La luna e i falò (di Cesare Pavese): riassunto
La luna e i falò è l’ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese, attivo nella prima metà del Novecento italiano. Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, nel 1908. Grazie all’incontro con un importante intellettuale, Augusto Conti, si avvicinò alla letteratura e si laureò in Lettere a Torino. All’inizio della sua carriera si dedicò alle traduzioni di narratori americani e collaborò con la casa editrice Einaudi. Nel 1935 venne incarcerato per opposizione al regime fascista, ma dopo qualche tempo ottenne la grazia. Tra le opere più importanti si ricordano: Lavorare stanca (1936), Paesi tuoi (primo romanzo del 1941), La bella estate (1949), La luna e i falò (1950), la prosa filosofica dei Dialoghi con Leucò (1950). Postumo venne pubblicato Il mestiere di vivere, il diario dello scrittore dal 1936 al 1950. Nel 1950 ottenne l’assegnazione del Premio Strega ma, nonostante questo, a causa di delusioni e inquietudini personali, scelse di suicidarsi il 26 agosto 1950.
Approfondimento
La luna e i falò: riassunto
La luna e i falò rappresenta il lascito di Pavese, il romanzo che incarna il suo sentimento poco prima di morire. Il romanzo è ambientato al termine del secondo conflitto mondiale e narra la storia di Anguilla, un ragazzo adottato che torna dall’America al suo paese d’origine per ritrovare i luoghi della sua infanzia e sconfiggere la solitudine interiore, elementi comuni all’autore.
C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos’ero prima di nascere». [La luna e i falò, Incipit]
L’opera è divisa in 32 capitoli, nei quali il protagonista dialoga con alcuni personaggi del paese, Santo Stefano Belbo, che gli raccontano alcuni avvenimenti accaduti durante il Fascismo e la Resistenza. Oltre al suo miglior amico Nuto, Anguilla incontra anche Cinto, un ragazzo menomato, con quale rivive tutta la sua infanzia: da piccolo è stato adottato ma il Padrino viene costretto a vendere tutti i suoi beni e Anguilla deve lavorare nella fattoria della Mora per guadagnarsi da vivere.
Qui ha trascorso dei giorni felici ma preferisce non tornare in quei luoghi proprio per non vedere come siano diventati oggi. Cinto gli racconta anche la storia delle figlie del proprietario della fattoria, Irene, Silvia e Santa. Purtroppo sono tutte morte durante la guerra e Santa, la più bella, è stata giustiziata perché operava come spia sia per i tedeschi che per i partigiani.
Finale
La parte finale del romanzo si conclude con due incendi, dai quali deriva parte del titolo: il padre di Cinto che decide di bruciare la casa e sterminare la famiglia, e il falò del cadavere di Santa. Anguilla si rende conto che ormai questi falò non hanno nulla a che vedere con quelli mitici dell’infanzia, dove bruciava la legna secca e che venivano accesi per propiziare il raccolto.
Questi falò rappresentano l’orrore della storia, degli eventi della Seconda Guerra Mondiale e l’impossibilità di tornare indietro all’età mitica dell’infanzia. Di fronte a questa triste realtà, Anguilla decide di ripartire perché ormai è diventato straniero e nulla più lo lega a quei luoghi. Egli ha perso la sua identità e non si riconosce più in quei posti.
Breve analisi
La conclusione del romanzo di Cesare Pavese è amara e disillusa: secondo l’autore, quindi, non c’è possibilità di riscatto o cambiamento positivo, il senso della solitudine e del fallimento pervade gli eventi.
Termina quindi con il crollo degli ideali mitici, atmosfera che coincide poi con l’imminente suicidio dell’autore. Il romanzo è però un importante spaccato dell’Italia del dopoguerra ed è testimonianza dei sentimenti degli intellettuali, che si sentivano impotenti difronte alla barbarie a cui avevano assistito.