La caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca
Chiamato dalla propaganda della DDR “barriera di protezione antifascista” (in tedesco: “antifaschistischer Schutzwall”), il muro di Berlino (in lingua originale: “Berliner Mauer”) è un sistema di fortificazioni che ha diviso la città tedesca dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989, per ventotto anni. Fatto erigere dal governo della Germania Orientale allo scopo di evitare che le persone del territorio della Germania Est potessero spostarsi a Berlino Ovest e viceversa, fu abbattuto in seguito alla decisione del governo della DDR di aprire le frontiere.
Nel corso degli anni di vita del muro di Berlino furono quasi 200 le persone uccise dagli uomini della polizia di frontiera per aver tentato di superare il muro e raggiungere la parte occidentale della città. La caduta del muro, considerato l’emblema della cosiddetta cortina di ferro, vale a dire la linea di confine tra la zona d’influenza sovietica e la zona d’influenza statunitense in Europa nel corso della Guerra Fredda, diede il la alla riunificazione della Germania, che avvenne ufficialmente il 3 ottobre del 1990.
Approfondimento
Il contesto storico: la spartizione di Berlino
Mentre la Seconda Guerra Mondiale si appresta a concludersi, nel 1945 in occasione della Conferenza di Jalta viene sancita la divisione della città di Berlino in quattro settori, ognuno dei quali sarà amministrato e controllato da uno Stato diverso: Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Unione Sovietica. Proprio il settore sovietico è quello più grande, e include i distretti orientali di Prenzlauer Berg, Lichtenberg, Weissensee, Friedrichshain, Treptow, Mitte, Kopenick e Pankow.
Il Blocco di Berlino attuato nel 1948 dall’Unione Sovietica, poi, conduce al “Ponte Aereo” da parte degli alleati, finalizzato a inviare generi di prima necessità e viveri agli abitanti dei tre settori occidentali. I tre settori controllati da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che costituiscono Berlino Ovest, in quegli anni sono nominalmente indipendenti, ma in realtà fanno parte di una Germania Ovest che in effetti è totalmente circondata dalla Germania Est.
I cittadini di Berlino inizialmente hanno il permesso di circolare in tutti i settori liberamente, ma i loro movimenti diventano sempre più limitati a mano a mano che la Guerra Fredda si estende. Nel 1952 viene chiuso il confine tra Germania Ovest e Germania Est.
La costruzione del muro
Tra il 1949 e il 1961, almeno due milioni e mezzo di cittadini tedeschi orientali passano nella parte occidentale del Paese: è proprio per questo motivo che prende il via la costruzione di un muro, finalizzato a impedire l’esodo di cittadini orientali. Il muro viene eretto a partire dal 13 agosto 1961, e sarà realizzato intorno ai tre settori occidentali della città: le truppe del Kampfgruppen, intanto, presidiano la linea di confine, composta non solo da filo spinato, ma soprattutto da prefabbricati di pietra e cemento. Saranno questi gli elementi che costituiranno la prima generazione del muro.
A dispetto delle parole pronunciate il 15 giugno del 1961 da Walter Ulbricht, segretario del Partito Socialista Unitario tedesco e Capo di Stato della DDR (“Nessuno costruirà un muro”), in realtà la barriera viene eretta velocemente, e circonda totalmente Berlino Ovest, facendo sì che i settori occidentali della città siano una sorta di isola imprigionata dai territori orientali.
Da parte della DDR si è soliti ripetere che quello è un muro di protezione antifascista, il cui scopo è quello di impedire un’aggressione da parte dell’Ovest. È evidente, però, che si tratta di una semplice copertura, e l’obiettivo reale è quella di evitare che i cittadini della Germania Orientale entrino a Berlino Ovest (e quindi nella Germania Ovest, visto che il traffico tra la Germania Ovest e la parte occidentale di Berlino non può essere controllato dalla DDR).
I tentativi di fuga
Se tra il 1949 e il 1962 la fuga di cittadini (tra cui moltissimi lavoratori specializzati e professionisti) aveva interessato non meno di due milioni e mezzo di persone, tra il 1962 e il 1989 non sono più di cinquemila gli individui che osano attraversare il muro. La sua erezione, inoltre, diviene, sotto il profilo propagandistico, un boomerang, sia per la Germania Est che per l’intero blocco comunista.
Il muro, infatti, ben presto viene considerato come uno dei simboli della tirannia comunista, a maggior ragione dopo gli assassini delle persone che tentano di attraversarlo. Lungo più di 155 chilometri, il muro viene protetto ulteriormente con un secondo muro, costruito nel giugno del 1962, all’interno della frontiera. Viene così portata a termine quella che viene chiamata “striscia della morte”: più tardi, il muro di prima generazione sarà distrutto.
Nel 1965, poi, è la volta della terza generazione del muro, costituita da lastre di cemento armato connesse con montanti di acciaio e tubi di cemento; nel 1975 prenderà il via la quarta generazione, sempre in cemento armato rinforzato: composto da circa 45 mila sezioni distinte, avrà un’altezza di poco più di tre metri e mezzo, e una larghezza di un metro e mezzo. Costerà più di 16 milioni di marchi.
Nello stesso anno, la “striscia della morte” viene perfezionata: a proteggerla ci sono più di cento chilometri di fossato anticarro, venti bunker, più di trecento torri di guardia presidiate da cecchini armati e una strada lunga quasi 180 km costantemente illuminata per il pattugliamento. L’unico punto di attraversamento per i turisti e gli stranieri è situato in Friedrichstrasse (Checkpoint Charlie), mentre le potenze occidentali possono contare anche sul checkpoint di Dreilinden (Checkpoint Bravo), al confine meridionale di Berlino Ovest, e di Helmstedt (Checkpoint Alpha), sul confine tra la Germania occidentale e quella orientale. I berlinesi, invece, inizialmente hanno a disposizione tredici punti di attraversamento, quattro tra Berlino Ovest e la DDR e nove tra Berlino Ovest e Berlino Est. Più tardi, con un gesto altamente simbolico, l’attraversamento della porta di Brandeburgo sarà sbarrato.
Le vittime del muro
Naturalmente sono numerosi i tentativi di fuga di quel periodo, e circa cinquemila vanno a buon fine. Tuttavia, ve ne sono molti altri che si concludono con la morte (circa duecento) o il ferimento dei fuggitivi. Fino a quando il muro non viene fortificato completamente, i tentativi sono spesso semplici e banali: per esempio, buttarsi dalla finestra di una casa che si affaccia sul confine per cadere a terra nella parte occidentale, o passare sotto le barricate con una macchina molto bassa.
Con il passare del tempo, invece, l’inventiva dei berlinesi viene messa a dura prova: non manca chi impiega aerei ultraleggeri, scivola lungo i cavi elettrici che uniscono i piloni o costruisce lunghe gallerie. La prima vittima ufficiale dei tentativi di fuga si chiama Ida Siekmann: il 22 agosto del 1961 salta dalla sua casa in Bernauer Strasse. L’ultima vittima, invece, è dell’8 marzo 1989, e si chiama Winfried Freudenberg: ha provato a scappare addirittura con una mongolfiera da lui realizzata, e caduta a Berlino Ovest.
La prima persona uccisa dai soldati di confine, invece, è Gunter Litfin. L’ultima si chiama Chris Gueffroy, un ragazzo non ancora ventunenne che viene colpito il 5 febbraio mentre è impegnato a scavalcare il muro a Nobelstrasse. In effetti, sono molti i giovani tra i morti del Muro. Tra di loro si ricordano anche diversi bambini: Holger H., di un anno e mezzo, Cetin Mert, di cinque anni (ucciso proprio il giorno del suo compleanno), Siegfried Krobot, di cinque anni, Giuseppe Savoca, di sei anni, Cengaver Katranci, di nove anni, Jorg Hartmann, di dieci anni, e Lothar Schleusener, di tredici anni.
Il tentativo di fuga più celebre è quello che coinvolge Peter Fechter, ragazzo diciottenne che il 17 agosto del 1962 viene ferito dalle guardie di confine e lasciato morire a terra dissanguato. Tra gli stessi soldati impiegati presso il muro, per altro, si registrano tentativi di fuga. In tutto il mondo è famosa la foto di Conrad Schumann, guardia che in corrispondenza della Bernauer Strasse salta oltre il filo spinato, ma anche tra i militari non mancano i morti.
L’obiettivo del muro, insomma, è impedire che i cittadini della Germania Orientale possano conoscere il mondo normale. Particolarmente significativa, in questo senso, è la storia di Conrad Schumann, che, fuggito dalla DDR, trova rifugio in Baviera dove lavora come operaio all’Audi di Ingolstadt. Tornato a casa dopo la caduta del muro per rivedere amici e colleghi, riceve un’accoglienza fredda, e viene trattato come un estraneo: si impiccherà dopo essere caduto in depressione.
Il simbolo di un fallimento
Il muro che è stato necessario costruire, in ogni caso, rappresenta una sconfitta perché sta a significare che il sistema comunista in vigore non attira i cittadini, ma anzi li spinge alla fuga: e per questo è necessario posizionare trappole e ostacoli, creare segnali elaborati, costruire torri di guardia e bunker.
Nel corso degli anni non mancano i cittadini che decidono di seguire il percorso inverso, cioè scavalcare la frontiera da Ovest a Est. Un cittadino berlinese, per esempio, negli anni Settanta viene arrestato cinque volte per aver scavalcato il muro verso Est: agli agenti che lo interrogano, risponde che lui abita a Kreuzberg, e i suoi amici si trovano proprio di fronte. Per questo motivo, la via più veloce è quella di scavalcare, invece che recarsi ai passaggi di frontiera. Le guardie di frontiera non possono fare altro, ogni volta, che rilasciare l’uomo.
Altre volte, poi, l’attraversamento diventa una sfida personale. Nel 1986, per esempio, John Runnings scavalca il muro servendosi di una scala, e decide di camminare per almeno mezzo chilometro sul muro in equilibrio. Mentre numerosi cittadini presenti lo incoraggiano, i tentativi di persuaderlo ad abbandonare l’impresa compiuti dalle guardie e dai poliziotti di frontiera vanno a vuoto. Alla fine, dopo essere sceso, l’uomo viene preso in custodia dalle truppe della DDR e rimandato a Ovest dopo un veloce interrogatorio; ma pochi giorni dopo Runnings ci ritenta, e, salito sul muro, si siede a cavalcioni su di esso iniziando a prenderlo a martellate, con un gesto evidentemente simbolico. Nuovamente arrestato, viene riportato a Ovest, dove organizzerà una terza incursione, che gli costerà altri due giorni di prigione.
Il 23 agosto 1989 va in scena la prima tappa della “liberazione” tedesca: l’Ungheria elimina le restrizioni alla frontiera con l’Austria; e così, dalla metà di settembre dello stesso anno, almeno 13mila tedeschi orientali fuggono in direzione dell’Ungheria. Non tutto fila liscio, però: l’annuncio che sottolinea che l’attraversamento della “cortina di ferro” non è possibile ai cittadini non ungheresi provoca una vera e propria invasione delle ambasciate della Germania dell’Ovest a Praga e Budapest.
Ci vuole la mediazione di Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Esteri di Bonn, a risolvere la questione. Partono, così, i primi treni che contengono i rimpatriati, treni che tuttavia attraversano la Germania dell’Est senza fermarsi: già al passaggio dei primi convogli iniziano le dimostrazioni di massa della popolazione. Siamo nell’autunno del 1989, e Erich Honecker, leader della DDR, è costretto alle dimissioni. Pochi giorni dopo, verrà sostituito da Egon Krenz, il cui nuovo governo concede ai cittadini della Germania Orientale una licenza per andare nella zona occidentale del Paese.
L’abbattimento del muro
Un pasticcio diplomatico, poi, accelera i tempi: il ministro della Propaganda della Germania dell’Est, Gunter Schabowski, si trova in vacanza nel momento in cui la decisione viene presa, e quindi, pur avendo il compito di comunicare la notizia, non ne conosce i dettagli. Il 9 novembre 1989 egli riceve, nel corso di una conferenza stampa, la notizia che a tutti i berlinesi dell’Est è stato permesso di attraversare il confine con un permesso apposito.
Schabowski, interrogato dai giornalisti ma non avendo informazioni precise, comunica, la sera del 9 novembre, che i posti di blocco sono stati aperti. E così, dopo aver sentito le parole del ministro in diretta televisiva, decine di migliaia di cittadini di Berlino Est si fiondano verso il muro, chiedendo di essere lasciati entrare nella parte occidentale della città. Le guardie di confine, non informate, non dispongono degli strumenti per rendere innocua un’invasione tanto imponente, e sono così obbligate ad aprire i checkpoint senza svolgere alcun controllo di identità. Ecco perché il 9 novembre viene indicata come la data della caduta del Muro.
A partire dai giorni successivi, migliaia di persone accorrono alla costruzione per distruggerla e conservarne un piccolo pezzo come ricordo.
Il 18 marzo 1990, nella Repubblica Democratica Tedesca si tengono le prime (e uniche) elezioni libere, che danno vita a un governo il cui compito principale è quello di mettere in atto la fine dello Stato.
La riunificazione tedesca
La riunificazione ufficiale va in scena il 3 ottobre 1990, quando Turingia, Sassonia, Brandeburgo, Sassonia-Anhalt e Meclemburgo – Pomerania Occidentale, i cinque stati federali che già componevano la DDR ma che erano stato aboliti e convertiti in province, si ricostituiscono, e ufficialmente entrano a far parte della Repubblica Federale di Germania.
Dal punto di vista del diritto internazionale la riunificazione tedesca viene considerata come un’incorporazione della Germania dell’Ovest nei confronti di quella dell’Est, visto che si sono mantenute le istituzioni e la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca. In altre parole, non si procede alla scrittura di una nuova Costituzione di una Germania riunificata, ma si allarga l’applicazione del Grundgesetz già esistente ai nuovi Stati.
Il Trattato sullo stato finale della Germania
La riunificazione è preceduta il 12 settembre 1990 dalla firma del “Trattato sullo stato finale della Germania”, sottoscritto a Mosca. Le Quattro Potenze (Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica) con questo trattato rinunciano a tutti i diritti vantati sulla Germania, compresi quelli che riguardano la citta di Berlino: di conseguenza, la Germania riunificata diventa Stato sovrano il 15 marzo 1991, mentre entro la fine del 1994 il Paese dovrà essere abbandonato dalle truppe sovietiche.
Da parte sua la Germania deve limitare le sue forze armate combinate, non superando le 370mila unità: di queste, al massimo 345mila possono essere impiegate nella Luftwaffe (l’Aeronautica) e nell’Esercito. Lo Stato tedesco, inoltre, conferma di rinunciare alla realizzazione, alla conservazione e al controllo di armi chimiche, biologiche e nucleari. Ciò significa che la Germania continua ad applicare il “Trattato sulla proliferazione non nucleare”.
La ex DDR, inoltre, diventa Zona Libera da Armi Nucleari in maniera permanente, e nessuna forza armata straniera può stazionarci, così come in quel territorio non sarà possibile distribuire o mantenere vettori di armi nucleari. Ancora, la Germania conferma il riconoscimento internazionale delle frontiere con la Polonia, e al fine di impedire richieste future in corrispondenza della linea Oder-Neisse, ad est, vengono stabilite alcune modifiche territoriali (il 14 novembre del 1990, poi, tra Germania e Polonia sarà sancito un accordo separato, il “Trattato sul confine tedesco-polacco”, che riaffermerà il confine comune attuale).
Il “Trattato sullo stato finale della Germania” viene ratificato dalla Repubblica Federale Tedesca (cioè dalla Germania unita) anche se in realtà è stato firmato dalla Germania Orientale e della Germania Occidentale in qualità di entità separate.
In seguito gli obblighi di tale patto sono stati spesso violati in conseguenza degli accordi dovuti alla presenza della Germania nella Nato: per esempio, nel Land del Meclemburgo sono stati spesso accolti mezzi militari ai fini di missioni belliche, così come l’aeroporto civile di Lipsia presenta installazioni militari che rientrano nel Patto Atlantico.
Il 20 giugno 1990, infine, la riunificazione tedesca si completa definitivamente, con la decisione del Parlamento (anche se ottenuta con una esigua maggioranza) di spostare la capitale da Bonn a Berlino.
Il trasferimento della capitale
La delocalizzazione completa (con lo spostamento degli uffici governativi e dei ministeri) si completa nel 1999: oggi Bonn non è più la “Bundeshaupstadt” (cioè la “capitale della federazione”), ma la “Bundesstadt” (cioè una “città della federazione”).
caro Moraschini:
ho letto con piacere iltuo pezzo, molto ben fatto.
Ti ringrazio sentitamente
un momento di storia
sono passati 24 anni… sembra ieri
9 Novembre 1989
Ciao fratello…!
Caro Massimo, conosco benissimo la mentalitá degli opinionisti tedeschi. Quando si tratta di voler far cronaca circa le condizioni ambientali …, riguardo a inquinamenti dell' aria terra e mare, non perdono tempo a documentare ció che succede ( di negativo ) all' infuori delle loro mura di casa. Tantissime volte qui in TV trasmettono codesti documentari che trovo di cattivo gusto, e in modo profondo colpisce nell' animo quel ceto di italiani che come me si trovano proprio qui in Germania.Loro preferiscono censurare tutto quello che a loro parere sia vergognoso far sapere ad es. ció che qui é accaduto nella DDR, dietro il famigerato muro di Berlino. Il governo russo ha lasciato quasi tutto intatto i resti desolanti di strade, monumenti, senza voler citare le case , i fiumi inquinati e l' aria molto piú inquinata in una terra molto piú vasta della nostra Sardegna. Questa é la sacrosanta realtá di che pasta sono i media tedeschi!