Pietà Rondanini, storia e analisi dell’opera di Michelangelo
La Pietà Rondanini è il testamento spirituale di Michelangelo Buonarroti al mondo. È stata infatti la sua ultima opera, rimasta incompiuta allorché nel 1564 il Maestro scultore, ormai 80enne, morì nel suo studio in piazza Venezia, a Roma.
Approfondimento
Pietà Rondanini: una vicenda creativa lunga 12 anni
Si racconta che Michelangelo iniziò a lavorare alla Pietà che voleva collocare sul suo sepolcro già nel 1550. Questo primo tentativo, però, fallì miseramente per imprevisti strutturali e di materiali: l’opera poco più che abbozzata fu fatta letteralmente a pezzi dal suo creatore.
A distanza di due anni, Buonarroti torna alla sua ultima Pietà: scolpisce le gambe che vediamo in primo piano e un braccio destro. Questi arti, nell’opera primaria, appartengono alla Madonna. La Pietà viene lasciata da parte per circa tre anni.
Nel 1555 Michelangelo torna al suo progetto scultoreo e rivoluziona tutto. Cambia totalmente la posizione dei due soggetti. Il Cristo così come abbozzato (le gambe e poco altro) si tramuta nella Madonna e viceversa.
Dal corpo di Maria ottiene il nuovo Gesù; dalla spalla sinistra di questo nuovo Cristo origina la Vergine. Molti, però, sono i dettagli che non vedranno la luce. Michelangelo, infatti, muore improvvisamente il 18 febbraio 1564, lasciando l’opera incompiuta.
Il viaggio della scultura Pietà Rondanini fino ad oggi
Nel 1744, trascorsi 200 anni dall’ultimo colpo di scalpello, l’opera viene riportata al pubblico e acquistata dai Marchesi Rondanini che la collocano nel loro Palazzo di famiglia, in via del Corso, sempre a Roma.
Più di 100 anni dopo, nel 1904, il Conte Vimercati San Severino acquista la scultura per collocarla su un’ara funeraria romana di opera traianea raffigurante Marco Antonio e la moglie Giulia Filomena Asclepiade.
Nel 1952, infine, viene acquistata dal Comune di Milano. Oggi, nel suo metro e novantacinque, campeggia all’interno del Museo del Castello Sforzesco.
Descrizione, analisi e commento
La Pietà Rondanini è una scultura orientata verticalmente, in maniera totalmente innovativa rispetto a quanto si faceva all’epoca. È alta quasi due metri e fatta di marmo. Iconograficamente riprende l’atto dell’accoglimento della madre, nelle sue braccia, del corpo del Cristo deposto dalla Croce.
L’innovazione di questa ultima versione della Pietà è appunto la verticalità che definisce una solida unità fra i due protagonisti: madre e figlio. Questa solidità, poeticamente, si contrappone all’incompiutezza.
La granitica posizione della Madonna e del Cristo si pongono in contrasto, cioè, alla fragilità e alla instabilità della scultura tutta.
Lo scultore britannico Henry Monroe, nella sua puntuale analisi dell’opera, pone l’accento su questa dicotomia: solidità contro instabilità e, per traslato, realtà versus sentimento.
Questo ultimo Michelangelo ha cioè abbandonato la dinamicità dello spazio compiuto e pieno, per volgere alle verticalità gotiche ed espressioniste.
Contestualmente, lascia andare la magnificenza della forma per mettere davanti agli occhi del suo spettatore solo i sentimenti, liberi da i suoi celebri virtuosismi.
Questo ultimo Michelangelo è più intimo e intimista.
L’opera si staglia sull’opposizione concettuale di vuoto e pieno, di vita e morte. In questa riflessione, infine, si pone il punto di arrivo della dialettica fra l’opera e l’artista.