenuta a Benevento, un giullare canta a Bologna la Rotta di Roncisvalle, che il Pascoli ha tradotto dal testo originale: il canto turba il prigioniero Enzo che è ansioso di combattere, ma impossibilitato ad agire).
“I Poemi italici” (1911: Paolo Uccello, il migliore, Rossigni, Tolstoi) simboleggiano tre concetti dell’estetica pascoliana: il poeta, pur non possedendo nulla, possiede tutto; che la poesia rivela l’intima armonia dell’anima del mondo; che essa deve sempre mirare al vantaggio morale e sociale. I Poemi celebrano cinque geni nazionali: il pittore fiorentino Paulo di Dono, detto Uccello, San Francesco, Rossigni, Dante, Garibaldi.
“I Poemi del Risorgimento“, interrotti dalla morte del poeta, presentano la storia d’Italia in forma mistica e simbolica. Parlano di Napoleone, della Carboneria, di Carlo Alberto, di Garibaldi e di Mazzini. Comprendono anche la traduzione italiana dell’Inno a Roma e dell’Inno a Torino, già pubblicati in latino. Infine ci sono le “Poesie varie“, riunite e date alla stampa, postume, da Maria, sorella del Pascoli, la quale curò anche la raccolta di Traduzioni e Riduzioni da poeti antichi e moderni.