L’attacco di Pearl Harbor e la figura di Hirohito
La Seconda Guerra Mondiale iniziò per il Giappone lo stesso giorno in cui iniziò per gli Stati Uniti d’America, con l’attacco di Pearl Harbor avvenuto il 7 dicembre del 1941 con il nome in codice operazione Hawaii.
Senza una preventiva dichiarazione di guerra, l’attacco fu realizzato per via aerea e navale (la flotta partì dal Giappone il giorno 26 novembre 1941) e colpì duramente la flotta americana posizionata nella base navale di Pearl Harbor.
L’evento scatenò in America una tale ondata emotiva che il suo Presidente Franklin Delano Roosevelt poté dichiarare guerra al Giappone e intervenire a fianco dell’Inghilterra nella Seconda guerra Mondiale senza alcuna opposizione.
I giapponesi, come alleati della Germania e dell’Italia, dimostrarono una notevole capacità bellica e una determinazione capace di giungere fino all’autodistruzione. Pertanto gli Americani decisero di utilizzare, unici nella storia militare, la Bomba Atomica. Il 6 agosto 1945 ne sganciarono una su Hiroshima e il 9 agosto 1945 un’altra su Nagasaki.
Il 15 agosto 1945 Hirohito, imperatore del Giappone, suprema carica dello stato e, secondo le tradizioni giapponesi, di discendenza divina, parlò per la prima volta ai suoi sudditi dichiarando che a causa delle armi di cui gli americani disponevano era impensabile proseguire la guerra e pertanto ordinava ai suoi militari di fermare qualsiasi azione bellicosa contro i nemici.
Hirohito era un imperatore fragile e moderato, molte delle scelte fra cui l’entrata in guerra, sembra che siano state prese dai militari con un sua passiva accettazione. Pare, infatti, che dopo la guerra l’Imperatore dichiarò ad un pastore metodista che era andato a trovarlo che se avesse ricevuto, prima dell’attacco di Pearl Harbor, il telegramma che Roosevelt gli aveva inviato e che non arrivò mai, chiedendogli di non dare inizio alle ostilità, lui avrebbe fermato l’attacco.
Hirohito, infatti, anche durante le prime vittorie giapponesi nel Pacifico era scettico sull’andamento della guerra e si era reso conto che la sconfitta era solo procrastinata. Il suo impero era comandato e governato da un gruppo di alte gerarchie dell’esercito, dell’aviazione e della marina che subirono la resa voluta dall’Imperatore con difficoltà e nella consapevolezza dell’errore che avevano commesso nell’attaccare gli americani.
Hirohito salì al trono a 24 anni, sostituendo il padre Taisho da tempo malato, e il suo regno fu contraddistinto dalla sua levità; era infatti uno studioso preciso e meticoloso ma refrattario alle responsabilità di governo. Amava la biologia marina e studiava con attenzione, in un laboratorio appositamente costruito, pesci e crostacei di cui dettava l’analisi ad un biologo. Era anche un poeta alla ricerca della serenità e del distacco e quando dovette incontrare il generale MacArthur per parlare dei termini della resa del suo Impero sembra che non riuscì a parlare di nulla che avesse a che fare con le contingenze diplomatiche e politiche, anche se si prese tutta la responsabilità per l’attacco di Pearl Harbor e la successiva guerra.
Nel 1946 accettò la nuova costituzione imposta dagli americani che prevedeva fra l’altro la sua decadenza da essere divino a essere umano togliendo per sempre la presunta superiorità della razza giapponese nei confronti delle altre razze del mondo. Morì nel 1989 dopo una breve malattia lasciando un Giappone profondamente cambiato.