Peppino Impastato: storia di depistaggi e carte scomparse

“L’ansia dell’uomo che muore”

Dalle poesie di Peppino Impastato al suo lavoro contro la mafia, al suo omicidio avvenuto per mano mafiosa il 9 maggio 1978. In questo articolo si raccontano le storie di depistaggi, di carte scomparse, di una vita negata.

Appartiene al suo sorriso

L’ansia dell’uomo che muore,

al suo sguardo confuso

chiede un po’ di attenzione,

alle sue labbra di rosso corallo

un ingenuo abbandono,

vuol sentire sul petto

il suo respiro affannoso;

è un uomo che muore.

Sono versi scritti da Peppino Impastato, raccolti in un libro dal titolo “Amore non ne avremo” a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale.

Peppino Impastato
Peppino Impastato

L’omicidio di Cinisi

Sono passati oltre 40 anni dal suo omicidio tra depistaggi e carte scomparse. Era il 9 maggio 1978. Peppino era un giovane militante che aveva puntato il dito contro la mafia. Per questo veniva massacrato per conto del boss Gaetano Badalamenti a Cinisi, un paese della provincia di Palermo. Aveva fondato una radio indipendente, Radio Aut, e combatteva il boss con la cultura e la politica. La sua è una storia di ribellione. La ribellione contro Cosa nostra.

Chi era Peppino Impastato: storie di indagini e archiviazioni

Figlio e nipote di mafiosi, Peppino Impastato era nato e cresciuto nella stessa strada in cui abitava Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi (paese in provincia di Palermo) che poi sarà condannato all’ergastolo per l’omicidio del “ribelle” ma solo in primo grado: Tano Seduto, così lo chiamava Peppino dai microfoni di Radio Aut, sarebbe morto prima della Cassazione.

Infatti per arrivare alla sentenza della corte d’Assise su Badalamenti ci sono voluti 24 anni (2002). Quella di Peppino doveva essere la storia di un pazzo, un terrorista che voleva far esplodere la ferrovia. Doveva essere una morte accidentale in terra di Sicilia. Ma cinque indagini, la condanna per il boss di Cosa nostra Tano Badalamenti in primo grado e due richieste d’archiviazione per i carabinieri di Antonio Subranni, non sono servite a scrivere la verità sull’omicidio di Peppino; fu ucciso a Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978.

Un mistero italiano

Quello che rimane è la relazione dell’Antimafia che parla di “patti” tra mafiosi e esponenti dello Stato. Insomma un’altra pista che conduce ad uno dei misteri italiani.

Resta una domanda.

Perché gli uomini del generale Antonio Subranni avrebbero depistato le indagini sull’omicidio di Cinisi?

Su questo non esiste alcuna sentenza, ma addirittura una richiesta di archiviazione per il generale, ex numero uno del Ros, che nell’aprile 2018 è stato condannato a dodici anni alla fine del processo sulla Trattativa Stato – mafia.

L’accusa del pentito Francesco Di Carlo

A mettere nero su bianco il suo nome è il pentito Francesco Di Carlo: “Gaetano Badalamenti – ha raccontato il collaboratore –  spingeva Nino e Ignazio Salvo per parlare col colonnello. Dopo poco tempo mi ha detto: no, la cosa si è chiusa. Non spuntava più niente nei giornali per un periodo, era stata archiviata”.

Ben due volte, tuttavia, la procura di Palermo ha chiesto al gip di chiudere l’inchiesta su Subranni, per lui l’accusa di favoreggiamento, e su Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo, accusati invece di falso.

Il motivo della richiesta di archiviazione?

Su quei reati è ormai subentrata la prescrizione.

L’ultima richiesta d’archiviazione: giugno 2016

L’ultima richiesta d’archiviazione risale al giugno del 2016. Dal 2016 quindi si attende che un gip decida cosa fare su quest’indagine riaperta nel 2010 dal sostituto procuratore Francesco Del Bene, e dopo portata avanti anche dai pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia.

Si tratta dell’ultima inchiesta sul caso Impastato e ripercorre dettagliatamente ciò che fecero i carabinieri per evitare ad ogni costo di battere la pista mafiosa.

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A mettere in ordine tutta la fila dei depistaggi, avvenuti già a partire dalla scena del delitto, è stato il centro Impastato – autore già nel 1994 della prima domanda di riapertura dell’inchiesta – e poi approdato sul tavolo della commissione parlamentare Antimafia.

Quel sasso macchiato di sangue

E’ il 1978. I carabinieri non si accorgono – arrivati nelle campagne tra Cinisi e Terrasini che sul luogo del delitto c’è un grande sasso macchiato di sangue. Trovano il corpo di Peppino Impastato legato al binario.

Una scena che doveva servire ai killer a “vestire il pupo” in modo che sembrasse un terrorista morto suicida.

La prima informativa dei carabinieri è priva di quel sasso macchiato di sangue. A trovare il sasso invece – alcune ore dopo – sono i compagni di Peppino Impastato.

Non sono stati sentiti i testimoni oculari, perché la pista mafiosa è stata esclusa a priori. La teste chiave, Provvidenza Vitale, non è stata mai sentita.

Eppure lei è la casellante di turno al passaggio a livello di Cinisi quella notte in cui Peppino viene assassinato. Pare che per 32 anni nessuno sia riuscito a trovarla. Eppure la donna non si è mai allontanata dalla sua abitazione di Terrasini, paese attaccato a Cinisi.

Sui verbali dei carabinieri solo una parola: “irreperibile”.

Ad interrogarla, nel 2011, ci pensa invece il pm Del Bene, ma i ricordi dell’assassinio sono ormai lontani, la donna è anziana.

La relazione della commissione antimafia

La commissione antimafia nel 2000 scrive:

“Giuseppe Impastato sfidò la mafia in un territorio in cui si era stabilito un  sistema di relazioni tra segmenti degli apparati dello Stato e mafiosi molto potenti; un sistema di relazioni che, in quegli anni, può essere rinvenuto anche in altri territori, teso, spesso illusoriamente, alla cattura, per via confidenziale, di alcuni capimafia, all’apporto che queste relazioni potevano dare ad alcuni filoni di indagine o, comunque, ad una pacifica convivenza per un tranquillo controllo della zona”

la firma è del relatore Giovanni Russo Spena.

“È anche del tutto probabile – continua Spena – che Badalamenti abbia avuto dei rapporti confidenziali con i carabinieri in una zona alta, apicale, data la statura delinquenziale del capo mafia di Cinisi.”

Da qui scaturiscono una serie di interrogativi: le indagini su Impastato “sono state insabbiate solo per un patto di non belligeranza tra boss e carabinieri? Per un doppio gioco, uno scambio di favori, una trattativa ante litteram che aveva come obiettivi la cattura dei latitanti e il controllo della zona?”.

Foto di Peppino Impastato

Il dossier di Peppino scomparso durante il sequestro

L’ipotesi arriva dalla Procura di Palermo, che per il patto di Cosa nostra, ha ottenuto la condanna di Subranni. Ma i pm scoprono anche un foglio redatto dai carabinieri con su scritto: “Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe”.

Da qui ne consegue che a casa di Peppino c’è stato un sequestro informale. Si tratta quindi di un sequestro che nessuno ha autorizzato.

In un altro elenco, stavolta formale, gli uomini in divisa scrivono di aver sequestrato lettere e volantini a casa di Peppino. Si tratta di scritti d’ispirazione politica e propositi di suicidio:

“Voglio abbandonare la politica e la vita”

così si legge in un appunto che per gli inquirenti era la prova del suicidio.

Intanto però c’è anche altro tra i documenti posti sotto sequestro. A raccontarlo è Giovanni Impastato, fratello di Peppino: 

“Ricordo che mio fratello poco prima di morire si stava interessando attivamente alla strage della casermetta di Alcamo Marina, che nel 1976 costò la vita a due giovani carabinieri. In seguito a quel fatto, gli uomini dell’Arma vennero a perquisire casa nostra dato che mio fratello era considerato un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccogliere informazioni sulla questione, notizie che accumulava in una specie di dossier: una cartelletta che fu sequestrata e mai più restituita”.

Insomma, negli anni sono stati aggiunti dei piccoli pezzi di un puzzle, di cui ancora ne mancano tanti. Ciò conferma che quello di Peppino Impastato è stato un delitto eccellente, che si verifica quando c’è una “convergenza di interessi”, cioè quando i motivi e i mandanti sono molteplici.

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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