Martirio di San Matteo (Caravaggio)
Il Martirio di San Matteo è un olio su tela realizzato dal Caravaggio intorno al 1599 – 1600, destinato ad essere collocato presso la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, all’interno della cappella Contarelli. E’ una delle tre tele del ciclo pittorico che comprende La vocazione di San Matteo e San Matteo e l’angelo; i dipinti erano stati commissionati all’artista dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (ovvero Matteo Contarelli, italianizzato) con lo scopo di celebrare il suddetto prelato maggiore (le cui spoglie riposano all’interno dell’omonima cappella), tramite la realizzazione di tre opere ispirate alla vita terrena del santo di cui portava il nome.
Si tratta di una tela di notevoli dimensioni (323 cm x 343 cm), che ancora oggi possiamo ammirare sul lato destro della cappella, guardando verso l’altare.
Il Martirio di San Matteo: analisi
L’episodio biblico, dal quale il Caravaggio trasse spunto, è riportato da Jacopo da Varagine (o da Varazze) all’interno della raccolta medievale di biografie, in lingua latina, basata su testimonianze riguardanti la vita dei santi ed intitolata “Legenda Aurea”.
Qui si narra che il re Irtaco, salito al trono di Etiopia dopo la morte del fratello Egippo, viene rifiutato in sposo da Ifigenia, figlia del defunto sovrano, la quale ha già promesso la propria verginità a Dio. Irtaco, nel tentativo di convincere la fanciulla, chiede l’intercessione di Matteo il quale, in tutta risposta, lo invita a presenziare alla messa che avrebbe celebrato il sabato successivo all’interno del tempio. Matteo, nel corso della sua predica, afferma pubblicamente che il voto di Ifigenia, promessa sposa di Dio, non può essere infranto, nella stessa misura in cui, secondo l’usanza del periodo, se un servo avesse avanzato pretese sulla moglie del proprio re, sarebbe stato bruciato vivo.
La scena del Caravaggio rappresenta la brutale uccisione di Matteo, minacciato dalla spada di un sicario incaricato dal re d’Etiopia, proprio mentre il santo è intento a celebrare messa all’interno di una chiesa; l’ambientazione è confermata dalla presenza anacronistica (considerato il periodo storico in cui si svolse l’evento biblico al quale l’artista fa riferimento) di un fonte battesimale, di un altare sul quale è presente una croce.
Le analisi radiografiche hanno svelato che Michelangelo Merisi (Caravaggio) operò numerosi mutamenti sulla composizione dell’immagine durante la fase di realizzazione; nella prima versione svelata dalle indagini di laboratorio infatti, le figure appaiono ben più piccole. La scelta di rimodulare dimensionalmente le figure, molto probabilmente fu dettata dall’esigenza di dare loro maggiore risalto, considerata l’importanza dell’incarico ricevuto e considerato il luogo in cui la tela, assieme alle altre due, sarebbe stata esposta.
Fin dall’inizio però, è evidente che il Caravaggio scelse di concentrarsi sul protagonista, rappresentato come indiscussa vittima di un efferato assassinio, manifestando così il suo determinato rifiuto nei confronti di quella interpretazione devozionale, abbracciata dal resto degli artisti suoi contemporanei, tipica di un’arte sacra che era solita proporre santi pronti ad accettare con assoluta serenità il proprio martirio.
Nel Martirio di San Matteo ci troviamo dinanzi all’ennesima istantanea del Caravaggio, dove al centro della scena vengono ritratti i due principali protagonisti, staccati da uno sfondo che rimane in penombra e capaci di emergere, in tutta la loro grandezza, con l’ausilio della luce divina e grazie ad un sapiente utilizzo di straordinarie sfumature di bianco. Il carnefice è immortalato nell’attimo prima di sferrare il colpo mortale su Matteo; con la mano destra tiene la spada e con la sinistra afferra il polso destro di Matteo che si trova disteso in terra a braccia aperte, come quelle del Cristo sulla croce.
Il sicario è nudo, un telo dai toni chiari gli ricopre unicamente le parti intime; Matteo, invece, indossa gli abiti sacerdotali, una tunica bianca, un pettorale scuro ed il cingolo in vita.
La celebrazione di Matteo è rappresentata dall’angelo in alto a destra, collocato sopra una nuvola, che gli porge la palma del martirio, simbolo della vittoria dell’uomo che offre la vita a Dio. Si avverte un senso di terrore, si sente l’urlo del fanciullo sulla destra che fugge spaventato, si percepisce il panico tra i presenti che si ritraggono inorriditi. Poi, con sorpresa, guardando a sinistra sullo sfondo, ci accorgiamo che Caravaggio, dietro tutti, quasi nascosto, ha dipinto anche se stesso (è il primo autoritratto a far capolino in un’opera pubblica); un se stesso curioso, provocatore, col pizzetto, con gli occhi tristi e scuri, un cronista di situazioni e fatti senza spazio e senza tempo capace di raccontare, con assoluto realismo, tragiche e sante verità.